Autore: Lorenzo De Sio

  • Il nostro sondaggio esclusivo sugli Stati Uniti: il vantaggio di Biden, tema per tema

    Il nostro sondaggio esclusivo sugli Stati Uniti: il vantaggio di Biden, tema per tema

    (traduzione di Federico Trastulli)

    A quattro settimane dalle elezioni presidenziali statunitensi, la maggior parte dei sondaggi riporta un vantaggio di Biden di 10 punti nelle intenzioni di voto popolare. Ma cosa c’è, nel dettaglio, dietro questo vantaggio? In un’epoca di competizione su singole issues, in cui le scelte di voto sono sempre più strutturate da questioni specifiche (un esempio ne fu la vittoria di Trump nei cosiddetti Rust Belt states nel 2016 con la sua promessa di riportare i posti di lavoro negli Stati Uniti), quali sono le tematiche sulle quali Biden gode di un vantaggio competitivo? Quali quelle di Trump?

    Le risposte a queste domande provengono dall’esclusivo sondaggio CAWI che il CISE ha eseguito su un campione della popolazione in età di voto degli Stati Uniti (N = 1.550; campione stratificato per combinazione di sesso-età, istruzione, regione degli Stati Uniti, etnia) tra il 28 settembre e il 5 ottobre. Parte del più ampio Issue Competition Comparative Project (ICCP) che ha già coperto otto paesi europei dal 2017 (con i primi risultati scientifici pubblicati pochi mesi fa), l’indagine include una ricca serie di misure (posizione, priorità, credibilità) su un ampio numero di questioni (34). Ringraziamo profondamente Morris P. Fiorina della Stanford University e Mark N. Franklin del Trinity College Connecticut per il loro contributo essenziale per la selezione dei temi e la formulazione delle domande del sondaggio.

    In termini di pure intenzioni di voto, i nostri risultati sono in linea con altri sondaggi, con un vantaggio di 10 punti per Biden (53 contro 43%, con casi ponderati per combinazione di sesso-età, istruzione, regione degli Stati Uniti, etnia e ricordo del voto alle presidenziali 2016). Ma scendiamo nei dettagli delle specifiche aree tematiche, elencando prima quelle percepite dagli intervistati come più importanti.

    Obiettivi trasversali

    Innanzitutto, abbiamo inquadrato nove questioni che costituiscono obiettivi trasversali e condivisi da tutto l’elettorato, su cui quindi la questione chiave è la credibilità dei leader. Per ciascuno di questi obiettivi, abbiamo chiesto agli intervistati la sua priorità, e di valutare la credibilità di ciascun candidato nel realizzarlo (con anche possibilità di scelta di entrambi i candidati credibili o nessun candidato credibile).

    – In generale, questi obiettivi trasversali sono quelli più salienti per gli intervistati (la percentuale di “salienza” riportata per ciascun obiettivo indica quanti intervistati segnalano un’alta priorità per quell’obiettivo), con tassi di salienza che raggiungono e superano l’80%.

    – Per quanto riguarda la credibilità dei leader: Biden mostra un vantaggio di credibilità piuttosto ampio (10 punti o più) su quattro temi, che includono i due più salienti (contrastare il COVID, con un vantaggio di 15 punti, e assicurare leadership, 10 punti) e le due meno salienti del gruppo (14 punti sul miglioramento delle scuole pubbliche, 13 sul rispetto per i veterani).

    – Gli obiettivi di salienza intermedia (anche se ancora molto salienti, ovvero intorno all’80%) mostrano invece dinamiche di credibilità molto più equilibrate, con vantaggi molto risicati per Biden. Trump si trova leggermente in testa solamente per quanto riguarda l’aumentare la crescita economica. In generale, questi obiettivi mostrano un chiaro vantaggio di Biden (questo non sorprende, dato che le intenzioni di voto riportano un suo vantaggio di 10 punti).

    COVID

    Veniamo ora ai temi divisivi. Elencando per prime le aree tematiche più salienti, non ci sorprende che la prima da riportare sia quella sulla crisi COVID. Su questo tema abbiamo posto in primo luogo una domanda generale sul trade-off fra salute pubblica ed economia, seguita da una domanda più specifica sulla riapertura economica.

    – I risultati di entrambe le domande indicano una priorità per la salute rispetto all’economia: 58 vs 42% in termini di priorità di salute pubblica, che diventano 68 vs 32% quando si tratta di spingere i singoli stati a essere cauti sulle riaperture.

    – È interessante notare che questa maggioranza che spinge per una maggiore cautela è anche più mobilitata. Il 58% che dà la priorità alla salute rispetto al lavoro ha un tasso di salienza di 0,83 (in grigio), ovvero 83 su 100 di loro assegnano un’alta priorità a questo obiettivo. Questo valore è leggermente inferiore (0,78) per coloro che invece preferiscono contrastare per prima la crisi del lavoro. Questo divario di salienza diventa più grande sulle politiche di riapertura degli stati, dove la maggioranza del 68% ha un tasso di salienza di 0,85, contro il tasso di salienza di 0,72 tra il 32% che desidera che gli stati riaprano rapidamente. In altre parole, le preferenze dei due gruppi sono di diversa intensità.

    – Infine, è importante esaminare i dati sulla credibilità. Gli orientamenti rivali su questi due temi hanno chiaramente un carattere partigiano, con Biden che gode di una maggiore credibilità dal lato della salute pubblica e Trump dal lato dell’economia. Tuttavia, il vantaggio di credibilità di Biden dal “suo” lato è maggiore (rispettivamente un divario di credibilità di 20 e 21 punti) rispetto a quello di Trump dalla sua parte (rispettivamente 11 e 14 punti).

    Legge e ordine

    Quella su legge e ordine è l’area tematica al secondo posto in termini di rilevanza complessiva. Abbiamo posto quattro domande relative alla responsabilità, alla formazione e al finanziamento degli agenti di polizia, oltre a una domanda sulle restrizioni alla produzione e alla vendita di fucili d’assalto.

    – I risultati mostrano che gli intervistati sono chiaramente a favore di una polizia più responsabile (74%) e meno conflittuale nei confronti dei neri (66%); ma allo stesso tempo, il campione è chiaramente contrario al defunding delle forze di polizia (63%, contro il 37% a favore del defunding). Inoltre, gran parte del campione sostiene il divieto di produzione e vendita di fucili d’assalto (66%).

    – Tutti questi quattro obiettivi sono piuttosto salienti. Su tutti e quattro i temi, l’orientamento della maggioranza è quello che mobilita di più (ovvero con un tasso di salienza interna più alto). Lo scarto più ampio tra posizioni rivali in termini di salienza si registra sul divieto di vendita delle armi d’assalto (gap di .17 fra vietarne la vendita vs non vietarla) e su un policing più responsabile (gap di .15).

    – Questi temi hanno un chiaro carattere partigiano. Biden gode di una maggiore credibilità per quanto riguarda la promozione di una maggiore responsabilità (divario di 18 punti) e minore conflittualità (21 punti) della polizia, così come sul divieto della vendita di fucili d’assalto (21 punti). Una combinazione fra considerevole sostegno popolare e alta priorità di questi obiettivi politici dovrebbe quindi favorire Biden. Al contrario, Trump è percepito più credibile quando si tratta di aumentare i fondi alla polizia per garantire la legge e l’ordine (divario di 10 punti). Anche in questo caso, una combinazione di ampio sostegno e alta priorità potrebbe rendere la questione elettoralmente produttiva per Donald Trump.

    Aborto

    L’aborto è una questione costantemente saliente nella politica americana ed è inevitabilmente anche parte di questa campagna.

    – Non a caso, la questione è particolarmente controversa, con un campione molto spaccato: il 54% sostiene il diritto di scelta delle donne durante gravidanza rispetto alla protezione del nascituro con ogni mezzo disponibile (46%).

    – Su entrambi i lati troviamo una salienza relativamente alta, con un livello leggermente più alto per la protezione del nascituro (0,75 contro 0,70).

    – In termini di credibilità, i risultati sono in linea con il colore partigiano della specifica questione. Joe Biden è molto più credibile di Trump nel proteggere il diritto delle donne di scegliere durante la gravidanza (27% Biden vs 7% Trump); mentre Donald Trump è più credibile nel proteggere la vita del futuro concepito (23% Trump vs 11% Biden). Tuttavia, il vantaggio di credibilità di Biden su Trump nella protezione dei diritti delle donne è maggiore rispetto a quello di Trump sul “suo” obiettivo politico.

    Economia

    L’economia, sebbene su livelli di salienza inferiori, è ancora tra le massime priorità dei nostri intervistati. E possiamo ragionevolmente aspettarci che le questioni economiche avranno un peso sul comportamento degli elettori.

    – La maggioranza degli intervistati sostiene i classici obiettivi democratici come aumentare le tasse per ridurre le disuguaglianze (55% contro 45%) e aumentare il salario minimo nazionale (72% contro 28%). Ampio sostegno è anche goduto da una misura protezionistica come la tutela dell’occupazione negli Stati Uniti impedendo alle aziende statunitensi di delocalizzare all’estero (67%); inoltre, il 54% preferisce aumentare i dazi per negoziare nuovi accordi commerciali con partner internazionali.

    – Su tutte queste quattro questioni, la mobilitazione appare relativamente simmetrica tra le posizioni rivali, ad eccezione del salario minimo e della protezione dei posti di lavoro negli Stati Uniti, con divari di rilevanza più ampi.

    – Sulle tasse e sul salario minimo, Joe Biden è considerato più credibile rispetto a Donald Trump (30% Biden vs 8% Trump sulle tasse; 36% Biden vs 17% Trump sul salario minimo nazionale). Tuttavia, Donald Trump è chiaramente favorito per la protezione dell’occupazione negli Stati Uniti e per l’aumento dei dazi per negoziare migliori accordi commerciali a livello internazionale. Entrambi questi obiettivi politici incontrano il sostegno della maggioranza degli elettori statunitensi (rispettivamente il 67% e il 54%) e mostrano un vantaggio di credibilità per Trump. Tuttavia, tale vantaggio non è grande (6 punti percentuali in entrambi i casi); e, mentre la protezione dei posti di lavoro negli Stati Uniti ha una rilevanza relativamente alta, lo stesso non vale per l’aumento dei dazi (il tasso di salienza è 0,63).

    Welfare

    Se l’economia è un’area tematica competitiva, lo stato sociale lo appare molto meno. In effetti, gli intervistati sposano ampiamente posizioni progressiste sulle politiche di welfare, favorendo di fatto Joe Biden.

    – Il 61% degli intervistati vuole che venga garantita l’assistenza sanitaria universale, contro il 39% degli elettori che invece preferisce tagliare le tasse anche a costo di tagliare le risorse per la sanità universale. Coerentemente, il 72% degli elettori preferisce espandere l’idoneità a Medicare, piuttosto che tagliare la spesa devoluta a questo programma. Infine, il 69% degli elettori sostiene un aumento degli investimenti per favorire la proprietà immobiliare tra i meno abbienti.

    – Tutti questi tre obiettivi sono molto salienti per coloro che li hanno selezionati. Tra i sostenitori dell’assistenza sanitaria universale, il tasso di salienza è 0,75; mentre è solo leggermente inferiore tra i sostenitori dell’espansione dell’idoneità a Medicare (0,73) e degli investimenti per aumentare la proprietà immobiliare tra i poveri (0,70). La mobilitazione di chi si oppone a questi obiettivi è invece inferiore.

    – Infine, su tutti questi tre obiettivi, Joe Biden è ampiamente considerato il candidato più credibile. Il vantaggio di credibilità di Biden è pari a 20 punti percentuali sull’assistenza sanitaria universale; 18 punti percentuali sull’espansione di Medicare; e 14 punti percentuali sugli investimenti per aumentare la proprietà immobiliare tra i poveri.

    Ambiente e cambiamento climatico

    – Anche l’ambiente è un’area tematica promettente per Joe Biden. Anche in questo caso gli intervistati statunitensi propendono per posizioni più progressiste, sostenendo la difesa dell’ambiente, anche a costo di conseguenze economiche. Il 69% chiede un’azione immediata sul cambiamento climatico per ridurre la gravità dei futuri disastri naturali come inondazioni e incendi. Sulla stessa linea, il 58% degli elettori sostiene la protezione dell’ambiente piuttosto che la protezione dell’economia; e il 64% sostiene la riduzione dell’uso del fracking.

    – Dei tre obiettivi politici appena citati, due in particolare godono di una rilevanza relativamente elevata: l’azione sul cambiamento climatico (il tasso di salienza è 0,79) e la protezione ambientale (0,72). Su entrambi questi temi, Biden ha un chiaro vantaggio di credibilità su Trump: rispettivamente 24 e 21 punti percentuali. Pertanto, la combinazione di ampio sostegno, priorità relativamente alta e vantaggio in termini di credibilità, rende queste questioni potenziali fonti di mobilitazione di un elettorato pro-Biden.

    – Per quanto riguarda l’uso del fracking, sebbene la sua limitazione sia sostenuta dal 64% dell’elettorato, l’obiettivo politico non è ancora particolarmente rilevante (né per l’elettorato in generale né per chi ha preferito una restrizione all’uso del fracking – il tasso di salienza qui infatti è 0,61). Inoltre, sebbene Biden sia ancora considerato più credibile di Trump su questo obiettivo, il suo vantaggio qui è meno pronunciato rispetto agli altri due obiettivi politici sopra considerati (essendo il suo distacco di credibilità sul fracking è di 13 punti percentuali).

    Politica estera e di difesa

    – Sebbene relativamente meno saliente rispetto alle aree tematiche precedenti, la politica estera e di sicurezza rappresenta un’arena di questioni più competitive. Guardando alle opinioni degli intervistati, troviamo un mix di posizioni progressiste e conservatrici. Sul versante conservatore, la maggioranza sostiene sia il ritiro delle truppe statunitensi dall’estero (61%) sia l’aumento delle spese per la difesa (55%). Sul versante progressista, invece, si osserva una maggioranza di elettori a favore del multilateralismo (57%) e delle tradizionali alleanze con i partner europei (73%).

    – Per i due obiettivi conservatori (riportare a casa le nostre truppe e aumentare la spesa per la difesa), il tasso di salienza è rispettivamente di 0,68 e 0,7. Per i due obiettivi progressisti (multilateralismo e rafforzamento delle relazioni con i partner UE), invece, il tasso di salienza è inferiore, rispettivamente 0,64 e 0,65. Ciò significa che gli elettori che hanno selezionato obiettivi conservatori potrebbero avere maggiori probabilità di essere mobilitati su questi temi, rispetto agli elettori che sostengono i due obiettivi progressisti.

    – Questa configurazione potrebbe produrre un vantaggio elettorale per Donald Trump. Infatti, su entrambi gli obiettivi conservatori, Trump ha un vantaggio di credibilità su Biden. Tuttavia, questo è minimo sul riportare indietro le truppe statunitensi (divario di 2 punti), mentre è più grande (10 punti) sulla spesa per la difesa. Guardando a obiettivi più liberal, invece, Biden gode di un forte vantaggio di credibilità (21 punti sul multilateralismo e 10 punti sulle relazioni USA-UE). Tuttavia, data la rilevanza relativamente bassa di questi due obiettivi politici per coloro che li hanno selezionati, gli elettori difficilmente potrebbero essere mobilitati su questi temi.

    Questioni razziali e immigrazione

    – La questione delle preferenze e delle priorità sulle questioni razziali e sull’immigrazione ci fornisce un quadro complesso. Su temi specificamente legati all’immigrazione, l’elettorato statunitense appare sostanzialmente diviso in due metà: una progressista, che sostiene l’accesso alle prestazioni sanitarie per gli immigrati (50%) e l’aumento dell’immigrazione legale negli Stati Uniti (47%); e uno conservatore, che invece è contrario all’aumento dell’accesso alle prestazioni sanitarie e assistenziali per gli immigrati (50%) e che sostiene una restrizione all’immigrazione legale negli Stati Uniti (53%). Di conseguenza, la configurazione della rilevanza delle questioni e della credibilità dei candidati su questi due temi riflettono questa divisione progressista-conservatrice. Sul polo progressista si osserva che il tasso di salienza sull’aumento dell’accesso ai sussidi per gli immigrati è più alto che sull’aumento dell’immigrazione legale; sul polo conservatore, invece, è vero il contrario. E i due candidati godono di divari di credibilità simili e simmetrici sui rispettivi poli. Questa è una novità per quest’area: mentre nella maggior parte delle aree problematiche il vantaggio di Trump sul “suo” lato conservatore era inferiore a quello di Biden sul “suo” lato progressista, qui entrambi i candidati, nelle rispettive aree del dibattito, hanno un solido vantaggio di credibilità. E questo potrebbe essere un tema chiave per Trump.

    – Il quadro è diverso quando si tratta di questioni relative alle comunità di colore statunitensi (questioni razziali). Ci siamo posti, in particolare, due domande e i risultati che otteniamo sono più nettamente definiti: il 64% è favorevole a programmi di investimento a sostegno sia delle attività economiche che della proprietà immobiliare nelle comunità di colore. Ed entrambi questi obiettivi politici hanno una rilevanza relativamente alta. Il tasso di salienza è infatti rispettivamente di 0,70 e 0,66 (che è in generale più alto rispetto ai tassi di salienza per le questioni di immigrazione, sia sul polo conservatore che su quello progressista). Infine, su entrambi questi obiettivi politici, Biden detiene un forte vantaggio di credibilità su Trump (rispettivamente 19 e 17 punti percentuali).

    Conclusioni – Biden davanti, ma anche Trump ha le sue carte

    A quattro settimane dalle elezioni, i nostri risultati mostrano come il vantaggio di Biden sia strutturato e definito dal suo vantaggio competitivo su molti temi, soprattutto perché le posizioni più liberali tendono a godere del sostegno della maggioranza su tante delle questioni poste al nostro campione. Tuttavia, dai nostri dati emergono diverse problematiche chiave che potrebbero avvantaggiare Trump: e va sottolineato che il segreto di una campagna vincente sta nel saper cogliere e sottolineare con precisione solo quelle questioni che giocano a vantaggio di un determinato candidato. Di conseguenza, questi dati potrebbero effettivamente suggerire quali saranno le priorità principali delle campagne di entrambi i candidati nelle prossime settimane.

  • Our exclusive survey on the US: Biden’s advantage, issue by issue

    Our exclusive survey on the US: Biden’s advantage, issue by issue

    Four weeks ahead of the US presidential election, most polls report a 10-point Biden lead in popular vote intentions. But what is, in detail, behind such lead? In an age of issue competition, where vote choices are more and more structured by specific issues (a good example being Trump winning Rust Belt states in 2016 with his promise to bring back jobs to the US), what are the issues where Biden enjoys a competitive advantage? What are Trump’s?

    Answers come from the exclusive CAWI survey we at CISE ran on a sample of the US voting age population (N=1,550; sample stratified by sex-age combination, education, US region, ethnicity) between Sep 28 and Oct 5. Part of the larger Issue Competition Comparative Project (ICCP) which has already covered eight European countries since 2017 (with first scientific results published few months ago), the survey includes a rich set of measures (position, priority, credibility) on a large number of issues (34). We deeply thank Morris P. Fiorina from Stanford University and Mark N. Franklin from Trinity College Connecticut for their key contribution to issue selection and survey question wording.

    In sheer terms of voting intentions, our results are in line with other polls, with a 10-point lead for Biden (53 vs. 43%, with cases weighted by sex-age combination, education, US region, ethnicity, and 2016 presidential vote recall). But let’s see details about specific issue areas, listing most salient first.

    Non-partisan goals

    First and foremost, we framed nine issues as non-partisan, shared goals. For these goals, we asked respondents about whether they assign a high priority to each goal, and whether they consider the two candidates credible to achieve the goal (both candidates or no candidate could be selected).

    In general, these non-partisan goals are those that are most salient to respondents (the “saliency” percentage reported for each goal indicates how many respondents report a high priority for that goal), with saliency figures reaching and passing 80%. Regarding leader credibility patterns:

    – Biden shows a quite large (10 points or more) credibility advantage on four issues, which include the two most salient (fighting COVID, with a 15-point advantage, and providing leadership, 10 points) and the two least salient of the group (14 points on improving public schools, 13 on showing respect for veterans).

    – Goals of intermedate saliency (albeit still very salient, i.e. around 80%) show instead much more balanced credibility patterns, with very small Biden leads. Trump only slightly leads on boosting economic growth. In general, these goals show a clear Biden advantage (unsurprising, given that voting intentions report a 10-point lead).

    COVID

    Coming to divisive issues, we now list most salient issue areas first, and this unsurprisingly leads us to listing the COVID crisis first. Here we asked first a general question on the public health vs. economy trade-off, followed by a more specific question on economic reopening.

    – Results for both questions point towards a priority for health over the economy: 58 vs 42% in terms of public health priority, becoming 68 vs 32% when it comes to pushing states about being cautious on reopenings.

    – Interestingly enough, this majority pushing for more caution is also more mobilized. The 58% prioritizing health over jobs has a saliency rate of 0.83 (in gray) indicating that 83 in 100 of them assign a high priority to this goal. This value is slightly lower (0.78) for those prioritizing the job crisis. But this saliency gap becomes larger on state reopening policy, where the 68% majority has a .85 saliency rate, vs. the .72 saliency rate among those 32% wanting states to reopen quickly. In other words, the preferences of the two groups are of different intensity.

    – Finally, it’s important to look at credibility figures. Rival orientations on these two items clearly have a partisan color, with Biden enjoying higher credibility on the public health side, and Trump on the economy side. However, the credibility advantage of Biden on “his” side is larger (respectively a 20- and 21- point credibility gap) than Trump’s on his side (respectively 11 and 14 points).

    Law and order

    Law and order is the issue area ranking second in terms of overall saliency. We asked four questions relating to police officers accountability, training, and funding, plus a question concerning the restrictions on the manufacture and sale of assault rifles.

    – Results show that respondents clearly support policing that is more accountable (74%) and less confrontational towards black people (66%); bu at the same time, the sample is clearly against defunding police forces (63%, vs 37% supporting defunding). Furthermore, a large portion of the sample supports the ban on the manufacture and sale of assault rifles (66%).

    – All these four objectives are quite salient. On all four issues, the leading side is also more mobilized (i.e. with a higher internal saliency rate). Largest mobilization gaps across rival sides occur on assault rifles ban (.17 gap for banning rifles vs. not banning them) and more accountable policing (.15 gap).

    – These issues have a clear partisan color. Biden enjoys a higher credibility on accountable (18-point gap) and less confrontational (21-point) policing , and on assault rifles ban (21-point). A combination of high popular support and high priority of these policy objectives, should thus favor Biden. On the contrary, Trump is perceived more credible when it comes to increasing funds to the police to ensure law and order (10-point gap). Also in this case, a combination of large support and high priority could make this issue electorally rewarding for Donald Trump.

    Abortion

    Abortion is an ongoingly salient issue in American politics, and inevitably also part of this campaign.

    – Not surprisingly, the issue is particularly divisive, with a closely divided sample: 54% supports the rights of women to choose in pregnancy over the protection of unborn life through every means available (46%).

    – On both sides we find a relatively high saliency, with a slightly higher level for protection of unborn life (0.75 vs. 0.70).

    – In terms of credibility, results are in line with the partisan color of the issue. Joe Biden is much more credible than Trump in protecting the rights of women to chose in pregnancy (27% Biden vs 7% Trump); while Donald Trump is more credible in protecting unborn life (23% Trump vs 11% Biden). Still, the credibility advantage of Biden over Trump in protecting women’s rights is higher compared to Trump’s on “his” policy objective.

    Economy

    The economy, albeit on lower saliency levels, is still among the top priorities of our respondents. And we can reasonably expect that economic issues will have a weight on voters’ behaviour.

    – A majority of respondents supports classic liberal goals such as raising taxes to reduce inequality (55% vs 45%) and raising the national minimum wage (72% vs. 28%). Large support is also enjoyed by a protectionist measure such as protecting US emplyment by stopping US companies from moving jobs abroad (67%); also, 54% prefers to raise tariffs in order to negotiate new trade deals with international partners.

    – Across the four issues, mobilization appears as relatively symmetrical across rival positions, excepts for minimum wage and protection of US jobs, with larger saliency gaps between rival sides.

    – On taxes and minimum wage, Joe Biden is considered to be more credible compared to Donald Trump (30% Biden vs 8% Trump on taxes; 36% Biden vs 17% Trump on the national minimum wage). However, Donald Trump is clearly favored on the protection of US employment and on the increase of tariffs to negotiate better trade deals at the international level. Both these policy objectives meet the support of the majority of US voters (respectively 67% and 54%) and show a credibility advantage for Trump. However, such advantage is not large (6 percentage points in both cases); and, while protection of US employment has a relatively high saliency, the same is not true for raising tariffs (saliency rate is 0.63).

    Welfare

    If the economy is a competitive issue area, welfare appears much less so. Indeed, respondents largely espouse progressive positions on welfare policies, in fact favoring Joe Biden.

    – 61% of respondents want universal healthcare to be ensured, against 39% of voters who instead prefer to cut taxes even at cost of cutting resources for universal helthcare. Consistently, 72% of voters prefers to expand Medicare eligibility, rather than cutting Medicare spending. Finally, 69% of voters supports an increase of investments to favor home ownership among the poor.

    – All these three objectives are highly salient for those who selected them. Among supporters of universal healthcare, salience rate is 0.75; while it is only slighly lower among supporters of expansion of Medicare eligibility (0.73) and of investments to increase home ownership among the poor (0.70).

    – Finally, on all these three objectives, Joe Biden is widely considered as the most credible candidate. The credibility advantage of Biden is equal to 20 percentage points on universal healthcare; 18 percentage points on exapansion of Medicare; and 14 percentage points on the investments for increasing home ownership among the poor.

    Environment

    – The environment as well is a promising issue area for Joe Biden. Even in this case US respondents lean towards more progressive positions, supporting the defence of the environment, even at cost of economic consequences. 69% call for an immediate action on climate change to reduce the severity of future natural disatsers such as floodings and fires. Along the same line, 58% of voters support the protection of the environment over the protection of the economy; and 64% support reducing the use of fracking.

    – Out of the three policy objectives just mentioned, two in particular enjoy a relatively high salience: action on climate change (saliency rate is 0.79) and environmental protection (0.72). On both these issues, Biden has a clear credibility advantage over Trump: 24 and 21 percentage points respectively. Thus, the combination of large support, relatively high priority, and credbility advantage, make these issues potential sources of mobilisation of a pro-Biden electorate.

    – As for the use of fracking, although its limitation is supported by 64% of the electorate, still the policy objective is not particularly salient (neither for the electorate at large nor for those who preferred a restriction on the use of fracking -salience rate here in fact is 0.61). Furthermore, although Biden is still considered more credible than Trump on this objective, his advantage here is less pronounced compared to the other two policy objectives considered above (indeed his credibility advantage on fracking is still 13 percentage points).

    Foreign policy and defence

    – Although relatively less salient compared to the previous issue areas, foreign and security policy represents a more competitive issue arena. Looking at respondent opinions, we find a mix of progressive and conservative stances. On the conservative side, a majority supports both the retreat of US troops from abroad (61%) and the increase of defence expenditures (55%). On the progressive side, instead, we observe a majority of voters favoring multilateralism (57%) and traditional alliances with European partners (73%).

    – For the two conservative goals (bring our troops home and increase defence spending), salience rate is respectively 0.68 and 0.7. For the two progressive goals (multilateratelism and strengthened relations with EU partners), instead, salience rate is lower, respectively 0.64 and 0.65. This means that voters who selected conservative goals could be more likely to be mobilized on these issues, compared to voters supporting the two progressive goals.

    – This configuration could yield an electoral advantage for Donald Trump. Indeed, on both conservative goals, Trump holds a credibility advantage over Biden. However, this is tiny on bringing back US troops (2-point gap), while larger (10-point) on defense spending. Looking at more liberal goals, instead, Biden enjoys a strong credibility advantage (21 points on multilateralism and 10 points on US-EU relations). However, given the relatively low salience of these two policy goals for those who selected them, voters could be hardly mobilized on these issues.

    Racial and immigration issues

    – Issue preferences and priorities on racial issues and immigration give us a complex picture. On issues which are specifically related to immigration, the US electorate appears substantially split into two halves: a progressive one, supporting the access to healthcare benefits for immigrants (50%) and the increase of legal immigration into the US (47%); and a conservative one, which instead is against the increase of access to healthcare and welfare benefits for immigrants (50%) and which supports the decrease of legal immigration into the US (53%). As a consequence, the configuration of issue salience and patterns of credibility on these two issues reflect this progressive-conservative divide. On the progressive pole, we can observe that saliency rate on the increase of access to welfare benefits for immigrants is higher than on the increase of legal immigration; on the conservative pole, instead, the opposite is true. And the two candidates enjoy similar, symmetrical credibility gaps on their respective pole. This is new for this area: while on most issue areas Trump’s advantage on “his” conservative side was lower than Biden’s on “his” progressive side, here both candidates, in their respective sides, hold a solid credibility advantage. This might be a key issue for Trump.

    – The picture is different when we come to issues referring to US communities of color (racial issues). We asked, in particular, two questions and the results we get are more neatly defined: 64% are in favor of programs of investments to support both economic enterprises and home ownership in communities of color. And, among these, both policy objectives have a relatively high salience. The saliency rate is in fact 0.70 and 0.66 respectively (which is in general higher compared to saliency rates for immigration issues, both on the conservative and progressive poles). Finally, on both these policy objectives, Biden hold a strong credibility advantage over Trump (19 and 17 percentage points respectively).

    Conclusion. Biden leading, but Trump has favorable issues too

    Four weeks ahead of the election, our results show how Biden’s lead is structured and defined by his competitive advantage on many issues, especially as more liberal positions tend to enjoy majority support on many issues on our sample. However, several key issues appear from our data that could play well for Trump: and it must be stressed that the secret of a winning campaign is in precisely picking and emphasizing only those issues that play in the candidates’ advantage. As a result, these data might indeed suggest what will be the top priorities of campaigns by both candidates in the coming weeks.

  • Un Sì trasversale a tutti i partiti, e quasi al 50% anche tra i laureati: i dati dei sondaggi pre-elettorali Cise

    Un Sì trasversale a tutti i partiti, e quasi al 50% anche tra i laureati: i dati dei sondaggi pre-elettorali Cise

    In alcune prime analisi dopo il voto referendario del 20 e 21 settembre è emerso un dato interessante. Sia l’Istituto Cattaneo che YouTrend hanno infatti messo in evidenza come i quartieri più agiati delle grandi città siano quelli dove il NO è risultato in vantaggio.

    L’Istituto Cattaneo ha poi anche messo in relazione i risultati a livello sub-comunale con alcuni indicatori socio-economici, individuando come questo fenomeno “ZTL” sia più in generale corrispondente a specifiche caratteristiche socio-economiche. Il voto al No appare quindi maggiore nelle aree caratterizzate rispettivamente da:minore disagio socio-economico; maggiore percentuale di “borghesia”; tasso più alto di adulti con diploma e laurea; minor voto al M5S.

    Ovviamente un’avvertenza è sempre necessaria. Essendo analisi svolte su aggregati (i quartieri) e non su individui, esiste sempre il rischio di “fallacia ecologica”. Ovvero, per assurdo, sarebbe compatibile con questi dati il fatto che a votare No non siano stati in realtà non questi ceti privilegiati, ma il loro personale di servizio (se residente con loro, o comunque nello stesso quartiere)! In altre parole, trarre conclusioni sugli individui da dati aggregati presenta sempre potenzialmente questo rischio.

    E’ per questo che abbiamo quindi pensato di replicare questa analisi utilizzando i dati dei sondaggi preelettorali che abbiamo commissionato a WinPoll prima del voto, quindi stavolta con interviste a livello individuale. Va purtroppo detto che i sondaggi che abbiamo coprono solo le sei regioni al voto regionale, quindi non catturano bene le metropoli (di fatto c’è solo Napoli), e non catturano il Nord del paese; tuttavia i fenomeni suggeriti dalle analisi viste sopra sono di portata assolutamente generale, quindi dovrebbero comparire anche in città come Genova, Firenze, Bari, Ancona, Venezia, e più in generale anche nelle città più piccole. E in effetti – anticipiamo – è così; tuttavia con qualche dato più ricco e interessante.

    Presentiamo qui anzitutto delle semplici analisi bivariate, che incrociano il voto referendario con alcune caratteristiche socio-demografiche (tuttavia controllate con analisi multivariate). I risultati sono semplici ma presentano spunti interessanti. La premessa è che, mettendo insieme le 6000 interviste condotte in sei regioni, il voto al Sì totalizzava circa il 61% degli intervistati (in un campione ponderato per sesso, età titolo di studio e voto alle europee 2019); abbiamo perciò proceduto a una riponderazione in modo da portare il risultato in linea con quello reale del 20 e 21 settembre (Sì al 70% nelle sei regioni coperte).

    Sesso ed età: donne e anziani premiano il Sì

    La Tabella 1 mostra anzitutto il voto al Sì per sesso e per classe di età. Un primo dato che appare chiaramente è la netta differenza (23 punti percentuali!) tra uomini e donne. La percentuale di sì, del 59% tra gli uomini, sale infatti all’82% tra le donne. E si tratta di un effetto che appare genuino e non spurio: questa differenza resiste come statisticamente significativa anche in un modello di analisi multivariata (qui non presentato in dettaglio) in cui si tiene conto di età, titolo di studio, interesse per la politica, professione e addirittura voto alle ultime Europee. Anche a parità di tutte queste caratteristiche, le donne continuano a preferire il Sì in modo sensibile rispetto agli uomini. Che comunque – va ricordato – sono in generale anche loro in maggioranza (59%) per il Sì.

    Tabella 1 – Voto al Sì per sesso ed età

    E considerazioni simili valgono per le fasce di età. Qui abbiamo una prima categoria dove vince il No: sono i giovani tra i 18 e i 29 anni, dove il Sì si ferma al 43%. Salendo nelle classi di età il Sì cresce in modo uniforme, salendo rispettivamente al 58, al 76 e al 79%. Tuttavia va sottolineato che questi dati non ci autorizzano a parlare di una contrapposizione tra giovani e anziani, perché in realtà anche i più giovani sono quasi per la metà per il Sì. Sembra quindi più appropriato parlare di una netta maggioranza nelle ultime due classi di età (dai 45 in su) a fronte di uno scenario più equilibrato nelle prime due classi di età, che presentano distacchi simili, anche se di segno rovesciato. Anche in questo caso va sottolineato che queste differenze resistono anche al controllo statistico rispetto ad altre variabili: anche a parità delle caratteristiche viste prima, un’età maggiore continua ad essere associata a una maggiore probabilità di votare Sì.

    Il livello di istruzione:
    laureati divisi a metà, gli altri nettamente per il Sì

    E veniamo a questo punto alla caratteristica su cui ovviamente si è concentrato molto interesse: il livello di istruzione. E’ vero che i più istruiti votano maggiormente per il No? Sì, è vero, anche se a rigor di logica (almeno nei nostri dati che si riferiscono alle sei regioni al voto) bisognerebbe dire piuttosto che “votano in misura minore per il Sì”, perché – e questa è una notizia interessante – anche tra i laureati in realtà esiste una situazione di parità: 49% per il Sì contro il 51% per il No (una differenza di due punti che non è statisticamente significativa, perché rientra abbondantemente nei margini di errore).

    Di conseguenza questo è un aspetto interessante: anche qui, non esiste una presunta polarizzazione tra laureati massicciamente per il No e tutti gli altri massicciamente per il Sì. In realtà i laureati sono divisi quasi esattamente a metà tra Sì e No; mentre – ovviamente – il Sì prevale nettamente negli altri livelli di istruzione, con una prevalenza che aumenta al diminuire del livello di istruzione.

    Tabella 2 – voto al Sì per livello di istruzione

    Dietro l’effetto dell’istruzione
    c’è in realtà l’interesse per la politica

    Essendo i nostri sondaggi basati su interviste molto brevi, queste includevano solo poche domande. Tra queste tuttavia abbiamo inserito l’interesse per la politica, che in questo caso è estremamente rilevante. Si vede infatti che è questo a produrre un effetto molto forte, decisamente più forte dell’istruzione. In particolare, è questa variabile a identificare una categoria che è fortemente per il No: sono i “molto interessati” alla politica (Sì appena al 36%), nettamente contrapposti alle altre categorie.

    Tabella 3 – voto al Sì per livello di interesse per la politica

    Ma non solo: l’effetto dell interesse per la politica getta anche una luce interessante sull’effetto dellistruzione che abbiamo visto poco fa. In un’analisi multivariata in cui le due variabili vengono considerate simultaneamente (e insieme ad altre) si vede infatti che l’inserimento dell’interesse per la politica diminuisce fortemente l’importanza dell’istruzione. Se nella tabella precedente abbiamo infatti visto che tra le due categorie estreme di istruzione (laureati vs. licenza elementare) c’è una differenza di 41 punti nel voto al Sì (49 contro 90), in un modello multivariato che comprende l’interesse per la politica la differenza tra queste due categorie si riduce a 16 punti. In altre parole, se analizzassimo separatemente i diversi livelli di interessati alla politica, all’interno di ciascun gruppo scopriremmo che i laureati sono maggiormente per il No, ma in misura non così forte. Di conseguenza questo ci dice che – se i laureati sono divisi a metà – questo è dovuto anche al fatto che al loro interno ci sono interessati e meno interessati alla politica, e questo conta (va infatti sottolineato che – nel campione generale – già tra gli “abbastanza interessati” il No vince con il 70%).

    L’occupazione non ha effetti significativi

    Tra i nostri dati c’era anche la condizione occupazionale, che presenta dati interessanti. In particolare l’interesse maggiore è nella discrasia tra i risultati dell’analisi bivariata e quelli dell’analisi multivariata. La prima ci dice che ci sono due categorie che, secondo i dati, hanno dato la maggioranza al No: liberi professionisti e impiegati. La seconda in realtà (dati qui non mostrati) ci dice che, quando teniamo conto delle altre variabili elencate precedentemente, le differenze dovute alla condizione occupazionale praticamente scompaiono. In altre parole, la peculiarità di studenti e liberi professionisti è tale in base ad altre caratteristiche (sesso, età, titolo di studio, interesse per la politica), e non in base ad aspetti specifici della loro condizione professionale.

    Tabella 4 – voto al Sì per condizione occupazionale

    Un referendum non così politicizzato: l’effetto del voto alle Europee 2019

    Veniamo infine ad un dato che ha avuto molta importanza nel dibattito post-elettorale, ovvero la politicizzazione del voto. Il Sì si è orientato per linee partitiche? (www.enov8.com) I dati ci dicono ancora una volta che sì, questo è vero, ma al tempo stesso l’effetto è più che altro relativo ai margini di prevalenza del Sì, non a una eventuale prevalenza del No in alcuni elettorati. Infatti gli unici due elettorati in cui avrebbe prevalso il No sono di partiti relativamente piccoli come La sinistra e +Europa; in tutti gli altri elettorati il Sì prevale con percentuali che non si allontanano così tanto dal 70% complessivo: i livelli più bassi sono infatti per PD e voti non validi alle Europee, ma sempre con il 59% per il Sì; gli elettori di FdI e Lega sono molto vicini (61%), così come quelli di Fi (65%). Quelli invece in cui c’è una prevalenza superiore alla media sono chi non aveva votato o non ricorda (78% e 92%) e ovviamente gli elettori M5S (89%). Tuttavia anche in questo caso non esiste una polarizzazione tra partiti massicciamente per il Sì e partiti massicciamente per il No. Infine, un aspetto interessante è che, diversamente dalla condizione occupazionale, gli effetti dell’orientamento politico (catturati dal voto alle Europee 2019) resistono nel modello multivariato: in altre parole questa caratteristica ha un ruolo esplicativo genuino, non dovuto all’effetto di altre variabili antecedenti.

    Tabella 5 – voto al Sì per ricordo del voto alle Europee 2019

    Un voto non polarizzato

    Se si può trarre una conclusione complessiva, questa è abbastanza semplice: non si è trattato di un voto polarizzato. Il risultato finale non è dovuto a categorie di elettori schierate massicciamente per il No e altre massicciamente per il sì, l’una contro l’altra armate; è invece sostanzialmente dovuto ad alcune categorie che si sono divise quasi a metà tra Sì e No, combinate con altre in cui c’è stata invece una nettissima prevalenza dei Sì. Questo vale in particolare per l’istruzione e per le appartenenze partitiche: dai dati non emergono laureati massicciamente per il No o elettori dei partiti “mainstream” massicciamente per il No, ma situazioni equilibrate. Di conseguenza la lezione che possiamo trarre è che questo risultato referendario non corrisponde a una divisione netta tra gruppi sociali (ben più enfatizzata sui media e nei social, rispetto ai dati), ma piuttosto – come spesso accaduto nella storia dei referendum – da un consenso trasversale all’opinione pubblica nel nostro paese.

  • Di nuovo esiti diversi dai sondaggi. Abolire il blackout pre-elettorale?

    Di nuovo esiti diversi dai sondaggi. Abolire il blackout pre-elettorale?

    Riproduciamo qui l’articolo apparso oggi su Luiss Open.

    Ci risiamo. Di nuovo un’elezione in cui i sondaggi si discostano significativamente dal risultato finale. Non tanto per il referendum, ma per le sfide regionali. E in modo politicamente rilevante per Toscana e Puglia, per cui i sondaggi (e addirittura anche gli exit-poll di poche ore prima…) prevedevano un serrato testa a testa, e che invece si sono chiuse con un netto successo dei candidati di centro-sinistra, con 8 punti di distacco in entrambi i casi. Tanto che addirittura nei social, in questi giorni, c’è chi sospetta un tentativo di manipolazione, che avrebbe dipinto una finta parità per spingere molti elettori al voto utile.

    La discrasia tra sondaggi (di inizio settembre)
    e risultato finale

    Per vedere la portata del problema è sufficiente dare un’occhiata alla Tabella 1, dove presento, accanto al risultato finale, il corrispondente sondaggio Cise (commissionato a Winpoll) di inizio settembre, e una media (ho preso quella calcolata da YouTrend, ma la può calcolare chiunque) degli ultimi sondaggi precedenti al black-out. Già, perché in Italia c’è un black-out: nelle due settimane prima del voto non si possono pubblicare sondaggi. Vedremo dopo quanto questo sia importante.

    Tabella 1 – Confronto tra risultato effettivo e sondaggi pre-blackout (CISE e media sondaggi)

    La premessa: come si vede, i sondaggi CISE/Winpoll pubblicati a inizio settembre erano sostanzialmente in linea con gli altri sondaggi: tutti vedevano una situazione largamente incerta in Toscana e Puglia, con un lieve vantaggio di Giani in un caso e Fitto nell’altro.

    Di qui il dato principale, che ha colpito molti: in queste due regioni le previsioni sono state ben diverse dal risultato effettivo, che ha visto invece un distacco sensibile (otto punti) a favore del centrosinistra . Ma tra l’altro il confronto che presento mette in evidenza che le differenze su Toscana e Puglia non sono neanche state le più gravi. Se infatti in Puglia si vedono differenze di circa 10 punti nel distacco complessivo (ultimo riquadro della tabella), e in Toscana di circa 6-8 punti, in Campania lo iato tra sondaggi e risultato finale è stato addirittura di 20-30 punti.

    Spiegare la differenza

    Da dove vengono queste differenze? Le spiegazioni possibili sono essenzialmente due.

    1. I sondaggi fotografavano correttamente la situazione a inizio settembre; ma in queste ultime due settimane, o forse addirittura negli ultimi giorni a ridosso del voto, la mobilitazione e polarizzazione dell’elettorato è cresciuta (rispetto tra l’altro a sondaggi condotti a fine agosto, con i cittadini ancora distratti). Non solo: proprio la parità prevista dai sondaggi potrebbe avere spinto molti elettori a fare voto utile, abbandonando candidati poco competitivi per andare su Emiliano o su Giani, oppure spinto alcuni dei sostenitori di Caldoro a rinunciare ad andare alle urne di fronte a una sfida persa in partenza.

    oppure 2. I sondaggi invece si sbagliavano: magari per motivi tecnici (escludendo il tentativo di manipolazione, che non poteva accomunare tutti gli istituti), non riuscivano a registrare il reale vantaggio dei candidati di centro-sinistra, e di conseguenza hanno presentato dei testa-a-testa inesistenti che sono poi stati smentiti dalle urne.

    Capire se è vera la 1 o la 2 sarebbe molto utile. Ad esempio, perché ci direbbe se dobbiamo analizzare come i cittadini si sono mobilitati nelle ultime due settimane, o se invece dobbiamo lavorare per migliorare le tecniche dei sondaggi. (Xanax)

    Se il blackout ci impedisce di capire

    Il problema vero è che sostanzialmente non abbiamo elementi per capire quale di queste due spiegazioni è più fondata. Per capirlo infatti avremmo bisogno di sondaggi condotti nelle ultime due settimane da istituti affidabili, che ci permetterebbero di vedere la dinamica di mobilitazione dell’opinione pubblica negli ultimi giorni. Tuttavia questi sondaggi non li conosciamo, perché nelle ultime due settimane è proibito pubblicarli. Forse esistono, e i loro committenti (partiti e candidati) se li sono tenuti per sè, non potendo comunque divulgarli. O forse non sono stati neanche fatti, visto che i candidati a fine campagna spendono verosimilmente per altre cose, e nelle ultime due settimane, dato il divieto di pubblicazione, i media sostanzialmente non commissionano più sondaggi.

    Il problema ulteriore è che l’assenza di sondaggi affidabili non significa scomparsa in toto dei sondaggi. Nelle ultime due settimane proliferano infatti stime che circolano in modo privato – o finto privato – sotto forma di paginate PDF su WhatsApp, in una sorta di catena di Sant’Antonio in cui ciascuno inoltra un messaggio di cui ignora la provenienza originaria, e senza prendersi la responsabilità del contenuto. Ovviamente si tratta quasi sempre di sondaggi di istituti minori, a volte sconosciuti, spesso con una ricchezza di dati che lascerebbe intuire budget faraonici, e che quindi giustifica più di un dubbio. Anche perché, essendo proibita la pubblicazione, non si può andare a controllare sul sito web ufficiale dell’azione. E in teoria chiunque potrebbe addirittura confezionare un finto PDF con risultati inventati e un logo di un’importante azienda, e spacciarlo come un reale sondaggio, magari con finalità manipolatoria.

    Finalità che tra l’altro non sembra così peregrina, visto che molti dei sondaggi circolati clandestinamente negli ultimi giorni indicavano dinamiche di voto opposte a quelle che poi si sono verificate nelle ultime settimane: alcuni indicavano un vantaggio di due punti della Ceccardi in Toscana, e addirittura uno scenario tripolare in Puglia, con Fitto in testa, e Emiliano e Laricchia praticamente appaiati, pochi punti indietro.

    Si può pensare di abolire il blackout?

    Di fronte a questa situazione, viene da chiedersi se non varrebbe la pena di ragionare su una possibile abolizione del blackout pre-elettorale sui sondaggi.

    All’origine, questa misura (introdotta nel 1997) aveva una sua comprensibile ratio: l’obiettivo di impedire l’uso dei sondaggi come strumento di manipolazione dell’opinione pubblica. Obiettivo ispirato dal caso della campagna elettorale del 1994, in cui – in particolare – la Diakron di Gianni Pilo (sondaggista di Berlusconi, che in quelle stesse elezioni era candidato con Forza Italia) aveva prodotto numerosi sondaggi in campagna elettorale con stime altissime di Fi (diverse da tutti gli altri istituti e dal risultato finale), con il verosimile intento di far percepire agli elettori la neonata Forza Italia come un partito già numericamente grande, di successo, e quindi “votabile” senza timore di sprecare il voto.

    Il problema è se, quasi trent’anni dopo, in un contesto di ampia diffusione dei sondaggi e di relativa familiarità dei cittadini con i principali istituti di ricerca, il rimedio non potrebbe essere diventato peggiore del male, tenuto anche conto che – secondo un’analisi del 2018 di Giancarlo Gasperoni su Il Mulino – in Europa questo istituto esiste solo in Montenegro e Slovacchia.

    L’impressione è che il blackout preelettorale abbia anzitutto l’effetto di ridurre drasticamente il budget complessivo per i sondaggi, allontanando le aziende più affidabili (che sono inevitabilmente più costose) e aprendo la strada a una circolazione clandestina (ormai resa assolutamente rapidissima e pervasiva dai social e dalla messaggistica istantanea) di sondaggi che in teoria potrebbero addirittura essere completamente inventati, e che in ogni caso non sono verificabili in alcun modo.

    La conseguenza di tutto questo è che tutti noi veniamo privati di informazioni importanti. E, una postilla, vengono privati di queste informazioni anche i malcapitati sondaggisti che, nel giorno delle elezioni, devono assemblare la complessa macchina degli exit-poll e delle analisi risultanti; e che, di fronte al compito scottante di prendere decisioni sulle ponderazioni da applicare e sulle inevitabili scelte tecniche di ogni ricerca, potrebbero cedere alla tentazione di non credere ai dati, rifugiandosi nella prudenza salomonica di annunciare come incerto un risultato che magari incerto non è. Nessuno è in grado di dire se questo sia mai successo nella storia degli exit-poll; ma l’impressione è che – senza black-out, e magari con l’obbligo di pubblicare informazioni ancora più dettagliate sul sito apposito della Presidenza del Consiglio – anche molti di questi problemi potrebbero essere alleviati; e saremmo tutti più informati.

    Pensiamoci e parliamone.

  • Le elezioni regionali come check-up per la politica nazionale

    Le elezioni regionali come check-up per la politica nazionale

    Ripubblichiamo qui il testo di Lorenzo De Sio pubblicato come Policy Brief n6: “Le elezioni regionali come check-up per la politica nazionale” della Luiss School of Government. Il testo è stato anche ripreso da SKY Tg 24.

    I prossimi 20 e 21 settembre gli elettori di Veneto, Liguria, Toscana, Marche, Campania e Puglia saranno chiamati a votare per il rinnovo della Presidenza e del Consiglio regionale. Tra i tanti approcci possibili per interpretare dinamica e conseguenze delle elezioni regionali, in questo Policy Brief faremo alcune considerazioni sui comportamenti di voto degli elettori italiani. Di tali comportamenti sottolineeremo alcune recenti tendenze di fondo, tendenze ulteriormente analizzate alla luce dei recenti sondaggi Cise-Winpoll (le cui principali conclusioni sono schematizzate in calce al documento). Ricorrendo a un simile approccio, suggeriamo tra l’altro alcune direzioni per trarre dal prossimo voto locale utili indicazioni riguardo agli orientamenti politici degli elettori in termini di politica nazionale.

    Elettori che potrebbero premiare un centrodestra più dinamico

    Secondo tutte le principali rilevazioni demoscopiche, la prossima tornata elettorale confermerà che il centrosinistra è in una fase di difficoltà – rispetto al centrodestra – nel catturare il consenso degli elettori. L’asimmetria tra i due schieramenti, se guardiamo al medio-lungo termine, può essere spiegata con la diversa reazione dei due blocchi alla novità degli ultimi anni, ovvero la sfida dei movimenti e dei partiti anti-establishment (in primis il M5S), tra l’altro strettamente legata alla crisi delle leadership consolidatesi nella Seconda Repubblica.

    A destra la transizione è stata più rapida ed efficace dal punto di vista elettorale. Anzitutto perché la risposta alla sfida del M5S è partita dallo stesso interno della coalizione, con la nuova strategia “populista” introdotta nel 2014 da Matteo Salvini, che gli ha permesso di affermarsi nel 2018 come primo leader della coalizione (con una sostituzione relativamente indolore della ormai logora leadership di Berlusconi), e nei mesi successivi, al governo, di raccogliere molti voti ex Fi, ed altri voti di elettori di centrodestra “tornati all’ovile” dopo essere passati dal M5S, fino al 33% delle europee 2019. Questo è stato anche possibile perché già Silvio Berlusconi, negli anni, aveva fatto ampio ricorso a temi e toni tipicamente “populisti”, così che per i suoi elettori non è stato (e non è oggi) alla fine difficile accettare i messaggi oggi proposti da Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Infine, gli elettori di centrodestra sono in genere più pragmatici, e accettano facilmente – in funzione anti-sinistra – anche leader non graditi al 100%.

    A sinistra, invece, il tentativo di rispondere alla sfida del M5S con una nuova offerta adatta a tempi “populisti” – quello di fatto lanciato da Matteo Renzi dal 2014 – è sostanzialmente fallito. Renzi infatti all’inizio ha risposto efficacemente alla sfida sul piano comunicativo, ma in seguito – in termini programmatici – ha proposto una sorta di “rivoluzione liberale” mirata ai moderati, che: 1) è andata in contrasto con entrambe le matrici originarie dell’elettorato Pd (la socialdemocratica e la cattolica progressista); 2) ha preso una deriva elitista e si è messa in contrapposizione frontale non solo con la leadership ma anche con l’elettorato del M5S, mettendosi quindi nella peggiore posizione per conquistarne i voti. Il risultato purtroppo è stato il disastro del 2018. Disastro cui quindi segue la situazione attuale. Se nel (lontano) passato i partiti di sinistra tenevano insieme capacità tecnico-gestionali e attitudine a dare voce al “popolo” – specie a livello locale, e quando ancora c’era un’organizzazione di massa –, oggi questi due aspetti appaiono tra loro separati e incomunicabili. Il M5s tenta di dare voce alle domande di una “massa” popolare e populista (ma con capacità gestionali chiaramente inadeguate) e il Pd ha difficoltà ad uscire da un confinamento in un’“élite”, peraltro insistendo nel rivendicare la sua alterità rispetto al populismo e una fiducia acritica nell’Europa. Stiamo semplificando, ovviamente, ma è indubbio che la difficoltà di dialogo attuale tra Pd e M5s nasca da questo problema di fondo. Tale difficoltà si riflette anche a livello locale. Non a caso l’unico tentativo di alleanza organica tra Pd e M5s, quello incarnato in Liguria dalla candidatura a Presidente di Ferrucio Sansa, non sembra premiare in termini di consensi elettorali (così come, tra l’altro, successe con la precedente alleanza M5s-Pd in Umbria nel 2019).

    Elettori sempre meno affascinati dalle sirene della “società civile”

    Le performance elettorali del Movimento 5 Stelle, a livello locale, non si preannunciano brillanti, seppure questa non sia ormai una novità. Dopo le affermazioni degli scorsi anni in molte realtà locali, soprattutto nel Centro-sud, la prova di governo locale tutt’altro che esaltante di molti esponenti grillini non ha soddisfatto l’elettorato. Soprattutto a livello locale, dunque, dove la “politica” è spesso percepita come sinonimo di “servizi” e “qualità della vita”, esperienza, pragmatismo e capacità di governo sono considerate qualità importanti dei candidati. Ragioni simili spiegano anche quello che appare come un declino della fascinazione per la cosiddetta “società civile”. Così, in questa tornata elettorale, le liste genuinamente “civiche” paiono decisamente meno rilevanti che in passato. Né bisogna farsi ingannare dalle “liste del Presidente” o dall’alto numero di liste civiche in realtà come la Puglia. Il candidato del Pd, Michele Emiliano, ne ha dalla sua parte addirittura quindici. C’è di tutto: Pd, Sinistra alternativa, Democrazia Cristiana, Liberali, Partito Animalista, Partito del Sud, Pensionati e invalidi, Sud Indipendente Puglia e così via. Tante liste, però, uguale tanti candidati. Ogni lista è una rete acchiappa-voti. Insomma, le attuali “liste civiche”, svuotate dal loro significato originario, sembrano voler replicare solo gli aspetti meno esaltanti delle fu organizzazioni di massa.

    Elettori che non premiano un “Terzo polo” centrista

    Il “Terzo polo” centrista, quello per intenderci che potrebbe essere costituito da Italia Viva, Azione, Più Europa, ecc., non sembra avere chance nel prossimo voto regionale. In parte ciò è dovuto al fatto che le elezioni locali continuano a essere governate da leggi elettorali con logiche chiaramente maggioritarie, nonostante a livello nazionale si assista all’opposto a una crescente proporzionalizzazione della rappresentanza politica. Così, attualmente, le forze politiche di ispirazione centrista animano una battaglia perlopiù “identitaria”, puntando a coltivare un rapporto privilegiato con alcune categorie specifiche di elettori e alcuni gruppi di interesse piuttosto che rivolgendosi all’elettorato tutto in cerca di una notevole consistenza numerica. Un partito come Italia Viva, per esempio, per evidenziare il proprio connotato riformistico, nel breve termine punta essenzialmente a massimizzare il proprio potere di interdizione all’interno della coalizione; da qui il tentativo di far pesare il proprio essere “decisivi” per una vittoria o una sconfitta del centrosinistra (vedi la candidatura di Ivan Scalfarotto in Puglia) o di influenzare qui e lì la scelta dei candidati dell’intera coalizione (vedi la candidatura dell’ex “renziano” Eugenio Giani in Toscana).

    Elettori che premiano il “buon governo” a livello locale

    Come regola generale, in ogni elezione i candidati incumbent sono moderatamente avvantaggiati sugli sfidanti. Il candidato già in carica, infatti, ha di solito il vantaggio dello status quo dalla sua parte: se proprio non ha fatto danni tremendi, l’elettore lo riconosce quantomeno in grado di governare, capacità che lo sfidante outsider deve ancora dimostrare. Questa regola appare confermata anche in occasione dell’attuale tornata di elezioni regionali. Tutti i governatori uscenti godono di un consenso discreto se non decisamente buono. Michele Emiliano (Pd), in Puglia, sembra costituire un’eccezione per il momento, considerato che solo il 46% degli intervistati ne dà una valutazione molto o abbastanza positiva. La gestione di dossier come la sanità o la crisi della Xylella potrebbero aver pesato sulla sua popolarità.

    Elettori che sembrano non legare il referendum
    al voto regionale

    I prossimi 20 e 21 settembre gli elettori italiani di sei Regioni (Veneto, Liguria, Toscana, Marche, Campania e Puglia) potranno votare, nello stesso momento, per il rinnovo della Presidenza e del Consiglio della propria Regione da una parte, e per il referendum costituzionale sulla legge che riduce il numero dei parlamentari dall’altra. Secondo le principali rilevazioni demoscopiche, però, non si registra al momento un particolare effetto di “trascinamento” di un voto sull’altro. Storicamente, infatti, sono tutt’al più considerazioni sulla politica nazionale (e non regionale) a influenzare eventuali scelte referendarie da compiere nello stesso momento. Emblematico il caso del referendum costituzionale del dicembre 2016; allora la consultazione referendaria, per la volontà dello stesso Presidente del Consiglio di allora, Matteo Renzi, fu caratterizzata da un’estrema “personalizzazione”, trasformandosi per molti elettori in un voto pro o contro il governo in carica. Ad oggi questa “sindrome Renzi 2016” non sembra così forte e diffusa, anche se è indubbio che tra gli elettori del Pd e quelli del M5s i “sì” alla riforma costituzionale sono in maggioranza, mentre nell’elettorato dei partiti di centrodestra potrebbe prendere piede l’idea di usare questo referendum per indebolire il governo.

    Qualche numero per stabilire chi vince o chi perde alle prossime Regionali

    Attualmente, delle 6 Regioni che andranno al voto i prossimi 20 e 21 settembre, 4 sono governate dal centrosinistra e 2 dal centrodestra. Sembra quasi impossibile, al momento, che il centrosinistra riesca a mantenere un simile risultato all’indomani del voto. Detto ciò, anche le aspettative – che riflettono il clima politico attuale –giocheranno un ruolo nel giudizio post Regionali.

    Un 3 a 3, per esempio, sarebbe tutto sommato un risultato accettabile per il centrosinistra, e soprattutto per il Pd; psicologicamente (e mediaticamente) si tratterebbe pur sempre di un pareggio (che secondo i sondaggi significherebbe tenere regioni importanti come Toscana e Puglia).

    Una sconfitta del centrosinistra per 2 a 4 al momento potrebbe rappresentare il “minimo sindacale” del Pd; il segretario Nicola Zingaretti, pur senza trionfalismi, potrebbe provare a difendere un simile risultato. Anche se è d’obbligo osservare che perdere il governo di quattro delle sei Regioni vorrebbe dire consegnare al centrodestra una storica “Regione rossa” come le Marche, un esito oramai dato tendenzialmente per scontato, e una tra Puglia e Toscana, governate dal centrosinistra rispettivamente da quindici anni o da quando esistono le Regioni.

    Infine una sconfitta del centrosinistra per 1 a 5, e dunque col passaggio della Toscana al centrodestra, sarebbe difficilmente difendibile per l’attuale leadership del Pd e probabilmente avrebbe importanti conseguenze politiche. 

    Elezioni regionali 20-21 settembre 2020
    Quadro sintetico dei sondaggi Winpoll-Cise

  • Avanti con prudenza sulle riaperture: larghissima maggioranza, anche tra chi è in difficoltà economica

    Avanti con prudenza sulle riaperture: larghissima maggioranza, anche tra chi è in difficoltà economica

    Avanti con prudenza. Questa la linea di fondo del discorso di ieri del Presidente della Repubblica. In occasione della Festa dei Lavoratori, Sergio Mattarella (ricordando il valore fondamentale del lavoro e la necessità di lavorare per la ripresa “possibile” del paese) ha ricordato i sacrifici dei mesi scorsi per contenere il virus, invitando i cittadini a comportarsi con la dovuta prudenza per evitare passi indietro nella lotta contro la pandemia. In linea con la posizione del governo a favore di una riapertura graduale e condizionata all’andamento della curva epidemica. Questa, per molti versi, è anche la posizione che emerge come nettamente prevalente nell’opinione pubblica, in base ai dati del sondaggio realizzato da Winpoll per il Sole 24 Ore in collaborazione con il CISE[1], di cui vi presentiamo alcuni dati.

    Al di là della posizione del governo e del Capo dello Stato, il tema è come sappiamo controverso. La linea cauta e ‘gradualista’ del governo Conte vede infatti contraria anzitutto l’opposizione, con Matteo Salvini e Giorgia Meloni da giorni sulle barricate per una riapertura più rapida (nel timore che un prolungamento del lockdown possa danneggiare in modo irreparabile l’economia), e Forza Italia su posizioni simili (anche se più moderate); ma soprattutto vede contraria Italia Viva, che invece è nella maggioranza, e il cui leader Matteo Renzi potrebbe decidere in futuro di far mancare il suo appoggio al governo. E anche all’interno del Partito Democratico la quota degli insoddisfatti è in crescita.

    La questione è controversa non solo per motivi di tattica politica, ma perché sotto c’è il trade-off di queste settimane tra tutela della salute e necessità di far ripartire l’economica. Le misure di distanziamento sociale, senz’altro necessarie, hanno inferto un colpo duro all’economia italiana. In questa prospettiva, il fattore tempo diventa cruciale: quanto graduale dovrà essere la riapertura? La permanenza di misure restrittive piuttosto rigide è compatibile con una ripresa della nostra economia? E, soprattutto, in che misura le famiglie italiane sono in grado di assorbire i costi economici della chiusura?

    Il primo dato interessante che emerge dalla nostra rilevazione è relativo alle opinioni degli Italiani sulla fine del lockdown. Contrariamente alla polarizzazione esistente sul tema tra le forze politiche in Parlamento, il dato riportato nella Tabella 1 mostra con chiarezza un’opinione pubblica decisamente compatta. Leggendo i dati della tabella in ordine di radicalismo della posizione, la posizione più restrittiva è una sparuta minoranza: solo 6,6% di intervistati vorrebbe mantenere le restrizioni attuali. La stragrande maggioranza del campione è invece su una posizione non così restrittiva, ma comunque prudente. Ben il 71% ritiene infatti che dopo l’inizio della Fase 2, la riapertura delle attività economiche ed il ritorno alla libera circolazione delle persone debba avvenire in modo graduale, in una posizione che sembra complessivamente in linea con quella del governo. Coloro che invece optano per una soluzione più ‘aperturista’ totalizzano il 22,4% del campione, a sua volta suddiviso tra chi vorrebbe riaprire subito fabbriche e negozi, ponendo però ancora dei limiti alla libera circolazione delle persone, come ad esempio al movimento dei cittadini tra regioni diverse (11,8% del campione), e chi invece auspica addirittura un immediato ritorno alla situazione precedente alla crisi (10,6%).

    Tabella 1 – Orientamenti sulla riapertura delle attività e sulla libera circolazione delle persone

    Secondo Lei, dopo il 4 maggio (quando finiranno le attuali restrizioni), cosa sarà meglio fare riguardo alle attività economiche e alla libera circolazione delle persone: %
    Continuare con le restrizioni attuali finché non si saranno totalmente azzerati i nuovi contagi 6.6
    Eliminare gradualmente le restrizioni sulla base dell’andamento dei contagi 71.0
    Riaprire subito completamente fabbriche e negozi 11.8
    Tornare alla situazione precedente allo scoppio della pandemia, eliminando tutte le restrizioni alla libera circolazione delle persone 10.6
    Totale (N=1633) 100

    Almeno in parte, l’atteggiamento ‘gradualista’ dell’opinione pubblica italiana sulle riaperture può essere spiegato dal modo in cui viene valutato il rapporto, reso tristemente conflittuale dalla situazione attuale, tra tutela della salute e dell’attività economica. Abbiamo chiesto ai partecipanti alla nostra indagine quale tra questi due obiettivi dovrebbe essere privilegiato. E l’ago della bilancia pende in modo abbastanza netto a favore della tutela della salute (Tabella 2). È il 59,1% del nostro campione a ritenere che la salute dei cittadini abbia una priorità assoluta rispetto all’economia; contro il 40,9% che ritiene invece che si dovrebbe tutelare l’economia, anche a costo di affrontare dei rischi per la salute.

    Tabella 2 – Trade off salute VS economia

    Alcuni sostengono che la salute dei cittadini dovrebbe essere tutelata anche a costo di fermare l’economia. Altri sostengono invece che sia necessario tutelare l’economia anche in presenza di rischi per la salute dei cittadini. Lei con quale delle seguenti due affermazioni si trova più d’accordo? %
    Salute 59.1
    Economia 40.9
    Totale (N=1643) 100

    Il dato aggregato è abbastanza chiaro, ma ovviamente non tiene conto del diverso impatto economico sui diversi settori della nostra società. Volendo essere brutali, si fa presto a dare priorità alla salute quando si è tutelati dal punto di vista lavorativo (e quando le misure restrittive non incidono direttamente sul proprio status economico); diverso potrebbe essere invece il discorso per quelle categorie sociali più duramente colpite -in termini economici- dal lockdown.

    E questo ci richiede anzitutto un breve approfondimento sull’impatto dell’epidemia sulla condizione lavorativa ed economica degli intervistati. Va anzitutto premesso che, in termini di condizione lavorativa, più di un quarto degli intervistati (il 26,8%, su un totale di 1643 che rispondono a questa domanda) riferisce di aver dovuto smettere di lavorare; i restanti tre quarti sono distribuiti abbastanza paritariamente tra chi non era parte di una categoria attiva neanche prima dell’epidemia (il 26,7%), chi appartiene a un settore che ha continuato a lavorare (il 21,2%), e chi ha continuato a lavorare da casa (il 25,3%).

    Questo tuttavia non significa che la situazione economica sia peggiorata soltanto per chi ha dovuto smettere di lavorare. In realtà una domanda specifica, relativa al cambiamento del proprio reddito, rivela che quasi la metà degli intervistati ha visto peggiorare il suo reddito. Dai dati della Tabella 3 si vede infatti che solo il 52,5% degli intervistati ha visto la sua situazione economica non peggiorare (il 50,4% riporta una situazione invariata, il 2,1% addirittura un aumento); c’è invece un 47,5% di intervistati che riporta un peggioramento della propria situazione. Questa quota (quasi metà del campione) combina un 20,3% che ha visto una leggera diminuzione, un 17,2% con una forte diminuzione, e infine un 10% che ha visto il proprio reddito completamente azzerato.

    Tabella 3 – Perdita di reddito

    A causa delle misure di distanziamento sociale, il suo reddito è cambiato? %
    Si è azzerato 10.0
    È fortemente diminuito 17.2
    È leggermente diminuito 20.3
    È rimasto invariato 50.4
    È aumentato 2.1
    Totale (N=1643) 100

    Ovviamente, per capire l’impatto del distanziamento sociale sulla situazione economica degli intervistati manca un ultimo tassello: la disponibilità di risparmi con cui fronteggiare il calo di reddito. A chi dichiarava di aver subito una diminuzione di reddito abbiamo quindi chiesto se aveva a disposizione dei risparmi per fronteggiare la situazione. I risultati mostrano che solo due terzi (66,7%) dei 765 intervistati in questa situazione aveva a disposizione dei risparmi, mentre un terzo (33,3%) si è trovato in una situazione di calo di reddito senza alcun risparmio per fronteggiarla.

    Combinando calo di reddito con disponibilità di risparmi abbiamo quindi classificato i nostri intervistati in tre diverse condizioni economiche (Tabella 4). Il 52,5% vede una situazione reddituale invariata; il 31,7% vede un calo del reddito, tuttavia potendolo (almeno in parte) fronteggiare con qualche risparmio; infine ben il 15,8% del campione (potenzialmente parleremmo di oltre cinque milioni di italiani) deve affrontare un calo del reddito senza avere risparmi disponibili.

    Tabella 4 – Condizione economica attuale riportata dall’intervistato

    Condizione economica attuale riportata dall’intervistato %
    Reddito diminuito, senza risparmi 15.8
    Reddito diminuito, con risparmi 31.7
    Reddito invariato 52.5
    Totale (N=1642) 100

    Quest’ultimo dato ci permette a questo punto di rispondere a una domanda chiave: gli orientamenti sulla riapertura sono legati alla sofferenza economica? A chiedere una riapertura con maggiore urgenza sono i cittadini più in difficoltà?

    In realtà i dati smentiscono questa ipotesi. La Tabella 5 (incrocio tra condizione economica e opinioni sulle modalità della riapertura) mostra infatti che il grado di disagio economico non sembra produrre effetti rilevanti sulle posizioni rispetto alla riapertura delle attività. Anzitutto, la percentuale che preferisce una riapertura graduale è ampiamente maggioritaria (intorno al 70%) in tutte le condizioni economiche (e la posizione aperturista più estrema è altrettanto largamente minoritaria – intorno al 10% –in tutte le condizioni economiche, senza variazioni apprezzabili). Ma soprattutto, a sorpresa, emerge una polarizzazione inattesa che contrappone – tra chi ha subito un danno di reddito – chi aveva risparmi e chi no. In particolare, gli intervistati in massima difficoltà economica (quelli senza risparmi) sono di fatto quelli più contrari a una riapertura rapida: optano infatti più di ogni altro gruppo per mantenere le attuali rigide restrizioni, in misura doppia rispetto al totale del campione (13,5% di loro, contro il 6,6% del totale del campione), e desiderano meno degli altri una riapertura immediata di fabbriche e negozi (6,7% di loro, contro l’11,8% del totale del campione). Specularmente, gli intervistati danneggiati ma tuttavia con risparmi a disposizione sono quelli più aperturisti: solo il 3,8% di loro (contro il 6,6% in tutto il campione) sostiene la posizione più restrittiva, ma soprattutto in questa categoria sale al 18,1% la quota di chi vorrebbe riaprire subito fabbriche e negozi, contro l’11,8% del totale del campione. Va in ogni caso ricordato che anche in questa categoria, ancora il 67,4% sostiene la linea più prudente dell’eliminazione graduale delle restrizioni in base all’andamento dei contagi.

    Tabella 5 – Incrocio indice di sofferenza economica e orientamenti sulla riapertura delle attività e sulla libera circolazione delle persone

    Secondo Lei, dopo il 4 maggio (quando finiranno le attuali restrizioni), cosa sarà meglio fare riguardo alle attività economiche e alla libera circolazione delle persone: Reddito diminuito, senza risparmi Reddito diminuito, con risparmi Reddito invariato Tutto il campione
    Continuare con le restrizioni attuali finché non si saranno totalmente azzerati i nuovi contagi 13.5 3.8 6.1 6.6
    Eliminare gradualmente le restrizioni sulla base dell’andamento dei contagi 69.5 67.4 73.7 71.0
    Riaprire subito completamente fabbriche e negozi 6.7 18.1 9.6 11.8
    Tornare alla situazione precedente allo scoppio della pandemia, eliminando tutte le restrizioni alla libera circolazione delle persone 10.3 10.7 10.6 10.6
    Totale (N=1632) 100 100 100 100

    Di conseguenza, la gravità della condizione economica non sembra la principale spiegazione dei diversi atteggiamenti verso la riapertura. In generale, è possibile che contino convinzioni valoriali più profonde, ma soprattutto è possibile che le diverse opinioni riflettano i diversi interessi e le diverse necessità delle diverse categorie di occupati. Si tratta di un punto che meriterà ulteriori approfondimenti.

    In conclusione, gli effetti economici immediati della pandemia sono del tutto evidenti. Secondo la nostra rilevazione, quasi la metà della popolazione avrebbe subìto perdite in termini di reddito, e questo soltanto in una prima fase della crisi. Si osserva tuttavia che la preferenza per una riapertura rapida di fabbriche e negozi non sembra legata al trovarsi in una condizione economica di grave disagio. In ogni caso, l’aspetto principale che emerge è una notevole coesione. A prescindere dalla propria condizione di disagio, i cittadini italiani mostrano infatti un livello di polarizzazione molto meno accentuato rispetto ai propri rappresentanti in Parlamento: la linea gradualista sulle riaperture sembra infatti quella intorno alla quale si stringe la maggioranza dei cittadini, preferendo ancora – in questa fase di incipiente crisi economica- che venga data priorità alla tutela della salute, anche a costo di mantenere ferma (almeno in parte) l’economia del paese. Vedremo come evolveranno le misure della “Fase 2” nelle prossime settimane.


    [1] Il sondaggio è stato realizzato con metodo CAWI tra il 21/04/2020 ed il 23/04/2020 su un campione (N=1643) della popolazione maschile e femminile italiana dai 18 anni in su, stratificato per genere, età e provincia di residenza in proporzione all’universo della popolazione italiana.

  • Testa e cuore, alto e basso. Le due facce del voto in Emilia-Romagna (e in Calabria)

    Testa e cuore, alto e basso. Le due facce del voto in Emilia-Romagna (e in Calabria)

    Testa e cuore, alto e basso, buongoverno e scontro politico. Mai come in questa elezione queste due dimensioni fondamentali della politica sono apparse distinte e al tempo stesso entrambe indispensabili per il successo elettorale.

    La compresenza di due elementi appare in primo luogo dal risultato di Bonaccini. Anzitutto a partire dalla campagna elettorale: una campagna che si è snodata su due percorsi separati, che non si sono mai incontrati ma che, come diceva un tempo la sinistra, hanno “marciato divisi per colpire uniti”. Tutta improntata all’insegna (quasi tecnocratica) della rivendicazione apartisan di una buona amministrazione la campagna di Bonaccini; viceversa, all’insegna della rivendicazione dei valori della sinistra (e soprattutto contro Salvini) quella delle Sardine.

    I dati ci dicono che nel successo di Bonaccini sono inscindibili entrambi gli elementi:

    Buongoverno. Il “buongoverno” rivendicato da Bonaccini ha chiaramente contato. Non solo i dati aggregati ci dicono che Bonaccini ha portato un valore aggiunto significativo in termini di voto disgiunto e voti al solo presidente. Ma andando ad analizzare – mediante le prime analisi da un’indagine campionaria CISE su 1000 intervistati (CATI-CAMI) svolta poco prima del voto – emerge l’importanza del buongoverno per la vittoria di Bonaccini: le caratteristiche dei candidati, e l’approvazione per l’operato del governo regionale, hanno una capacità esplicativa rilevante per il voto a Bonaccini. Il buongoverno ha contato.

    Politicizzazione. Tuttavia, la politicizzazione della campagna elettorale ha contato forse altrettanto. Vari dati puntano con grande chiarezza in questa direzione:

    1. Anzitutto, la grande mobilitazione alla partecipazione, oltretutto asimmetrica: la partecipazione elettorale è cresciuta moltissimo rispetto alle precedenti regionali, tornando ai livelli delle regionali del 2010. Ma soprattutto emerge una relazione netta – e statisticamente significativa – tra forza elettorale di PD (e M5S) nelle elezioni più recenti e aumento della partecipazione. In altre parole, i comuni dove era più forte la sinistra hanno aumentato maggiormente la partecipazione, mentre quelli dove era più forte la Lega hanno visto l’effetto opposto. Aspetto che si è ulteriormente tradotto in un’aumento della polarizzazione tra città e piccoli centri. Non necessariamente in linea col passato (all’epoca della “subcultura rossa” città e campagna erano molto simili), ma senza dubbio all’insegna di una politicizzazione. Impossibile quindi pensare a un semplice effetto-buongoverno: appare chiaro che la politicizzazione dello scontro operata da Salvini (e che ha provocato la contro-politicizzazione delle Sardine) ha caricato il voto di significato politico, paradossalmente rimobilitando più la sinistra della destra. In una misura che probabilmente è stata il segreto del successo di Bonaccini, che forse non sarebbe riuscito ad affermarsi (e così nettamente) puntando soltanto sulla qualità dell’amministrazione.

    2. In secondo luogo, una sorprendente e inattesa mobilitazione sociale, che testimonia il significato politico dello scontro. Dai dati dell’indagine esclusiva CISE emerge un’inedita polarizzazione: le tre categorie professionali più nettamente orientate verso Bonaccini sono studenti, operai e disoccupati; di contro le più orientate verso Borgonzoni sono imprenditori, liberi professionisti e casalinghe. Per certi versi una riedizione dei blocchi sociali che avevano caratterizzato centrosinistra e centrodestra nella Seconda Repubblica, a testimonianza della rivitalizzazione di un forte scontro politico.

    3. Scontro infine testimoniato dall’esito forse più netto in termini di competizione: la nettissima bipolarizzazione dell’elezione, con il M5S ridotto sotto il 5%. Un M5S stretto non solo da un sistema elettorale maggioritario, destinato a falcidiare i terzi poli non competitivi, ma dalla forte politicizzazione dell’elezione in termini di scontro tra Salvini e Sardine.

    Ma la divisione del voto in due facce riguarda anche Salvini e la sua strategia nazionale, con un dato importante che viene dalla Calabria. La poderosa espansione del Capitano nel Sud alle ultime Europee aveva destato l’impressione che la Lega potesse diventare il baricentro fondamentale della strategia del centrodestra in tutta Italia. In realtà la Calabria mostra che il successo al Sud del 2019 veniva da un elettorato (e da un ceto politico) di centrodestra orfano di riferimenti, e che si era rifugiato in Salvini: un anno dopo, sia i vari referenti politici locali che i loro voti si sono distribuiti tra i vari partiti di centrodestra, premiando anche l’iniziativa di Fratelli d’Italia e riportando addirittura Forza Italia come primo partito. A questo punto – soprattutto anche dopo la sconfitta in Emilia-Romagna, forse anche dovuta a qualche eccesso di Salvini – è la strategia del centrodestra a dover essere ridiscussa: la capacità del leader della Lega di parlare al cuore, al “basso” dell’elettorato di centrodestra non è sufficiente. Senza una componente più moderata e votata al governo (e al buongoverno) risulta difficile costruire un’offerta vincente.

    Considerazioni, in definitiva, che ci suggeriscono un’interpretazione complessiva di questa elezione. Negli ultimi anni (probabilmente dal momento della cesura fondamentale del governo Monti – vedi Chiaramonte e De Sio 2019) si era consumata una rottura tra testa e cuore, tra alto e basso. Con i grandi partiti mainstream votati al solo orizzonte tecnocratico ed elitario della gestione, del buongoverno: venendo poi sfidati nelle piazze (e battuti nel voto) dai partiti “populisti” capaci invece di parlare al basso, al cuore (e alla pancia) degli elettori. Tuttavia gli anni successivi del governo gialloverde – e in ultimo il voto di ieri – ci mostrano come queste due componenti siano entrambe indispensabili. In particolare in Emilia-Romagna: Bonaccini riesce a vincere soltanto perché vede le sue capacità di governo sostenute (anche contro Salvini) da un’inaspettata (e non richiesta) mobilitazione popolare. Ma quanto ancora questi due elementi potranno camminare quasi ignorandosi reciprocamente? E’ questo probabilmente il senso della enorme sfida che attende il Pd (e specularmente il centrodestra): riuscire a costruire un nuovo progetto politico in grado di rimettere insieme testa e cuore, alto e basso. Ricetta (anche in relazione a come evolveranno le strategie del M5S) probabilmente indispensabile anche per la sopravvivenza e la riuscita del governo.

  • Il PD alla conquista dell’ elettorato M5S: è possibile? E come?

    Il PD alla conquista dell’ elettorato M5S: è possibile? E come?

    Back to square one, come dicono gli inglesi. Un ritorno alla casella di partenza. All’indomani delle elezioni europee, con l’emersione chiara di una possibile maggioranza di centro-destra guidata dalla Lega di Matteo Salvini, avevamo messo in evidenza come l’unica possibile strada per il centro-sinistra per arginare un possibile risultato elettorale di questo tipo era di puntare a conquistare il più possibile l’elettorato del Movimento 5 Stelle.

    I mesi successivi hanno visto invece emergere, anche grazie agli errori di Salvini, uno scenario diverso: il nuovo governo giallorosso e la possibilità di una strategia basata su un’alleanza vera e propria tra questi due partiti.

    Il problema è che una cosa è pensare a delle alleanze, un’altra è farle davvero. La vita del governo ha già messo in evidenza che da un lato esistono forti diffidenze tra i due partiti, legate alle differenze di cultura politica e ad una reciproca ostilità di lungo tempo; dall’altro, il Movimento 5 stelle è eterogeneo al suo interno, con una sua componente senza dubbio più vicina al PD, ma tuttavia con altre componenti che ne sono distanti anche in termini di opinioni sui principali temi politici. Eccoci dunque al ritorno alla casella di partenza: è stato lo stesso Di Maio che, all’indomani della sconfitta in Umbria, ha dichiarato che questa alleanza non verrà riproposta né a livello locale né a livello nazionale.

    Di conseguenza per il PD si pone di nuovo il problema che avevamo già anticipato all’indomani delle europee, vale a dire quale tipo di strategia adottare per riuscire a conquistare una quota sufficiente dell’elettorato M5S tale da poter risultare competitivo sia a livello locale che a livello nazionale.

    Come rispondere a questa domanda? Con un approccio basato su una delle linee di ricerca sviluppate al CISE negli ultimi anni, abbiamo ritenuto di indagare l’importanza dei temi concreti della politica (le cosiddette issue) nello sviluppare una strategia di competizione. In particolare, l’idea è di vedere quali sono i temi su cui esiste un terreno comune tra elettori PD ed elettori M5S; e, viceversa, quali temi vedono gli elettori pentastellati più vicini a quelli della Lega. É chiaro che per il PD l’unica strategia possibile è quella di investire sui primi, piuttosto che sui secondi. In aggiunta, abbiamo anche esplorato le differenze interne tra i vari elettori del M5S: li abbiamo così suddivisi in tre gruppi a seconda del fatto che dichiarino di collocarsi politicamente a sinistra, al centro, oppure a destra.

    I risultati delle nostre analisi sono presentati nelle Tabelle 1 e 2: su 19 temi di attualità è possibile vedere se ciascuno dei sottoinsiemi del M5S è più vicino rispettivamente alla Lega oppure al PD.

    Va evidenziato un dato preliminare: fatti 100 gli elettori del M5S nelle elezioni europee del 2019, 50 di loro tendono a collocarsi al centro, mentre circa 25 e 25 si collocano rispettivamente a sinistra e a destra. Di conseguenza, il gruppo di pentastellati centristi è quello più appetibile, mentre le ali più estreme dei pentastellati valgono ciascuna circa la metà dei centristi.

    Tab. 1 : Percentuali di favorevoli a vari obiettivi tematici tra gli elettorati di diversi partiti. Fonte: CISE, OP 2019 (N=1000)

    Tab. 2 : Percentuali di favorevoli a vari obiettivi tematici tra gli elettorati di diversi partiti. Fonte: CISE, OP 2019 (N=1000)

    I risultati emergono in maniera abbastanza chiara, anche senza entrare nel dettaglio delle singole misure. In generale, il PD non parte da una posizione facile: su molti temi gli elettori pentastellati sono più vicini alla Lega che al PD. Questo è vero in modo nettissimo tra gli elettori del M5S che si collocano a destra. Costoro, praticamente su tutti i temi analizzati, si trovano più d’accordo con gli elettori della Lega che con gli elettori PD. L’unica eccezione riguarda il mantenimento delle tutele sul mercato del lavoro, sulle quali l’elettorato del M5S è trasversalmente più vicino al PD. La situazione è diversa per gli elettori del M5S che si collocano a sinistra. In questo caso c’è un numero più ampio di temi su cui c’è una maggiore vicinanza con l’elettorato del PD, anche se rimangono inevitabilmente alcuni temi su cui c’è ancora una maggiore sintonia con la Lega. I temi che accomunano l’ala sinistra del M5S e PD sono principalmente legati all’economia e alle politiche migratorie, le stesse tematiche sulle quali l’ala destra del Movimento è chiaramente più in sintonia con la Lega. Un chiaro segnale della natura polimorfa e delle contraddizioni interne all’elettorato M5S. Infine, la categoria dei pentastellati di centro, quella più numerosa, vede una situazione mista, che tra l’altro esemplifica bene la situazione complessiva. In generale, i temi su cui il PD può vantare una maggiore vicinanza con questo elettorato del M5S, e su cui quindi ci si può aspettare che dovrebbe investire, sono quelli legati all’economia, e in particolare al mantenimento di tutele sul mercato del lavoro. L’Europa -centrale per il PD- non rappresenta invece un tema chiave per riuscire a conquistare la porzione più ampia dell’elettorato pentastellato.

    Come già mostrato in altre analisi, sembrano essere appunto le preferenze sull’economia a giocare un ruolo prevalente sulla possibilità che porzioni di elettorato cambino le proprie preferenze di voto. E, d’altra parte, già in occasione delle elezioni politiche del 4 Marzo, i temi economici avevano avuto una rilevanza chiave per il successo dei pentastellati. Ora, in una fase di difficoltà per il partito di Di Maio, si tratterà di capire se ed in che misura il Partito Democratico sia in grado (ed abbia effettivamente intenzione) di investire su questi temi, nel tentativo di rispondere non solo alle aspettative del proprio elettorato, ma anche di mobilitare una parte consistente dell’elettorato M5S sensibile alle tematiche economiche.

    Cosa dobbiamo attenderci dunque? Il quadro di opinione pubblica che abbiamo descritto serve a nostro parere a fornire un’informazione in più relativamrnte alla riorganizzazione della strategia di un PD che in questi giorni sta anche mettendo in cantiere importanti trasformazioni sul piano organizzativo, con il nuovo statuto. Il fuoco sul PD è praticamente obbligato, visto che nel campo del centro-destra si registra già oggi una situazione strutturale di vantaggio, e non si vedono particolari problemi nella costruzione di una strategia programmatica comune che finora sta riscuotendo successo. Di conseguenza, a nostro parere, l’emersione di una situazione equilibrata e competitiva tra i due schieramenti (in un contesto, lo ricordiamo, di legge elettorale che contiene ancora importanti elementi maggioritari) passa dall’adozione da parte del PD di una strategia capace di riassorbire una parte importante dei voti del M5S in un contesto di competizione bipolare.

  • 945 sono troppi? 600 sono pochi? Qual è il numero “ottimale” di parlamentari?

    945 sono troppi? 600 sono pochi? Qual è il numero “ottimale” di parlamentari?

    945 parlamentari erano troppi? 600 sono troppo pochi? Ed esiste un numero “ottimale” di parlamentari? Il problema non è nuovo nella scienza politica, e uno dei contributi più interessanti sul tema è arrivato anni fa da Rein Taagepera, forse uno dei più importanti politologi viventi, insignito nel 2008 dell’ambitissimo premio Skytte, la più prestigiosa onorificenza nell’ambito della scienza politica, equivalente di un premio Nobel per questa disciplina.

    In una serie di articoli Taagepera (2002; 1972) si confrontò con il problema delle dimensioni ottimali di un’assemblea rappresentativa partendo da un punto di vista molto semplice. Il lavoro quotidiano dei parlamentari ruota essenzialmente intorno a due funzioni: rappresentare efficacemente le opinioni dei cittadini che li hanno eletti e dialogare tra loro, confrontando diversi punti di vista, per giungere a decisioni condivise. E questa natura duale è ben rappresentata dalla scansione tipica della settimana dei parlamentari nella maggior parte delle democrazie, che in genere si divide tra alcuni giorni dedicati al lavoro nella capitale (in genere quelli centrali della settimana) ed altri dedicati invece al lavoro sul campo nella circoscrizione che li ha eletti.

    Ora: entrambi i compiti diventano problematici quando aumenta il numero di relazioni sociali da gestire. Rappresentare un collegio di 10.000 abitanti è più agevole rispetto a una circoscrizione di un milione di abitanti; in base a questo criterio quindi bisognerebbe avere un numero molto alto di parlamentari. Tuttavia, come sa chiunque abbia mai partecipato anche solo a un’assemblea di condominio, prendere decisioni in un comitato di 10 persone è senza dubbio più rapido ed efficiente che in un’assemblea di 80; in base a questo criterio quindi bisognerebbe avere un numero basso di parlamentari. Come quasi sempre in politica, ci sono quindi due esigenze confliggenti tra loro. Come conciliarle?

    Taagepera a questo punto formula il problema in semplici termini matematici, alla ricerca – data una popolazione di dimensione X – di quale numero di parlamentari offra il rapporto ottimale, ovvero riesca a rendere il più piccolo possibile (e quindi il più facile possibile da gestire) il numero totale di relazioni sociali (con i propri elettori, e con i propri colleghi) che ogni parlamentare deve gestire.

    La soluzione è quella che è conosciuta come la legge cubica della dimensione delle assemblee: ovvero, se una popolazione ha dimensione X, il numero di parlamentari ottimale corrisponde alla radice cubica di X.

    Legge cubica del rapporto tra popolazione e rappresentanti (Taagepera 1972)

    La cosa affascinante è che questo risultato apparentemente astratto corrisponde in modo sorprendente (a meno di un ovvio margine di errore, dovuto alle particolarità di ogni paese) alle dimensioni effettive delle assemblee rappresentative nella maggior parte dei paesi del mondo. La figura 1 lo mostra bene: nel grafico si nota bene la corrispondenza tra la curva (la previsione teorica della “legge cubica”) e i punti che corrispondono alle effettive assemblee dei vari paesi.

    Fig. 1 – La legge cubica del rapporto tra popolazione e rappresentanti: paesi europei, più Stati Uniti e Russia

    A questo punto la curiosità ovvia riguarda l’Italia. 945 parlamentari erano troppi? 600 sono troppo pochi? Proviamo a vedere l’applicazione della legge cubica riguardo all’Italia. In questo caso la popolazione di riferimento corrisponde al numero di elettori, che per il nostro paese nelle elezioni politiche del 2018 era di 46.505.350 (sono esclusi gli under 18). Ebbene, la radice cubica di questo numero è circa 360.

    Legge cubica del rapporto tra popolazione e rappresentanti nel caso italiano

    Di conseguenza un’assemblea di questa dimensione offrirebbe, secondo la teoria, la combinazione ottimale tra possibilità del parlamentare di rappresentare i propri elettori e capacità di gestire l’assemblea in modo efficiente. Questo risultato quindi parrebbe suggerire che la riforma vada nella direzione giusta. Se si considera la sola Camera (come fa Taagepera nella sua analisi, considerando solo le “Camere basse”), infatti, il numero di 400 sarebbe addirittura superiore al 360 ottimale, suggerendo che la riforma sia andata nella direzione giusta.

    Tuttavia c’è un però. Come abbiamo detto all’inizio, ogni paese ha le sue peculiarità storiche, geografiche e sociali, che portano alcuni paesi a deviare anche molto dalla “legge cubica”. Ebbene, in confronto ad altri paesi, l’Italia ha delle peculiarità che suggerirebbero una deviazione? Quella più importante che viene in mente è che l’Italia è sostanzialmente un paese eterogeneo: un paese di unificazione politica (ma anche linguistica) relativamente tarda, in cui permangono differenze ancora grandissime tra diverse regioni. Come si può incorporare questo dato nel nostro ragionamento teorico? Un modo rozzo, ma che ci può dare un suggerimento sulla direzione di analisi, può essere quello di considerarlo, ad esempio, non come un solo paese di 46 milioni di elettori, ma come due paesi di 23 milioni: un modo sbrigativo ma efficace per incorporare l’idea di un paese eterogeneo. Ora, la radice cubica di 23 milioni è 285. Il che significa che, se una “metà paese” di 23 milioni è rappresentata in modo ottimale da 285 parlamentari, l’intero paese (fatto di due metà molto diverse tra loro) sarebbe rappresentato in modo ottimale dal doppio, ovvero da 570 parlamentari. Senza prendere alla lettera questo risultato (per quanto eterogenea sia l’Italia, è assurdo sostenere che l’Italia sia composta di due paesi separati!), tuttavia si capisce come, in caso di un paese particolarmente eterogeneo, si possa considerare come il numero ottimale potrebbe essere superiore a quello previsto dalla teoria. E quindi la domanda vera non è se 400+200 siano troppi o siano pochi, ma invece: quanto è eterogenea l’Italia?

    Riferimenti bibliografici

    Taagepera, R. e Recchia, S.P. (2002). The size of second chambers and European assemblies, European Journal of Political Research, 41: 165–185

    Taagepera, R. (1972). The size of national assemblies, Social Science Research, 1: 385-401

  • Online il nuovo sito CISE

    Online il nuovo sito CISE

    Settembre 2019: inizia una nuova stagione, che coincide peraltro con una cesura nella politica italiana, con la fine del governo giallo-verde e la travagliata (e ancora incerta) gestazione di un nuovo governo giallo-rosso, a testimonianza della travolgente e complessa fase di cambiamento politico che ha investito il nostro paese a partire dal voto del 4 marzo del 2018.

    E alla vigilia di questo cambio di stagione abbiamo deciso (prima dell’iniziativa agostana di Salvini!) di rinnovare, dopo quattro anni – e in occasione dei quindici anni di vita del Cise, la veste grafica e la struttura del nostro sito.

    La veste grafica anzitutto: perché il Web è in continua evoluzione, e soprattutto perché sentivamo l’esigenza di razionalizzare e semplificare l’accesso ai vari contenuti che produciamo regolarmente.

    Ma soprattutto la struttura. Per riflettere quella che è, sempre di più, la duplice attività del Cise. Infatti, se da un lato non cesseremo mai di produrre analisi e interventi tempestivi e puntuali legati all’attualità della politica italiana e internazionale (raccolti regolarmente nella serie dei Dossier CISE), vogliamo al tempo stesso valorizzare il contributo sempre più importante che i vari studiosi del Cise danno alla ricerca scientifica in ambito italiano e internazionale.

    Una produzione sempre più importante negli anni, nata e prosperata con i tradizionali volumi post-elettorali pubblicati con Il Mulino, ma oggi cresciuta ancora, in termini di altri volumi di ricerca in italiano e in inglese, collaborazioni a reti e progetti di ricerca internazionali, articoli pubblicati sui importanti riviste scientifiche italiane e internazionali.

    E’ così che – già dalla home page – le due componenti dell’attualità e della ricerca sono chiaramente distinte e visibili. Perché riflettono l’idea di un’interazione continua: in cui l’attualità della politica è sempre fonte di spunti per nuovi e stimolanti quesiti di ricerca; e in cui la ricerca, condotta col passo più lento della scienza e con metodi di analisi rigorosi, offre poi degli strumenti preziosi per leggere l’attualità della politica.

    E’ questo che, a partire dall’idea lanciata ormai quindici anni fa da Roberto D’Alimonte, e che oggi vede impegnato un gruppo di studiosi, abbiamo sempre cercato di fare e che vogliamo continuare a fare sempre meglio. Con molte importanti novità in arrivo già nelle prossime settimane; e soprattutto con un grande ringraziamento a chi ci legge da anni: ci auguriamo che questo nuovo sito vi permetta di farlo ancora meglio.