Autore: Vincenzo Emanuele

  • Comunali, torna il bipolarismo. Il PD arretra ma è in vantaggio dopo il primo turno

    Comunali, torna il bipolarismo. Il PD arretra ma è in vantaggio dopo il primo turno

    Questa domenica in 122 città si terranno i ballottaggi delle elezioni amministrative. Si tratta del secondo tempo di una partita cominciata due settimane fa. In gran parte offuscata dalle concomitanti elezioni europee, questa tornata di elezioni comunali è stata, almeno in termini numerici, la più importante degli ultimi anni. Si è infatti trattato della tornata ordinaria di elezioni amministrative, che ha coinvolto 3.779 comuni (ossia quasi il 50% del totale), di cui 221 superiori ai 15.000 abitanti (fra i quali 25 capoluoghi di provincia) per un totale di quasi 16,5 milioni di elettori chiamati alle urne (vedi anche Vittori e Paparo 2019).

    Come in ogni elezione comunale, interpretare il risultato elettorale complessivo e capire quale forza politica (o blocco elettorale) ha effettivamente ‘vinto’ non è un compito semplice. Sia perché il peso dei fattori locali è in alcuni contesti decisivo, sia perché la moltitudine di contesti locali garantisce a quasi tutte le forze politiche almeno una vittoria simbolo da intestarsi. L’approccio migliore è, come sempre, quello di guardare i dati. Anche basandoci sui numeri, però, dobbiamo precisare che i dati da guardare per capire chi ha ‘vinto’ sono due. Il primo è, ovviamente, il conteggio finale delle vittorie nei comuni per ciascuna forza politica (o blocco). Questo dato sarà disponibile soltanto dopo i ballottaggi di domenica. Il secondo dato da considerare è però il confronto con la situazione di partenza per capire chi avanza e chi arretra rispetto alle precedenti comunali. Su questo secondo punto il voto del primo turno ci consegna già alcuni verdetti irrevocabili: l’avanzamento del centrodestra, l’arretramento del PD e la complessiva ri-bipolarizzazione del sistema.

    Cominciando dall’analisi della situazione di partenza, la Tabella 1 riporta il vincitore delle precedenti comunali nei 220 comuni superiori al voto.

    Tab. 1 – La situazione di partenza nei 220[1] comuni superiori al votoconteggi1

    In quasi il 90% dei comuni al voto il 26 maggio scorso, la tornata precedente si era svolta nel 2014, sull’onda del successo del PD guidato da Matteo Renzi alle elezioni europee, svoltesi lo stesso giorno del primo turno delle comunali (De Sio, Emanuele e Maggini 2014). Guardando alla distribuzione geografica dei comuni al voto, inoltre, notiamo un netto squilibrio a favore della Zona rossa (con 85 comuni superiori e il 70% dei propri comuni al voto) e in misura minore del Nord (79 comuni superiori e il 60% dei propri comuni al voto) rispetto al Sud (dove solo 56 comuni superiori e appena il 25% del totale dei comuni è chiamato alle urne).

    Alla luce di queste considerazioni, quindi, non stupisce il dominio del centrosinistra a guida PD fra le amministrazioni uscenti con 152 comuni governati su 220 (69%). Il centrodestra a guida Forza Italia amministrava  il 17% dei comuni superiori che sono andati al voto il 26 maggio e le restanti forze politiche appena il 13%. Fra queste, i candidati civici (ossia non appoggiati da partiti nazionali) governavano in 16 città, rappresentando come sempre la ‘terza forza’ a livello locale. Chiudevano il quadro la sinistra alternativa al PD con 5 comuni, il M5S con 4 (fra cui Livorno), il Centro (coalizioni guidate dall’UDC) con 3 città e la Destra (ossia coalizioni con Lega e/o Fratelli d’Italia ma senza Forza Italia) con 2. Nel complesso, quindi, il bipolarismo dominava la competizione comunale con l’86,4% di comuni amministrati dalle due coalizioni principali della Seconda Repubblica. Questo dato è un ulteriore conferma del fatto che l’esplosione del M5S a livello nazionale del 2013 non ha mai portato ad un effettivo cambiamento sistemico a livello locale, dove il bipolarismo – sebbene condito dalla sempre più nutrita presenza di liste civiche – è rimasto la regola con l’unica parziale eccezione del 2016 (Chiaramonte e Emanuele 2016).

    Entrando nel dettaglio delle amministrazioni uscenti, il centrosinistra aveva il pieno controllo della Zona rossa (76 città su 85 al voto) e poteva contare su un largo vantaggio nel Nord (57 su 79), mentre la situazione era più frastagliata al Sud dove ad un maggiore equilibrio fra le due coalizioni principali (19 a 16 in favore del centrosinistra) si univa la significativa presenza di sindaci civici (10).

    La situazione di partenza delineava quindi un netto vantaggio per il centrosinistra. Cinque anni dopo, in un’Italia caratterizzata da quadro politico radicalmente stravolto, il voto del primo turno si configura come il primo tempo di una partita destinata ad essere decisa solo con i ballottaggi di domenica. Il primo tempo, però, si conclude con il vantaggio del PD sul centrodestra e il mantenimento della struttura fondamentalmente bipolare del sistema. Le coalizioni a guida PD vincono in 54 città sulle 99 che hanno già eletto il sindaco il 26 maggio scorso (vedi Tabella 2).

    Tab. 2 – Riepilogo delle vittorie al primo turnoconteggi2

    Questo dato segna una inversione di tendenza rispetto al 2018, quando fu il centrodestra a prevalere nel primo turno (Emanuele e Paparo 2018a) e, per la prima volta dal 2010, anche nell’intera tornata di elezioni comunali (Emanuele e Paparo 2018b)[2]. Nonostante il clima politico nazionale soffi forte nelle vele del centrodestra a trazione leghista, il PD è riuscito a sfruttare il proprio vantaggio competitivo (in ben 45 comuni su 99 l’uscente del centrosinistra si ripresentava al voto) e il suo tradizionale radicamento a livello locale. Sindaci progressisti sono stati confermati a Firenze, Bari, Bergamo, Modena, Pesaro e Lecce. Il centrodestra ha invece conquistato 33 comuni (fra i quali le riconferme di Perugia e Vibo Valentia), più altri 4 vinti da coalizioni di destra. In 7 comuni hanno vinto le liste civiche, mentre a Sant’Anastasia ha prevalso una coalizione di sinistra alternativa al PD.

    Se dunque il PD sembra uscire vincitore dal primo turno delle comunali, il confronto con la situazione di partenza rivela che rispetto a 5 anni fa il quadro politico è cambiato: il PD aveva infatti 72 dei 99 comuni già assegnati contro i 17 del centrodestra. Il saldo è dunque di -18 città per il PD e di un sostanziale raddoppio delle città vinte dal centrodestra (fra le quali Pavia e Pescara, strappate al PD). A differenza di quanto accaduto alle politiche (Chiaramonte et al. 2018) e alle europee (Landini e Paparo), a livello locale il partito di Zingaretti mantiene un solido radicamento nella Zona rossa, dove conquista 39 città contro appena 7 del centrodestra, che invece è in largo vantaggio al Nord (21 a 11). Nel Sud, invece, dove a conferma della permanente frammentazione multipolare meno di un comune su 4 viene vinto al primo turno, c’è un sostanziale equilibrio fra centrodestra (5), centrosinistra (4) e candidati civici (3).

    Complessivamente, sono già stati assegnati il 45% dei comuni superiori al voto (99 su 221). Un dato in crescita rispetto alle tornate precedenti (15% nel 2016; 29% nel 2017; 31% nel 2018) che conferma il trend di semplificazione e ri-bipolarizzazione del nostro sistema partitico locale. Centrosinistra e centrodestra hanno infatti dominato questo primo turno vincendo in 87 dei 99 comuni già assegnati. Si tratta di una percentuale molto superiore ai 2/3 registrati nel primo turno del 2018 (Emanuele e Paparo 2018a), ai 3/4 del primo turno 2017 (Emanuele e Paparo 2017a) e simile invece sia al primo turno del 2016 (quando però il bipolarismo crollò nei ballottaggi, con appena la metà dei comuni vinti da centrosinistra e centrodestra, vedi Maggini 2016) che alla situazione di partenza di questa tornata elettorale (89 comuni vinti dal centrosinistra e dal centrodestra su 99), in gran parte riferibile, come abbiamo visto, al 2014. Questo fenomeno di ri-bipolarizzazione può essere dovuto in parte all’effetto trascinamento del voto ‘politico’ delle concomitanti elezioni europee, che ha spinto i partiti nazionali a presentare il proprio simbolo quasi ovunque senza camuffarsi sotto insegne civiche e locali, come era spesso avvenuto negli ultimi anni. In parte però potrebbe anche essere dovuto ad una sorta di reazione anticipata da parte delle élite ‘civiche’ locali e dei ‘Signori delle preferenze’ (Emanuele e Marino 2016) che, compreso il rafforzamento delle due principali coalizioni e percependo di non essere realmente competitivi per la vittoria, preferiscono piuttosto entrare nelle due coalizioni principali con liste a supporto dei candidati sindaci democratici, leghisti o forzisti.

    Passando al quadro dei 122 ballottaggi che si terranno domenica, la Tabella 3 mostra per ciascuna forza politica il numero dei ballottaggi centrati rispetto alla situazione di partenza. Quest’ultima vede un rapporto di circa 4 a 1 tra centrosinistra (80) e centrodestra (21) per quanto concerne il sindaco uscente delle città al ballottaggio. Domenica lo scenario è destinato a cambiare: c’è infatti un sostanziale equilibrio fra le due coalizioni principali, con il centrosinistra in leggero vantaggio sia in termini di ballottaggi centrati (98 a 94) che di primi posti (52 a 48) che di uscenti in corsa (44 a 43). Un equilibrio che viene mantenuto anche fra le diverse zone geopolitiche, con una leggera prevalenza del centrosinistra nella Zona rossa (36 ballottaggi centrati contro 32 del centrodestra) e una più nutrita presenza di candidati civici al Sud (ma comunque largamente inferiore rispetto agli ultimi anni).

    Il cambiamento rispetto a 5 anni fa è tale che già adesso possiamo rispondere alla domanda formulata all’inizio su chi avanza e chi arretra rispetto alle precedenti comunali. Il PD rispetto alla tornata precedente sarà in perdita, a meno di non vincere in tutti i 98 comuni al ballottaggio. Solo così, infatti, pareggerebbe – sommando i 54 comuni vinti al primo turno – il numero totale di vittorie della situazione di partenza pre-voto (152). Ma è chiaramente un’ipotesi di scuola. Il centrodestra, invece, può praticamente già cantare vittoria rispetto alla situazione di partenza: amministrava 38 comuni, ha già vinto in 33 e compete per vincere in altri 94. Il Movimento Cinque Stelle non potrà che peggiorare il già magro bottino uscente (4 sindaci) dal momento che si giocherà la vittoria soltanto a Campobasso contro il centrodestra (peraltro partendo dal secondo posto del primo turno). La Destra priva di Forza Italia guadagna terreno, come era facilmente prevedibile: dopo aver vinto 4 città al primo turno (contro le due vinte in tutta la tornata precedente), accede al secondo turno in 16 comuni, fra i quali in ben 8 casi parte in vantaggio.

    Tab. 3 – I numeri del ballottaggio: uscente, incumbency, prima e seconda coalizione e zona geopoliticaconteggi3

    Scendendo nel dettaglio delle sfide al ballottaggio (Tabella 4), in 6 casi su 10 sarà una sfida fra centrosinistra e centrodestra, con quest’ultima in vantaggio in 40 città contro le 34 del centrosinistra. A queste 74 sfide possiamo aggiungere gli altri 11 casi in cui sarà invece la Destra a sfidare il PD. In 4 comuni la partita sarà interamente giocata all’interno del centrodestra, con il candidato appoggiato da Forza Italia che sfiderà quello del polo sovranista, mentre solo in 3 città avremo una sfida dal sapore completamente locale, ossia fra due candidati civici.

    Tab. 4 – Riepilogo delle sfide fra prima e seconda coalizione nei 122 comuni superiori al ballottaggioconteggi4

     

    Riferimenti bibliografici

    Chiaramonte, A., e Emanuele, V.  (2016), ‘Multipolarismo a geometria variabile: il sistema partitico delle città’, in V. Emanuele, N. Maggini e A. Paparo (a cura di), Cosa succede in città? Le elezioni comunali 2016, Dossier CISE(8), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 129-137.

    Chiaramonte, A., Emanuele, V., Maggini, N., e Paparo, A. (2018), ‘Populist Success in a Hung Parliament: The 2018 General Election in Italy’, South European Society and Politics, 23 (4), pp. 479-501.

    De Sio, L., Emanuele, V., e Maggini, N. (a cura di) (2014), Le elezioni europee 2014, Dossier CISE(6), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali.

    Emanuele, V., e Marino, B. (2016), ‘Follow the candidates, Not the parties? Personal vote in a regional de-institutionalized party system’, Regional & Federal Studies, 26 (4), pp. 531-554.

    Emanuele, V., e Paparo, A. (2017a), ‘Tutti i numeri delle comunali: scompare il M5s, il centrodestra torna competitivo, i civici sono il terzo polo’, in A. Paparo (a cura di), La rinascita del centrodestra? Le elezioni comunali 2017, Dossier CISE(9), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 51-57.

    Emanuele, V., e Paparo, A. (2017b), ‘Il centrodestra avanza, il Pd arretra: è pareggio. I numeri finali delle comunali ‘, in A. Paparo (a cura di), La rinascita del centrodestra? Le elezioni comunali 2017, Dossier CISE(9), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 191-198.

    Emanuele, V., e Paparo, A. (2018a), ‘Il centrodestra avanza, il centrosinistra arretra ma si difende, il M5S è fuori dai giochi’, in A. Paparo (a cura di), Goodbye Zona Rossa? Le elezioni comunali 2018, Dossier CISE(12), Roma, LUISS University Press, pp. 65-75.

    Emanuele, V., e Paparo, A. (2018b), ‘I numeri finali del voto: il centrodestra vince le comunali conquistando le roccaforti rosse’, in A. Paparo (a cura di), Goodbye Zona Rossa? Le elezioni comunali 2018, Dossier CISE(12), Roma, LUISS University Press, pp. 217-226.

    Landini, I. e Paparo, A. (2019), ‘Italy: Complete overturn among government partners – the League doubles, the M5S is halved’, Centro Italiano Studi Elettoriali, disponibile presso: https://cise.luiss.it/cise/2019/06/03/italy-complete-overturn-among-government-partners-the-league-doubles-the-m5s-is-halved/

    Maggini, N. (2016), ‘Il quadro riassuntivo dei ballottaggi: arretramento del PD, avanzata del centrodestra e vittorie storiche del M5S’, in V. Emanuele, N. Maggini e A. Paparo (a cura di), Cosa succede in città? Le elezioni comunali 2016, Dossier CISE(8), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 145-153.

    Vittori, D. e Paparo, A. (2019), ‘La partecipazione elettorale alle comunali – e il suo dirompente effetto su quella delle europee’, Centro Italiano Studi Elettorali, disponibile presso: https://cise.luiss.it/cise/2019/06/07/la-partecipazione-elettorale-alle-comunali-e-il-suo-dirompente-effetto-su-quella-delle-europee/.


    [1] I comuni superiori ai 15.000 abitanti al voto in queste elezioni amministrative erano 221. Corigliano-Rossano è escluso dal conteggio in quanto queste sono le prime elezioni del nuovo comune nato dalla fusione di Corigliano e Rossano che nelle precedenti amministrative avevano eletto due sindaci di diverso colore politico.

    [2] Nel 2017, invece, al primo turno vinse il centrosinistra (Emanuele e Paparo 2017a), mentre nel complesso si registrò un pareggio (con 53 vittorie a testa fra ai comuni superiori, vedi Emanuele e Paparo 2017b).

  • Il M5S “resiste” solo nelle province a maggior richiesta di assistenzialismo

    Il M5S “resiste” solo nelle province a maggior richiesta di assistenzialismo

    Il Movimento Cinque Stelle ha subito la più grave sconfitta elettorale della sua storia. Si è fermato al 17.1%, cedendo oltre 15 punti percentuali rispetto alle politiche del 4 marzo 2018 e lasciando sul campo oltre 6 milioni di voti. Questo calo è stato più o meno omogeneo fra le diverse aree del paese (fra 13 e 17 punti nelle cinque circoscrizioni) e le diverse province (con un calo mai inferiore ai 10 punti percentuali). Eppure, considerando il profilo territoriale del M5S del 2018, il risultato è una ulteriore accentuazione della meridionalizzazione del partito che, come vediamo nella mappa riprodotta nella Figura 1, quasi scompare dal Nord del paese (11,1% nel Nord Ovest e 10,3% nel Nord Est) mentre, seppur ridimensionato, rimane il primo partito del Sud con poco meno del 30% dei voti. Se assumiamo una prospettiva di comparazione storica, la meridionalizzazione di un grande partito in Italia non è un segno di buona salute. La Democrazia Cristiana e il Partito Socialista nella Prima Repubblica, Forza Italia nella fase terminale della Seconda Repubblica hanno tutti mostrato un forte trend di concentrazione del consenso nelle regioni meridionali che è coinciso con il loro declino elettorale dopo i fasti degli anni di governo.

    Figura 1. Mappa del risultato elettorale 2019 del M5S per provincia

    Mappa M5sA questo punto, la domanda che ci poniamo, è cosa spieghi oggi il consenso al partito di Di Maio. Alle politiche del 2018, la nostra analisi ecologica sul voto mostrava la forte correlazione con il tasso di disoccupazione (Emanuele e Maggini 2018). In altri termini, tenuto conto della zona geopolitica, il M5S otteneva le sue migliori performance laddove la disoccupazione era più forte. Abbiamo replicato l’analisi dello scorso anno, aggiungendo però due variabili che hanno riguardato l’azione del governo giallo-verde. In particolare, abbiamo aggiunto, ai tradizionali controlli socio-demografici e politici, la percentuale (sul totale della popolazione della provincia) di domande di reddito di cittadinanza e la percentuale (sul totale della popolazione compresa fra 15 e 64 anni della provincia) di domande di quota 100. Il risultato è molto interessante. Come vediamo nella Figura 2, il M5S ottiene le sue migliori performance nelle province nelle quali c’è stato un maggior numero di domande di reddito di cittadinanza. Questo effetto è significativo con una confidenza del 99% anche controllando per una serie di variabili politiche e socio-demografiche. In particolare, nel modello di regressione abbiamo controllato per zona geopolitica, performance del M5S nel 2018 (anche questo effetto è ovviamente positivo e significativo), PIL pro capite, percentuale di disoccupazione, percentuale di stranieri residenti, domande di quota 100. Naturalmente, nel complesso delle province italiane, osserviamo una forte correlazione fra disoccupazione e domande di reddito di cittadinanza. Per questo motivo, abbiamo anche controllato che l’effetto trovato nel modello di regressione non fosse il frutto della multicollinearità fra queste due variabili. Il risultato è confortante da questo punto di vista. Le domande di reddito di cittadinanza spiegano il voto al M5S anche togliendo il controllo della disoccupazione dal modello, mentre il tasso di disoccupazione non spiega il voto al M5S (come invece accadeva nel 2018) anche quando eliminiamo la percentuale di domande di reddito di cittadinanza. Questo ci dice che nel 2018 il M5S era il partito che più di ogni altro riceveva consensi nelle aree con una maggiore domanda di attenzione ai temi sociali. Nel 2019, invece, sembra che il M5S abbia resistito soltanto nelle aree dove è più forte la domanda di assistenzialismo, perdendo la sua capacità di presa nelle aree che, seppur socialmente ed economicamente svantaggiate, sembrano manifestare una domanda di lavoro più che di sussidi.

    Nel complesso, quindi, considerando sia la geografia del voto sia l’analisi ecologica, il M5S è oggi un partito che, rispetto solo ad un anno fa, ha perso centralità nell’elettorato italiano, riducendo la propria forza elettorale alle aree di maggiore perifericità territoriale e sociale.

    Figura 2. Associazione fra performance del M5S e domande di reddito di cittadinanza sul totale della popolazione per provincia (N=105)

    Reddito figura

     

  • Il fatidico 26 maggio è alle porte: quali gli interrogativi per l’Italia e l’Europa?

    Il fatidico 26 maggio è alle porte: quali gli interrogativi per l’Italia e l’Europa?

    Alla vigilia del voto del 26 maggio, risulta interessante chiarire quali saranno i dati da osservare con particolare attenzione durante la notte elettorale per comprendere le dinamiche del voto sia in Italia che in Europa.

    La letteratura sulle elezioni europee ci dice come queste ultime possano essere considerate quali elezioni di “secondo ordine” (Reif e Schmitt 1980). Queste sono tutte quelle consultazioni in cui in gioco non c’è il governo del paese. In questo tipo di elezioni, la posta in gioco è inferiore, e, di conseguenza, i cittadini sono più liberi di esprimere sinceramente il proprio voto, senza considerazioni di tipo strategico (Cox 1997). Sulla base di questa teoria, ci aspettiamo che, a parità di altre condizioni, la partecipazione elettorale sia più basse di quella delle elezioni politiche nazionali (quelle di “primo ordine”). Inoltre, con riferimento ai risultati elettorali dei partiti, ci aspettiamo che, sempre a parità di altre condizioni, subiscano un arretramento elettorale rispetto alle precedenti elezioni politiche: 1) i partiti di governo; 2) i partiti grandi; 3) i partiti ideologicamente moderati. Al contrario, la teoria prevede avanzate elettorali per: 1) i partiti di opposizione; 2) i partiti piccoli; 3) i partiti ideologicamente più estremi.

    Inoltre, la letteratura ci dice anche che occorre considerare il momento in cui queste cadono all’interno del ciclo politico nazionale. Sappiamo infatti che la popolarità del governo ha un andamento ciclico nel corso della legislatura (Campbell 1960; Miller e Mackie 1973; Tufte 1975; Stimson 1976), con un alto livello di consenso durante la fase iniziale della “luna di miele”, e un calo via via crescente fino a circa (poco dopo) la metà della legislatura, per poi risalire nella fase finale. Quindi, a parità di altre condizioni, i governi in carica andranno tanto meglio quanto più le elezioni europee si tengono vicine al loro insediamento, e tanto peggio, invece, quanto più sono vicine alla metà della legislatura.

    Tenuto conto di queste premesse generali, di seguito elenchiamo quindi i principali temi di interesse e chiavi interpretative di questa cruciale tornata elettorale.

    Italia

    • 1.TENUTA DELLA MAGGIORANZA DI GOVERNO

    Il primo tema di interesse riguarda la tenuta elettorale dell’area di governo. Un anno fa, alle elezioni politiche del 4 marzo, i due partiti che formano il governo Conte raggiunsero il 50% abbondante dei voti validi, con il M5S al 32,7% e la Lega al 17,4%.

    In linea con quanto detto sopra circa il ciclo politico nazionale, cinque anni fa il partito principale del governo appena insediatosi (il PD di Matteo Renzi) raccolse un risultato davvero lusinghiero. Mentre, nella fase della sua luna di miele, i principali partiti dell’opposizione arretrarono vistosamente.

    Oggi, a quasi un anno dall’insediamento del governo giallo-verde, dovremo capire se la luna di miele del paese con il governo è ancora in corso, o se è iniziato il calo della popolarità del governo. In questo, la soglia da monitorare sarà quella del voto delle politiche: il 50%. Al di sopra, il governo potrà cantare vittoria, indicando una sintonia con gli umori del paese; al di sotto, invece, registreremmo una sconfitta delle forze di governo.

    • 2. RAPPORTI DI FORZA TRA I PARTITI

    Al di là del successo dell’area del governo nel suo complesso, naturalmente sarà importante fare attenzione ai rapporti di forza fra i partiti, all’interno del governo ma non solo. Come ormai nostra consuetudine, noi proponiamo delle soglie benchmark che non derivano dalle aspettative basate sui sondaggi delle ultime settimane. Piuttosto, ci appoggiamo ai veri risultati elettorali del passato, a partire dalla considerazione che molto spesso per sviluppare modelli matematici di un fenomeno è spesso utile partire da assunti elementari (Taagepera 2008). In particolare, ci riferiamo all’indicatore che abbiamo elaborato: i rendimenti elettorali (RE) dei partiti calcolati come capacità di trasporre, in una data elezione di secondo ordine, il proprio consenso elettorale delle elezioni politiche nazionali (De Sio e Paparo 2018).

    La Tabella 1 mostra sinteticamente quali furono, per i principali partiti italiani, questi rendimenti nelle Europee 2014 rispetto alle politiche 2013 e, quando possibile, nelle Europee 2009 rispetto alle politiche 2008. L’ultima colonna della tabella mostra quale sarebbe il risultato elettorale delle Europee 2019 se quel partito ripeterà, quest’anno rispetto alle politiche dell’anno scorso, il proprio rendimento fatto osservare nei cicli precedenti. In altri termini, si tratta di una stima che mostra quale sia il risultato elettorale atteso per i diversi partiti. Ad esempio, la Lega sia nel 2009 che nel 2014 andò alle Europee meglio che alle politiche. Al contrario, il partito di Berlusconi ha avuto un rendimento negativo alle europee rispetto alle politiche in entrambi i cicli elettorali. Quindi, una certa crescita delle Lega, e un parallelo calo di Forza Italia appaiono ragionevoli da prevedere.

    Naturalmente, si tratta di una stima elaborata a partire da solo uno o due cicli passati, quindi inevitabilmente non molto robusta. Tuttavia, questi sono gli unici dati disponibili per i partiti in corsa, molti dei quali non esistevano nella forma attuale prima. Inoltre, si tratta di una stima che non tiene conto del particolare momento di popolarità o meno dei vari partiti. Proprio per questo, però, essa fornisce un benchmark, che ci permette di valutare lo stato di forma elettorale del partito, che sarà positivo se al di sopra della nostra aspettativa, o viceversa negativo se rimarrà al di sotto.

    Come si vede, il M5S potrà dirsi soddisfatto se riuscirà a non scendere al di sotto del 27,1%. Sotto questa soglia, saremmo di fronte a una inequivocabile sconfitta elettorale, tanto più grande quanto più ci si dovesse allontanare da tale benchmark. La Lega potrà cantare vittoria, se sarà al di sopra del 23,8%. Siccome per molti mesi, i sondaggi hanno dato il partito di Salvini ampiamente sopra il 30%, con la conseguenza che un risultato al di sotto di tale livello potrebbe non essere percepito come un successo. In realtà, come spesso accade, le aspettative sulla base dei sondaggi portano a delle distorsioni interpretative. Innanzitutto, qualunque risultato al di sopra del 17,4% raccolto alle scorse politiche, sarebbe il miglior della sua storia. Inoltre, anche in considerazione del tradizionale miglior rendimento alle Europee fatto registrare dalla Lega in passato, sopra il 23,8% saremmo di fronte a risultati che vanno al di là di questo tradizionale elemento, ma che segnalerebbero un successo della strategia di Salvini. Per il PD la soglia da monitorare è il 22,4%: al di sopra si potrà dire che la segreteria Zingaretti è partita con un successo. Al di sotto, invece, si dovrebbe di nuovo parlare di flop, anche se, magari, in crescita rispetto alle politiche 2018.

    Tab. 1 – Rendimenti elettorali dei principali partiti italiani alle elezioni europee rispetto alle politiche di un anno prima[1]ree

    Un ulteriore elemento che occorre tenere a mente è quello della concomitanza con le elezioni amministrative. Infatti, In circa la metà dei comuni italiani, le elezioni Europee si terranno insieme al primo turno delle comunali (3.779 di 7.915), mentre in Piemonte si terranno anche le elezioni regionali. Questo non è un elemento secondario, ma che anzi potrebbe giocare un ruolo importante, soprattutto nella mobilitazione degli elettori. Infatti, dove si vota per le comunali, oltre alla campagna elettorale nazionale, sono in campo i candidati sindaci e i consiglieri comunali. Questo elemento introduce un forte elemento di personalizzazione che tradizionalmente avvantaggia certi partiti e ne svantaggio di altri (Paparo e Cataldi 2014). Soprattutto, sono avvantaggiati i partiti con una storia di radicamento locale sui territori e quelli che possono contare su notabili con un forte consenso personale sul piano locale. Inoltre, la contemporaneità fra Europee e amministrative non è omogenea sul piano nazionale, ma presenta un profilo prevalentemente centro-settentrionale. Infatti, se è vero a livello nazionale, circa la metà dei comuni vota anche per le comunali, una percentuale molto più bassa è chiamata al voto al Sud, mentre assai di più sono quelli della Zona Rossa e del Nord. Mentre per vari partiti questi due fattori tirano in direzione opposta, entrambi questi elementi sembrano invece giocare a favore del PD che, come è noto, è tradizionalmente ben radicato sul piano locale e ha la propria area di forza elettorale proprio nelle regioni maggiormente interessate dal voto amministrativo.

    • 3. PARTITI A SEGGI

    Infine, un aspetto cruciale da valutare, al di là delle performance elettorali, risiede nella capacità di ottenere rappresentanza nel Parlamento Europeo. In questo senso, un ulteriore dato da monitorare durante la notte elettorale sarà quello relativo al numero di partiti in grado di superare la soglia di sbarramento del 4%. Gli ultimi sondaggi prima del black-out sembravano suggerire che tale obiettivo potrebbe essere centrato non solo dai quattro partiti principali, ma anche da Fratelli d’Italia e forse Più Europa (De Sio e Angelucci 2019). Al contrario, le forze alla sinistra del PD sembrano avere poche chance di entrare a Strasburgo.

    Nel 2014, la soglia fu superata da sei partiti con l’SVP che ottenne un seggio pur senza avere raggiunto la soglia per via delle norme a tutela delle minoranze linguistiche. Questo, nonostante il fatto che un solo partito sia stato in grado di concentrare su di sé il 40% dei voti. Quest’oggi, una simile concentrazione non sembra possibile, cosa che potrebbe lasciare maggiori opportunità per i piccoli partiti (quelli che i sondaggi accreditano fra l’1% e il 4­%) di giocarsi l’accesso ai seggi. Staremo a vedere se davvero sarà così.

    Europa

    • 4. GOVERNABILITÀ E MAGGIORANZA

    Il principale punto di interesse sul piano europeo riguarda la governabilità dell’Unione, e quindi la presenza di una maggioranza parlamentare politicamente compatibile. Tradizionalmente, l’UE è governata attraverso una grande coalizione fra popolari e socialisti europei. Così è stato anche nell’ultima legislatura europea, retta dalla Commissione Juncker. Sarà ancora così? O il declino elettorale dei socialisti, particolarmente rilevante in taluni paesi – quali Francia, Paesi Bassi, (Emanuele e Paparo 2018) renderà necessario un nuovo formato? E quale potrà essere?

    L’ipotesi meno dirompente prevede l’inclusione organica dei liberali dell’ALDE non solo nella composizione della Commissione, ma anche nella maggioranza parlamentare. Tra l’altro, l’ALDE è accreditato dalle proiezioni della vigilia di una grande crescita rispetto al 2014, comparabile con quella dei sovranisti, grazie alla nascita di partiti come En Marche! in Francia e Ciudadanos in Spagna. Questa soluzione garantirebbe una continuità rispetto agli indirizzi tradizionali dell’Unione.

    Altri scenari, invece, comporterebbero un più marcato cambiamento delle politiche rispetto al passato. Il primo è un allargamento a sinistra della coalizione di governo, che includa i Verdi, i quali in alcuni paesi hanno recentemente mostrato un ottimo stato di forma (Germania e Francia in primis).

    Un’altra possibile opzione, riguarda l’allargamento dell’area di governo verso destra, a costo però di una uscita dei socialisti. Su questo fronte, i possibili partner da includere sono almeno due: i conservatori e i sovranisti. I primi sono il gruppo per lo più formato dai Tories inglesi e dal Pis polacco (oltre che FDI per l’Italia). Il secondo è invece il gruppo dei partiti radicali di estrema destra (Mudde 2007): le Lega per l’Italia, il FN in Francia, AFD in Germania, Vox in Spagna, PVV in Olanda, e probabilmente anche il nuovo Brexit Party di Farage – atteso dai sondaggi a un successo straordinario.

    Naturalmente i numeri saranno decisivi. Cinque anni fa, ad esempio, una maggioranza sovranisti, conservatori e popolari non c’era. Stavolta potrebbe esserci, anche se diverse proiezioni degli ultimi giorni sembrano indicare che ciò sia altamente improbabile. Tuttavia, certo alla luce dei numeri, la scelta strategica decisiva sarà politica, e spetterà ai popolari europei. Il PPE è un agglomerato eterogeneo, al cui interno albergano sia forze vicine alle tradizionali politiche europee (rappresentate perfettamente dalla CDU di Angela Merkel), ma anche forze diverse che di fronte alla concreta scelta se governare con sovranisti o i socialdemocratici, nei loro paesi hanno scelto i primi – Kurz in Austria, ma anche Berlusconi in Italia, per non parlare di Orban in Ungheria.

    • 5. LA BREXIT E LE SUE CONSEGUENZE

    L’ultimo elemento che occorre considerare riguarda le conseguenze della Brexit sulla composizione del Parlamento Europeo, e quindi il suo funzionamento. In dettaglio, come nel 2014, saranno eletti 751 deputati europei, compresi i 73 del Regno Unito. Tuttavia, è già previsto che, appena la Brexit sarà finalizzata, di questi 73 seggi, 27 saranno redistribuiti ad alcuni dei paesi membri, mentre 46 non lo saranno[2]. Il Parlamento Europeo diventerà quindi di 705 deputati. Ora, questo impatta sulla governabilità. Infatti, fintanto che la Brexit non sarà ultimata, la maggioranza richiederà 376 deputati (compresi quelli inglesi), mentre dopo ne saranno necessari 353 (ovviamente senza gli inglesi). Ciò potrebbe comportare che la maggioranza post-elettorale pre-Brexit non abbia più i numeri all’indomani della Brexit, tanto più se i partiti con più seggi in Inghilterra saranno parte della maggioranza.

    Riferimenti bibliografici

    Campbell, A. (1960), «Surge and Decline: A Study of Electoral Change». Public Opinion Quarterly 24 (3): 397–418.

    Cox, G. (1997), Making votes count, Cambridge, Cambridge University Press, 1997.

    De Sio, L. e D. Angelucci (2019), «Sondaggio CISE: Lega primo partito, ma appena intorno al 30% – e il “sorpasso” PD si allontana». Disponibile presso: https://cise.luiss.it/cise/2019/05/09/sondaggio-cise-lega-primo-partito-ma-appena-intorno-al-30-e-il-sorpasso-pd-si-allontana/

    De Sio, L. e A. Paparo (2018), «Comunali: chi potrà dire di aver vinto?». Disponibile presso: https://cise.luiss.it/cise/2018/06/06/comunali-chi-potra-dire-di-aver-vinto/

    Emanuele, V. e A. Paparo (a cura di) (2018), Dall’Europa alla Sicilia. Elezioni e opinione pubblica nel 2017, Dossier CISE(10), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali.

    Miller, W. L., e Mackie, M. 1973. «The Electoral Cycle and the Asymmetry of Government and Opposition Popularity: An Alternative Model of the Relationship Between Economic Conditions and Political Popularity». Political Studies 21 (3): 263–279.

    Mudde, C. (2007). Populist radical right parties in Europe. Cambridge, Cambridge University Press.

    Paparo, A. e M. Cataldi, «Fi si salva alle Europee anche grazie alla concomitanza con le comunali», in De Sio, L., Emanuele, V. e Maggini, N. (a cura di) Le Elezioni Europee 2014, Dossier CISE(6), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 159-163.

    Reif, K., e H. Schmitt. 1980. «Nine Second-Order National Elections–a Conceptual Framework for the Analysis of European Election Results». European Journal of Political Research 8 (1): 3–44.

    Shugart, M. S. 1995. «The Electoral Cycle and Institutional Sources of Divided Presidential Government». American Political Science Review 89 (2): 327–343.

    Stimson, J. A. 1976. «Public Support for American Presidents A Cyclical Model». Public Opinion Quarterly 40 (1): 1–21.

    Taagepera, R. (2008), Making social sciences more scientific: The need for predictive models, Oxford, Oxford University Press.

    Tarli Barbieri, G. (2019), ‘Requiem per una defunta… C’era una volta la riserva di legge in materia elettorale’, Centro Italiano Studi Elettorali, disponibile presso: https://cise.luiss.it/cise/2019/05/25/requiem-per-una-defunta-cera-una-volta-la-riserva-di-legge-in-materia-elettorale/

    Tufte, E. R. 1975. «Determinants of the Outcomes of Midterm Congressional Elections». American Political Science Review 69 (3): 812–826.


    [1] Per il 2008 e 2009 i risultati di Forza Italia e Fratelli d’Italia sono quelli del PDL, la lista unitaria che li conteneva entrambi.

    [2] Tra questi, 3 seggi in più andranno all’Italia, portando il totale della nostra delegazione a Strasburgo a 76 unità. Ciò ha creato un vuoto normativo circa come vadano eletti questi 3 eurodeputati italiani aggiuntivi, che è stato recentemente colmato dalla Corte di Cassazione – non senza polemiche (Tarli Barbieri 2019).

  • Primarie PD: la partecipazione su base territoriale

    Primarie PD: la partecipazione su base territoriale

    Pubblicato su Questioni Primarie l’8 marzo

    Come noto, le primarie del PD hanno visto la netta vittoria di Nicola Zingaretti su Maurizio Martina e Roberto Giachetti. Quello che ha forse sorpreso di più gli osservatori, al di là dell’affermazione del Presidente del Lazio, è stata la partecipazione del “popolo delle primarie”, che ha visto più di un milione e mezzo di persone votare ai gazebo e nelle sedi del PD. Infatti, come mostrato in un precedente contributo sul primo numero di Questioni Primarie (Emanuele e Marino 2019), il voto dei circoli del partito, che costituiva la prima fase congressuale in vista delle primarie, aveva visto una notevole riduzione della partecipazione degli iscritti, sia in termini assoluti che relativi. Dunque, ci si sarebbe potuti aspettare una forte contrazione anche del numero di partecipanti alle primarie dello scorso 3 marzo. Invece, come annunciato dalla commissione del Congresso del partito, circa 1 milione e 600.000 persone avevano deciso di votare alle primarie. Questo dato, ancora parziale visto che, al momento della stesura di questo contributo, non sono ancora stati resi noti i risultati definitivi, può essere letto in vari modi. In termini assoluti, il numero di votanti alle primarie del PD è sempre stato in calo, passando dai 3 milioni e mezzo del 2007 ai 2 milioni e 800.000 di votanti del 2013 e poi al milione e 800.000 del 2017. Quindi, anche il 2019 ha visto un arretramento del numero di partecipanti alle primarie. Passiamo all’analisi relativa al tasso di partecipazione a livello nazionale. La Figura 1 qui sotto mostra il tasso di partecipazione alle primarie del PD dal 2007 al 2019. Il tasso di partecipazione è stato ottenuto semplicemente dividendo, per ciascuna primaria, il numero di votanti per il numero di voti ottenuti dal PD alle precedenti elezioni politiche alla Camera dei Deputati. La Figura 1 mostra che la variazione del tasso di partecipazione è molto più ondivaga rispetto all’andamento del numero assoluto di votanti. Dopo il picco del 2013 (32,3%), il minimo storico è stato raggiunto alle primarie del 2017, quando il rapporto tra votanti alle primarie ed elettori del PD era pari a poco più del 21%. Invece, nel 2019, si è arrivati ad una percentuale attorno al 26%. Naturalmente, su questo dato ha influito il crollo del PD alle elezioni del 2018, nelle quali il partito ha perso circa 2 milioni e mezzo di voti rispetto alle precedenti elezioni del 2013.

    Fig. 1 – Tasso di partecipazione alle primarie (2007-2019)primarie pd fig

    Passiamo ora ad analizzare la partecipazione a livello subnazionale. La premessa necessaria è che i dati che presentiamo sono basati, in un certo numero di casi, solo su stime relative al numero di votanti alle primarie, visto che il PD non ha ancora rilasciato i risultati ufficiali delle primarie. La Tabella 1 qui sotto indica, per ogni regione, il numero di votanti alle primarie del 2019, 2017 e 2013 e il tasso di partecipazione (calcolato dividendo il numero assoluto di votanti nella regione per il numero di voti validi ottenuti dal PD alle più recenti elezioni politiche in quella regione). Inoltre, la tabella presenta anche gli stessi dati aggregati per area geografica (Nord-Ovest, Nord-Est, Centro, Sud e Isole). Il primo dato interessante riguarda il numero assoluto di votanti: rispetto al 2017, è in calo in quasi tutta Italia, con alcune eccezioni: non solo il Lazio, roccaforte del nuovo segretario Zingaretti, ma anche il Veneto, il Trentino-Alto Adige e il Molise. Colpisce invece il crollo della partecipazione nelle regioni del Centro, l’ex Zona Rossa (Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Marche): dai circa 966.000 votanti del 2013 ai 414.000 del 2019 (meno 57% circa), mentre su base nazionale, tra 2013 e 2019, il calo è stato pari a circa il 45%. Seguono NordEst (meno 51%) e Nord-Ovest (meno 44%). Va meglio, rispetto alle altre aree del paese, il Sud (comprese le Isole), passato da quasi 950.000 votanti nel 2013 a circa 660.000 nel 2019, circa il 30% in meno, dunque notevolmente inferiore al calo della partecipazione su base nazionale. Questa tenuta del Meridione si rispecchia anche nella percentuale di voti alle primarie del 2019 in base alle diverse aree: se ai tempi della prima elezione di Matteo Renzi alla segreteria del partito (2013) il Sud pesava per circa il 34% dei votanti totali delle primarie, nel 2019 questa percentuale è salita fino al 43%. Parallelamente, il peso dell’ex Zona Rossa è passato da un 35% circa del 2013 a poco meno del 27% nel 2019. Passando invece al tasso di partecipazione, la Tabella 1 ci indica che sia per il Nord-Ovest che per il Nord-Est, il rapporto tra partecipanti alle primarie ed elettori del PD alle ultime politiche è in calo, tra 2013 e 2019, rispettivamente di 7,6 e 9,6 punti, mentre nella ex Zona Rossa questo calo è di circa 15 punti percentuali. Invece, al Sud e nelle Isole il confronto tra 2013 e 2019 mostra un tasso di partecipazione in aumento di più di due punti percentuali. In altre parole, il tasso di partecipazione aumenta laddove il PD è più debole, ovvero nelle regioni meridionali. Se invece confrontiamo la situazione del 2019 con quella, più ravvicinata, del 2017, la situazione cambia: il numero più basso di partecipanti alle primarie dell’aprile 2017, che riconfermarono Renzi alla guida del partito, fa cambiare il tasso di partecipazione (che, ricordiamo, sia per il 2013 che per il 2017 è calcolato sulle elezioni 2013). Dunque, tra 2017 e 2019 il tasso di partecipazione è in aumento in tutte le zone – complice il crollo del PD che, come già scritto, tra le elezioni del 2013 e quelle del 2018 ha lasciato per strada circa 2 milioni e mezzo di voti. Tuttavia, l’aumento più grande del tasso di partecipazione tra 2017 e 2019 è quello del Sud e Isole.

    Tab. 1 – Valori assoluti e tasso di partecipazione alle primarie a livello regionale e di area (2013, 2017, 2019)primarie pd tab

    Concludendo, dal 2013 al 2019 i votanti alle primarie del PD sono certamente diminuiti in valori assoluti, ma quello del 2019 è un “popolo delle primarie” che, messo in relazione con i risultati delle ultime elezioni politiche, non ha ancora abbandonato del tutto il partito – tutt’altro. Un altro elemento interessante è la meridionalizzazione dei votanti alle primarie: sempre più partecipanti alla selezione del leader del PD vengono dal Mezzogiorno e dalle Isole, mentre assistiamo ad un parallelo arretramento nelle altre zone del paese, soprattutto nell’ex roccaforte della ex Zona Rossa.

    Riferimenti bibliografici

    Emanuele, V. e B. Marino (2019), ‘Primarie PD: il voto nei circoli è una messa con sempre meno fedeli’, Questioni Primarie, 1, pp. 10-12. Disponibile presso https://cise.luiss.it/cise/2019/02/09/primarie-pd-il-voto-nei-circoli-e-una-messa-con-sempre-meno-fedeli-2/

  • Primarie PD: il voto nei circoli è una messa con sempre meno fedeli

    Primarie PD: il voto nei circoli è una messa con sempre meno fedeli

    Pubblicato su Questioni Primarie il 6 febbraio

    La convenzione nazionale del Partito Democratico (PD) svoltasi lo scorso 3 febbraio ha chiuso la prima fase del congresso e ha aperto la corsa per le primarie aperte del 3 marzo, che designeranno il nuovo segretario del principale partito di opposizione. Si sono dunque concluse le votazioni degli iscritti nei circoli del partito. L’analisi della partecipazione al voto nei circoli e dei risultati elettorali a livello territoriale ci permette di valutare lo stato di salute del PD a quasi un anno dalla drammatica sconfitta elettorale del 4 marzo 2018 che, dopo un’intera legislatura al governo, ne ha profondamente ridimensionato il ruolo nella politica e nella società italiana. Come comunicato dal presidente della Commissione per il “congresso”, questa fase congressuale ha coinvolto circa 6.500 circoli, per un totale di 189.101 votanti, pari al 50,5% degli aventi diritto. Il contesto generale è di un calo della partecipazione rispetto ai congressi di circolo degli anni precedenti: nello specifico, il tasso di partecipazione è calato di oltre 8 punti percentuali rispetto al 2017, quando votò il 58,8%. All’epoca, si trattò di una partecipazione in crescita rispetto al 2013, sebbene avvenuta nel contesto di una forte diminuzione degli iscritti, che passarono da circa 540.000 a 450.000 (Vittori 2017). Invece, l’elemento che risalta maggiormente è che il calo della partecipazione del 2019 avviene in un contesto di forte contrazione degli iscritti (meno 76.000 tesserati circa in due anni). In altre parole, in questa fase, il segno meno sembra essere il tratto distintivo del PD, che dopo il minimo storico delle politiche di un anno fa ha anche raggiunto il minimo storico del numero di iscritti, che si è più che dimezzato rispetto alla sua fondazione, e perfino di partecipazione al più importante evento della vita del partito, dove un iscritto su due resta a casa. Resta da capire se il numero di votanti alle primarie di marzo seguirà lo stesso trend negativo. (https://valorhealthcare.com/) Prima di passare all’analisi dei risultati, che come sappiamo hanno visto Zingaretti prevalere su Martina e Giachetti, è interessante dare un’occhiata alla geografia elettorale della partecipazione al voto nei circoli. Una premessa è necessaria: il Partito Democratico, ad oggi, non ha rilasciato dati disaggregati a nessun livello territoriale relativi a iscritti e votanti nei circoli. Abbiamo dunque proceduto facendo ricorso ai dati messi a disposizione da YouTrend.it, il cui dataset – aggiornato al 3 febbraio – raccoglie i dati inviati spontaneamente dai singoli circoli al sito. I dati disponibili a livello di circolo (e successivamente aggregati a livello provinciale) comprendono un totale di circa 130.000 voti, corrispondente a poco meno del 70% dei voti effettivamente espressi. Per quanto concerne gli iscritti, invece, disponendo del solo totale nazionale (374.786) comunicato dal presidente della Commissione per il congresso, abbiamo stimato gli iscritti per ciascuna zona geopolitica (Nord-ovest, Nord-est, Zona rossa, Sud) applicando lo swing tra zona geopolitica e totale nazionale delle primarie 2017 sui dati riportati da Questioni Primarie (2/2017). Naturalmente, questo indica che i dati che presentiamo da questo punto in avanti vanno interpretati con molta cautela. Come mostrato nella Figura 1, la geografia della partecipazione ai congressi di circolo sembra essere cambiata nel corso del tempo. Nello specifico, emerge il ruolo sempre più importante giocato dalle regioni del Nordovest, dove il tasso di partecipazione è stato pari al 76,5%, in crescita di ben 15 punti percentuali rispetto al 2017 e addirittura di quasi 30 rispetto al 2013. Al contrario, sembra essere ridimensionato il ruolo del Sud, che risultava l’area a più alta partecipazione nel 2013 (circa 70%) e che invece, nel 2019, mostra un calo fino al 46,7%. Un quadro che sembra rispecchiare la trasformazione della geografia elettorale del partito dopo le elezioni del 2018, ossia quella di un PD in grado di mantenere sostanzialmente le posizioni nelle grandi città del Nord ma in chiara ritirata dal Meridione.

    Fig. 1 – Tasso di partecipazione nei circoli, 2013, 2017, 2019[1]primarie_pd_circoli_fig1

    In questo quadro di bassa mobilitazione, il presidente della regione Lazio, Nicola Zingaretti, esce vincitore dalla prima fase del congresso, con il 47,4%, seguito dal tandem formato dall’ex segretario Maurizio Martina e da Matteo Richetti (36,1%) e dal ticket di estrazione renziana formato da Roberto Giachetti ed Anna Ascani (11,1%). Questi sono i tre candidati che, come stabilito dallo statuto del partito e dal regolamento congressuale, si sfideranno nelle primarie aperte di marzo. Resta invece fuori l’ex lettiano Francesco Boccia (4%), assieme agli outsider Dario Corallo e Maria Saladino (0,7% ciascuno). Come mostra la Figura 2, Zingaretti è arrivato primo in tutte le macro-aree del paese, sebbene si noti una marcata sovra-rappresentazione nel Sud (dove sovrasta Martina di oltre 27 punti percentuali, a fronte di uno scarto nazionale di “soli” 11 punti). C’è invece maggiore competizione nel Nord-est, dove Martina viene distanziato solo di 3,5 punti. Su questi dati pesa probabilmente il passaggio di molti notabili meridionali del partito che, in vista dei nuovi equilibri post-congressuali, si sono spostati dalla vecchia maggioranza renziana verso Zingaretti – una sorta di bandwagon anticipato che potrebbe risultare decisivo sull’esito delle primarie del 3 marzo. Infine, Giachetti non è mai realmente in corsa per la vittoria e risulta sovra-rappresentato nel Nordovest (17,4%) e invece appare del tutto marginale al Sud (8,1%).

    Fig. 2 – Percentuale dei voti ai tre principali candidati per macro-area, 2019primarie_pd_circoli_fig2

    In conclusione, Zingaretti sembra essere il grande favorito per il 3 marzo, eppure il suo 47,4% indica che il presidente del Lazio è ancora lontano dall’ottenere il pieno controllo del partito, a differenza di quanto avvenuto con Renzi nel 2017 – quando l’ex Presidente del Consiglio aveva ottenuto il voto di circa i 2/3 degli iscritti nei circoli (Emanuele 2017). Questo significa, da un lato, che la partita è ancora aperta e che la vittoria di Zingaretti sarà tanto più probabile, a parità di condizioni, quanto minore sarà lo scarto tra elettori nei circoli e elettori delle primarie. Dall’altro lato, l’elezione del nuovo segretario del PD potrebbe non chiudersi il 3 marzo: se infatti nessun candidato dovesse ottenere più del 50% dei voti ai gazebo, sarà l’assemblea nazionale ad eleggere, con il voto dei suoi delegati, il nuovo leader del PD tra i due candidati più votati alle primarie (D’Alimonte 2017). A quel punto sarebbero i voti di Giachetti, con ogni probabilità, ad essere decisivi.

    Riferimenti bibliografici

    D’Alimonte, R. (2017), ‘Primarie Pd, una conta in due tempi. Ecco regole e variabili’, Centro Italiano Studi Elettorali. https://cise.luiss.it/cise/2017/02/14/primarie-pd-una-conta-in-due-tempi-ecco-regole-e-variabili/

    Emanuele, V. (2017), ‘Primarie 2017, la competizione che non c’è (e si vede)’, Questioni Primarie, 5, pp. 11-12. https://cise.luiss.it/cise/2017/05/04/primarie-2017-la-competizione-che-non-ce-e-si-vede/

    Vittori, D. (2017), ‘Primarie Pd 2017: tutti i numeri della partecipazione e del voto’, Centro Italiano Studi Elettorali. https://cise.luiss.it/cise/2017/04/30/primarie-pd-2017-tutti-i-numeri-della-partecipazione-e-del-voto/


    [1] Per il 2017 e il 2019 i valori relativi alle quattro macro-aree sono stati calcolati senza tenere conto di alcune regioni di cui non abbiamo potuto stimare il numero di iscritti perché il dato era mancante già nel 2017 (Veneto, Marche, Puglia, Calabria, Sicilia).

  • Centralità della Lega e isolamento del PD: il nuovo spazio politico italiano

    Centralità della Lega e isolamento del PD: il nuovo spazio politico italiano

    Negli scorsi giorni il CISE ha realizzato un ampio e ricco sondaggio sulle opinioni politiche degli italiani[1]. Questa indagine arriva alla fine di un anno particolarmente denso di cambiamenti per la politica italiana, dal nuovo terremoto elettorale del 4 marzo (Chiaramonte et al. 2018) alla formazione del governo giallo-verde – un totale inedito nella storia del paese e più in generale dell’Europa occidentale, dove finora un governo composto interamente da partiti anti-establishment non era mai stato varato (Emanuele e Paparo 2018). Sulla fiducia degli italiani nei confronti del governo e della manovra economica in discussione in questi giorni in Parlamento, temi centrali del nostro sondaggio, abbiamo realizzato un’apposita analisi (Angelucci 2018). In questo articolo, invece, ci occupiamo dei rapporti di forza fra i partiti, dei flussi elettorali rintracciabili tra il 4 marzo e oggi e della configurazione dello spazio politico osservato, soprattutto dal punto di vista dell’ampiezza e della sovrapponibilità fra gli elettorati potenziali dei partiti. Un tema, quest’ultimo, particolarmente rilevante alla luce della grande volatilità elettorale che percorre l’Italia e l’Europa (Emanuele, Chiaramonte e Soare 2018), di cui abbiamo avuto un saggio alle ultime elezioni politiche e una forse ancora più impressionante testimonianza nel radicale cambiamento delle intenzioni di voto ai partiti rispetto al 4 marzo, come vedremo tra poco. L’analisi del potenziale elettorale delle forze politiche e la loro centralità o perifericità nello spazio politico italiano è infine un elemento chiave in vista delle prossime elezioni europee e inciderà sulle strategie dei partiti, a cominciare dal Partito Democratico (PD) che si appresta a celebrare il Congresso per l’elezione del nuovo segretario.

    Tab. 1 – Intenzioni di voto a confronto con i risultati delle elezioni politiche del 4 marzo (Camera dei Deputati)voteintLa Tabella 1 presenta le intenzioni di voto nel nostro campione, a confronto con il risultato delle elezioni politiche del 4 marzo. Non è certo una novità, dal momento che altri istituti lo segnalano ormai da mesi oltre il 30%, ma risalta il fatto che in appena 9 mesi la Lega di Salvini sia passata dal 17,4% al 30,6%, superando il Movimento Cinque Stelle (M5S) e stabilizzandosi come il maggior partito italiano. Il partito di Di Maio è invece in forte calo rispetto al 4 marzo, cedendo oltre 5 punti, poco meno di quelli che erano stati guadagnati dal M5S tra le politiche 2013 e le politiche 2018. Stabile il PD al 16,9%, anzi in leggera flessione rispetto ad altri istituti che lo stimano attorno al 17-18%. Oltre al M5S, l’altro grande sconfitto di questa fase politica che si è aperta dopo il 4 marzo è Berlusconi: il suo partito, Forza Italia, è quello che registra le maggiori perdite sia in termini assoluti che relativi. Si attesta infatti al 8,3% rispetto al 14% delle politiche, il che significa che ha ceduto il 40% del suo bacino elettorale, proseguendo così il lento ma inesorabile declino che va avanti dalle politiche 2008, quando l’allora Popolo delle Libertà raggiunse il massimo storico del 37,4% dei consensi. Infine, tra i piccoli partiti la novità principale è l’ascesa di Potere al Popolo che, complice la dissoluzione di Liberi e Uguali, guadagna quasi due punti rispetto al 4 marzo e, con il suo 2,4%, risulta il principale partito della galassia che si muove a sinistra del PD e comprende anche Sinistra italiana, Insieme e MDP, ossia il partito di Bersani e Speranza. Nel campione di intervistati, poi, pare che lo stato di mobilitazione politica delle elezioni del 4 marzo non sia ancora scemato: l’astensione è appena al 23,1% e più in generale la ‘area grigia’ ossia coloro che non sanno se andranno a votare e non sanno per chi voteranno, è piuttosto esigua, con un 71,2% del campione che dichiara l’intenzione di voto. Segno appunto di un clima da campagna permanente che pervade la società italiana.

    Fin qui il confronto fra le intenzioni di voto del nostro sondaggio e i risultati delle elezioni politiche 2018 si è limitato ad una semplice comparazione delle performance dei partiti. Adesso, tramite l’analisi dei flussi elettorali fra ricordo di voto delle politiche del 4 marzo e intenzioni di voto attuali siamo in grado di indagare quali sono stati gli effettivi movimenti di voto individuali degli elettori italiani e in particolare da dove arriva il successo della Lega e verso dove si sono dirette le perdite di Forza Italia e M5S.

    Il diagramma di Sankey visibile sotto (Figura 1) mostra in forma grafica le stime dei flussi elettorali fra le politiche del 4 marzo e il nostro sondaggio. A sinistra sono riportati bacini elettorali delle politiche, a destra quelli del sondaggio. Le diverse bande, colorate in base al bacino di provenienza alle politiche, mostrano le transizioni dai bacini delle politiche a quelli del sondaggio. L’altezza di ciascuna banda, così come quella dei rettangoli dei diversi bacini elettorali all’estrema sinistra e destra, è proporzionale al relativo peso sul totale degli elettori.

    Fig. 1 – Flussi elettorali fra ricordo di voto 2018 e intenzioni di voto, percentuali sull’intero elettorato (clicca per ingrandire)voteint_sankey

    Il diagramma mostra chiaramente la grande espansione elettorale della Lega che, come vediamo anche nella Tabella 2 – che riporta le destinazioni dal ricordo di voto 2018 – ha in assoluto il più alto tasso di riconferma rispetto al 4 marzo (88%). Oltre ad essere il più bravo in questa fase a mantenere saldi i suoi vecchi elettori, elemento tipico di un partito in ascesa, Salvini beneficia anche di flussi in entrata da 3 diverse direzioni. Innanzitutto, prosegue la già ben avviata OPA sul centrodestra, o su quello che ne è rimasto: Forza Italia e Fratelli d’Italia confermano poco più di 1 elettore su 2 e ne cedono 1 su 4 alla Lega. In secondo luogo, si segnala un rilevante ingresso dal M5S. Questo, infatti, conferma 2 elettori su 3, con il restante terzo che si astiene (14%) o sceglie l’alleato di governo (12%). Infine, Salvini rimobilita anche dal bacino dell’astensione, dal momento che quasi 1 astenuto su 10 tornerebbe alle urne per votarlo. Guardando questi flussi come quote dell’elettorato leghista odierno, si nota che appena il 58% del voto alla Lega sarebbe composto da elettori che già il 4 marzo avevano espresso la propria preferenza per Salvini. Il restante 42% viene invece, come detto, dal centrodestra (16%), dal M5S (12%) e dall’astensione (11%).

    Per quanto concerne gli altri partiti, osserviamo un discreto movimento fra i partiti alla sinistra del PD. Quest’ultimo è, dopo la Lega e il M5S, quello con il più alto tasso di riconferma (66%), a testimonianza di uno zoccolo duro di supporter che non lo hanno abbandonato nonostante la confusione e l’assenza di leadership in cui versa il partito ormai da mesi. Altri due partiti hanno invece cambiato molto. Da un lato +Europa, nonostante una stima elettorale superiore rispetto al 4 marzo, mostra un basso tasso di conferma (52%) e cede quasi 1 elettore su 5 al PD, raccogliendo invece elettori da Liberi e Uguali che ha il più basso tasso di conferma in assoluto (40%). Il progetto di Pietro Grasso è fallito e i suoi elettori sono fuoriusciti in diverse direzioni, a conferma dell’eterogeneità sociale e politica di questo cartello elettorale. Un quarto è andato verso l’astensione, mentre il 30% circa si è rivolto ad altre forze politiche, confluendo verso Potere al Popolo, M5S, PD e verso la suddetta +Europa.

    Tab. 2 – Flussi elettorali fra ricordo di voto 2018 e intenzioni di voto, destinazionivoteint_flussiL’analisi delle intenzioni di voto e dei flussi sono state utili per capire il movimento elettorale che è già avvenuto e lo stato dei rapporti di forza tra i partiti. Ma per avere un’idea più chiara dello spazio politico italiano e della sovrapponibilità fra i vari elettorati, e quindi della potenziale evoluzione futura dei flussi di voto e dei rapporti di forza tra i partiti non bastano. Dobbiamo invece ricorrere ad un diverso indicatore presente nel nostro sondaggio, la Propensione al voto (Propensity to vote, PTV). La PTV viene misurata chiedendo all’intervistato quanto è probabile in futuro che possa votare per un partito (vengono testati tutti i principali partiti), su una scala da 0 a 10 – dove 0 significa ‘per niente probabile’ e 10 significa ‘molto probabile’. Si tratta di una domanda utile per due motivi: innanzitutto ci permette di intercettare gli orientamenti dell’intero campione, dal momento che la quasi totalità degli intervistati accetta di rispondere sulla PTV (compresi coloro che invece non rispondono sull’intenzione di voto); in secondo luogo la PTV ci permette di identificare – selezionando chi dà a un partito un punteggio particolarmente alto – il potenziale elettorale del partito. Un dato particolarmente utile in una fase di transizione come quella attuale. Identifichiamo quindi come elettori potenziali di un partito coloro che presentano una PTV pari o superiore a 7.

    Fig. 2 – Lo spazio politico italiano secondo i diagrammi di Vennvenn_figLa Figura 2 riporta i diagrammi di Venn relativi ai principali partiti italiani. Ciascuna circonferenza rappresenta il bacino elettorale potenziale di un partito. Più grande è la porzione del campione che ha dato una PTV di almeno 7 per un partito, più grande è la sua circonferenza. Le aree di sovrapposizione fra i cerchi rappresentano la quota di elettori potenziali ‘in comune’ fra due o più partiti (ossia quegli elettori che esprimono una PTV pari o superiore a 7 per i partiti in questione). Come vediamo, ai 5 principali partiti italiani abbiamo aggiunto anche un possibile nuovo partito guidato da Matteo Renzi, il cui potenziale elettorale è stato appositamente testato da questo sondaggio. A tutti gli elettori è stata chiesta la propensione al voto nei confronti di tutti i partiti, e infine quella verso l’eventuale nuovo partito dell’ex segretario del PD: quindi l’inserimento di Renzi non influenza il risultato degli altri.

    Il grafico delinea il nuovo spazio politico italiano, la grandezza dei bacini potenziali, la relativa sovrapponibilità e il grado di centralità o perifericità dei partiti. Come vediamo, il centro del sistema è chiaramente occupato dalla Lega, che presenta il più alto potenziale elettorale (31%) ed anche sovrapponibilità con tutti i partiti: marginale quella con il PD, consistenti quelle con Forza Italia e Fratelli d’Italia, gigantesca quella con il M5S. La competizione interna all’area di governo pare oggi rappresentare il vero ‘core’ del nostro sistema partitico (Smith 1989). Si tratta della più ampia area di sovrapponibilità mostrata dalla nostra analisi. Una quota di quest’area è popolata da elettori che mostrano una alta propensione elettorale anche per Fratelli d’Italia, vero e proprio ‘esercito industriale di riserva’ del governo. Non solo, ma il partito di Giorgia Meloni è in generale quello più invischiato nella competizione con gli altri partiti. Del 10% del campione che costituisce il suo bacino elettorale, solo una piccola parte è esclusivo, mentre la stragrande maggioranza è a cavallo con i partiti di governo e anche con Forza Italia. Quest’ultima, non sorprendentemente, non presenta sovrapposizioni con il M5S e mostra solo un’area molto sottile in comune con il PD, a testimonianza che il ‘Muro di Arcore’ è ancora lì da vedere, nonostante la comune opposizione al governo. In questo nuovo spazio politico il PD è certamente il partito più periferico. Non considerando l’opzione di un nuovo partito di Renzi, la quasi totalità della circonferenza PD non è sovrapposta ad altri partiti. In un’analisi di questo tipo la perifericità è un Giano bifronte: da un lato assicura al partito uno zoccolo duro di supporter inalienabili che ne garantisce la sopravvivenza anche in questa traversata nel deserto (in questo caso il 12% del corpo elettorale); dall’altro lato la perifericità impedisce una potenziale espansione, e mostra plasticamente l’isolamento del partito anche in vista di possibili alleanze. Questo status quo potrebbe mutare considerevolmente con la discesa in campo di Matteo Renzi alla guida di un nuovo partito. Secondo i nostri dati Renzi ha un potenziale bacino del 7% degli elettori e farebbe da trait d’union tra il PD col quale, logicamente, mostra la più ampia area di sovrapponibilità, e Forza Italia, con il cui elettorato risulta significativamente connesso. Oltre a questo, però, il nuovo partito di Renzi non porterebbe un grosso valore aggiunto alla causa dell’opposizione: la quota di elettorato esclusivo renziano, infatti, è, come si vede dalla Figura 2, estremamente esigua.

    Riferimenti bibliografici

    Albertazzi, D., Giovannini, A., e Seddone, A. (2018), ‘No regionalism please, we are Leghisti!’ The transformation of the Italian Lega Nord under the leadership of Matteo Salvini’, Regional & Federal Studies, 28(5), pp. 645-671.

    Angelucci, D. (2018),’Il Governo Conte nel giudizio degli Italiani. ‘Honeymoon’ gialloverde e frammentazione delle opposizioni’. https://cise.luiss.it/cise/2018/12/21/il-governo-conte-nel-giudizio-degli-italiani-honeymoon-gialloverde-e-frammentazione-delle-opposizioni/ 

    Chiaramonte, A., Emanuele, V., Maggini, N., e Paparo, A. (2018), ‘Populist Success in a Hung Parliament: The 2018 General Election in Italy’, South European Society and Politics, https://doi.org/10.1080/13608746.2018.1506513

    Emanuele, V., Chiaramonte, A., e Soare, S. (2018), ‘Does the Iron Curtain Still Exist? The Convergence in Electoral Volatility between Eastern and Western Europe’, Government and Opposition, https://doi.org/10.1017/gov.2018.25

    Emanuele, V., e Maggini, N. (2015), ‘Il Partito della Nazione? Esiste, e si chiama Movimento 5 Stelle’. https://cise.luiss.it/cise/2015/12/07/il-partito-della-nazione-esiste-e-si-chiama-movimento-5-stelle/

    Emanuele, V., e Paparo, A. (a cura di) (2018), Gli sfidanti al governo. Disincanto, nuovi conflitti e diverse strategie dietro il voto del 4 marzo 2018, Dossier CISE(11), Roma, LUISS University Press e Centro Italiano Studi Elettorali.

    Smith, G. (1989), ‘Core persistence: Change and the ‘people’s party’, West European Politics 12(4), pp. 157-168.


    [1] Il sondaggio è stato realizzato con metodo CAWI (Computer-Assisted Web Interviewing) da Demetra opinioni.net S.r.l. nel periodo 10-19 dicembre. Il campione ha una numerosità di 1.113 rispondenti ed è rappresentativo della popolazione elettorale italiana per genere, classe di età, titolo di studio, zona geografica di residenza, e classe demografica del comune di residenza. Le stime qui riportate sono state ponderate in funzione del ricordo del voto alle politiche e di alcune variabili socio-demografiche. L’intervallo di confidenza al 95% per un campione probabilistico di pari numerosità in riferimento alla popolazione elettorale italiana è ±2,9%.

  • I numeri finali del voto: il centrodestra vince le comunali conquistando le roccaforti rosse

    I numeri finali del voto: il centrodestra vince le comunali conquistando le roccaforti rosse

    Per la prima volta dal 2010 il centrodestra vince le elezioni comunali. Politicamente aveva già ottenuto un risultato assai rilevante l’anno scorso, quando, grazie al successo nei ballottaggi, chiuse la tornata con 53 vittorie totali, esattamente alla pari con il centrosinistra. Quest’anno per la prima volta il centrodestra ha vinto nella maggioranza relativa dei comuni superiori, superando il centrosinistra 42 a 31. Inoltre, ed anche questo è un risultato senza precedenti, ha conquistato (ex) roccaforti rosse come Siena, Pisa e Terni.

    Come già osservato in un articolo precedente (Emanuele e Paparo 2018), la situazione di partenza di queste comunali vedeva un netto vantaggio del centrosinistra nei confronti della coalizione guidata da Berlusconi (57 a 23). Il primo turno aveva lasciato intravedere un ribaltamento dei rapporti di forza, ma nel complesso si registrava un equilibrio fra le due principali coalizioni protagoniste della stagione bipolare (16 a 12 per il centrodestra). Nei ballottaggi di ieri il vantaggio del centrodestra è aumentato (26 a 19), determinando l’esito finale di 42 a 31. Il risultato dei ballottaggi è ancor più rilevante se pensiamo che tradizionalmente si tratta di una tipologia di competizione che sfavorisce il centrodestra, dal momento che l’assenza del traino del voto di preferenza per i candidati consiglieri (presente invece al primo turno) penalizza i candidati moderati. Ieri notte invece le cose sono andate almeno in parte diversamente e il centrodestra ha ottenuto alcune vittorie di portata storica, fra le quali si segnala senz’altro il caso di Siena. Scendendo inoltre nel dettaglio dei capoluoghi, il centrosinistra governava 15 città e il centrodestra solo in una (Teramo), oggi la situazione si è decisamente ribaltata, con un vantaggio di 10 a 5 per il centrodestra (vedi Tabella 2). Va comunque segnalato che il centrodestra ha sì vinto 26 ballottaggi, ma era presente in 59 (in 32 casi da primo), quindi ne porta a casa meno del 50%. Risultato simile per il centrosinistra che competeva in 43 città (21 da primo) e vince in 19.

    Tabella 1. Comuni superiori: riepilogo vittorie al primo turno, ai ballottaggi e vittorie totali.

    comunali 2018 conteggi secondo turno

    * Completa il quadro Trapani, in cui le comunali dell’anno scorso non hanno eletto il sindaco (vedi Emanuele e Paparo 2017)

    Nel complesso, due comuni su tre sono vinti dalle due coalizioni di centrosinistra e centrodestra, erano 3 su 4 nelle precedenti comunali. Questo significa che è aumentato lo spazio di competizione per candidati (e coalizioni) alternative, coerentemente con la crisi del sistema bipolare che registriamo ormai da anni in tutte le competizioni elettorali (Chiaramonte e Emanuele 2014). A beneficiare di tale maggiore spazio non è però, se non in misura residuale il Movimento Cinque Stelle, che vince in appena 5 città (tra cui Avellino, ma perde a Ragusa e non riesce a ribaltare l’esito del primo turno a Terni). Sono invece sopratutto i candidati civici, ossia coloro che non sono espressione di partiti nazionali a beneficiare di questo spazio politico che si apre nei contesti locali: i candidati civici vincono in 20 città contro le 13 delle precedenti comunali. In particolare, è il Sud che fa registrare il maggior numero di vittorie per candidati civici (17), fra cui le importanti città siciliane di Messina e Siracusa (vedi Tabelle 2 e 4). Completano il quadro il buon risultato della sinistra alternativa al Pd (6 vittorie, il doppio che nelle precedenti comunali), le 3 vittorie delle coalizioni di centro (in calo rispetto alle 8 delle precedenti comunali) e le vittorie della Destra a Cisterna di Latina (già al primo turno) e a Ragusa.

    Tabella 2. Comuni capoluogo: riepilogo della situazione di partenza e dei risultati (primo turno e ballottaggio): in corsivo le coalizioni vincenti.

    comunali 2018 riepilogo capoluoghi

    La Tabella 3 illustra il dettaglio delle vittorie e delle sconfitte nei 75 comuni superiori al ballottaggio per tipo di sfida. Notiamo il mantenimento di un sostanziale equilibrio fra centrosinistra e centrodestra: si sfidavano in 33 città, con il centrodestra in vantaggio in 18 città contro le 15 del centrosinistra. Nel complesso, il rapporto si mantiene identico alla situazione che era emersa dopo il primo turno, con una vittoria del centrodestra per 18-15. Il centrodestra ha invece sofferto nelle sfide contro i candidati civici: su 15 città dove si presentava questo tipo di ballottaggio, il risultato è stato di 10 a 5 in favore dei candidati civici (tra cui spiccano Messina e Siracusa). Infine, il M5S ha vinto 5 ballottaggi su 7 (perdendo “solo” a Ragusa e Terni), confermando la propria forza in questo tipo di competizione grazie alla sua trasversalità. Tuttavia, rispetto alle tornate precedenti, il tasso di successo del partito di Di Maio è stato inferiore: nel 2016 i pentastellati conquistavano 18 città su 20 (90%), tra cui Roma e Torino (Emanuele e Maggini 2017), nel 2017 ancora 8 su 10 (80%) (Emanuele e Paparo 2017).

    Tabella 3. Comuni superiori: vincitore e sconfitto per tipo di sfida al ballottaggio.

    comunali 2018 dettaglio sfide secondo turno

    Disaggregando il confronto fra comunali 2018 e precedenti per zona geopolitica e dimensione demografica, infine, il Centro-Nord vedeva un netto predominio del centrosinistra (20 su 27 nel Nord e 13 su 16 nella Zona rossa), mentre nel Sud il quadro era più frammentato, con il centrosinistra in vantaggio sul centrodestra per 24-17, ma anche con una cospicua presenza di amministrazione civiche (9) e di centro (8). Il risultato di ieri fa emergere una netta differenziazione fra il Centro-Nord e il Sud del paese. Nel Centro-Nord l’arretramento del centrosinistra produce una competizione fondamentalmente bipolare, con un vantaggio del centrodestra (14 a 9 nel Nord e 8 a 6 nella Zona rossa). Nel complesso 37 città su 43 sono vinte da una delle due coalizioni principali. Il Sud invece registra un ulteriore aumento del multipolarismo, con appena 36 città su 66 vinte dalle due coalizioni principali (20 a 16 per il centrodestra). I candidati civici rappresentano qui il vero “secondo polo”, con 17 città conquistate. Inoltre, anche la sinistra alternativa al Pd e il M5S vincono in quest’area la quasi totalità dei rispettivi comuni conquistati (5 su 6 e 4 su 5 rispettivamente).

    Tabella 4. Confronto fra comunali 2018 e precedenti con dettaglio per zona geografica e dimensione demografica dei comuni.

    comunali 2018 dettaglio superiori con zona e dim dem

    Infine, per quanto concerne il voto per dimensione demografica, il centrodestra diventa la coalizione di maggioranza relativa in tutte le categorie di comuni, con un’avanzata sensibile sopratutto nei comuni medi (50.000-100.000 abitanti) e grandi (oltre 100.000), dove, a dispetto di una storica debolezza (Emanuele 2011), passa da 2 città amministrate a 12 (rispettivamente 9 nei comuni medi e 3 nelle grandi città), mentre il centrosinistra crolla da 19 a 8.

    Riferimenti bibliografici

    Chiaramonte, A. and Emanuele, V. (2014), Bipolarismo Addio? Il Sistema Partitico tra Cambiamento e De-Istituzionalizzazione, in A. Chiaramonte and L. De Sio (eds.), Terremoto elettorale. Le elezioni politiche 2013, Bologna, Il Mulino, pp. 233-262.

    Emanuele V. (2011), ‘Riscoprire il territorio: dimensione demografica dei comuni e comportamento elettorale in Italia’, Meridiana – Rivista di Storia e Scienze Sociali, 70, pp. 115-148.

    Emanuele, V. e Maggini, N (2017), ‘Le elezioni amministrative di giugno’. In: Chiaramonte, A. and Wilson, A. (a cura di), Politica in Italia. Edizione 2017. I fatti dell’anno e le interpretazioni, Bologna, il Mulino, pp. 103-122.

    Emanuele, V. e Paparo A. (2017), ‘IL centrodestra avanza, il Pd arretra, è pareggio: i numeri finali delle comunali’, in Paparo, A. (a cura di), La rinascita del centrodestra? Le elezioni comunali 2017, Dossier CISE (9), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 190-199.

    Emanuele, V. e Paparo, A. (2018), ‘Il centrodestra avanza, il centrosinistra arretra ma si difende, il M5S è fuori dai giochi’, https://cise.luiss.it/cise/2018/06/11/il-centrodestra-avanza-il-centrosinistra-si-difende-il-m5s-e-fuori-dai-giochi/

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    NOTA:

    Sinistra riunisce tutti i candidati sostenuti da almeno una fra PAP, RC, PCI, PC, MDP, LEU, SI, Verdi, IDV, Radicali, ma non dal PD;

    il Centrosinistra è formato da candidati nelle cui coalizioni a sostegno compaia il PD;

    il Centro riunisce tutti i candidati sostenuti da almeno una fra  NCI, UDC, CP, NCD, FLI, SC, PDF, DC, PRI, PLI;

    il Centrodestra  è formato da candidati nelle cui coalizioni a sostegno compaia FI (o il PDL);

    la Destra riunisce tutti i candidati sostenuti da almeno una fra  Lega, FDI, La Destra, MNS, FN, FT, CasaPound, DivBell ma non FI (o PDL).

    Quindi, se un candidato è sostenuto dal PD o da FI (o PDL) è attribuito al centrosinistra e al centrodestra rispettivamente, a prescindere da quali altre liste facciano parte della coalizione a suo sostegno.

    Se un candidato è sostenuto solo da liste civiche è un candidato civico (Altri). Se una coalizione è mista civiche-partiti, questi trascinano il candidato nel loro proprio polo se valgono almeno il 10% della coalizione, altrimenti il candidato resta civico. Se un candidato è sostenuto da partiti appartenenti a diverse aree (escludendo PD e FI/PDL che hanno la priorità), si valuta il relativo contributo dei diversi poli alla coalizione del candidato per determinarne l’assegnazione (al polo che pesa di più).

  • L’Italia divisa: bipolarismo al Nord e frammentazione al Sud. Il sistema partitico nei comuni capoluogo

    L’Italia divisa: bipolarismo al Nord e frammentazione al Sud. Il sistema partitico nei comuni capoluogo

    I risultati del primo turno delle elezioni comunali di domenica 10 giugno ci permettono di analizzare il sistema partitico italiano nei principali comuni in seguito allo ‘tsunami elettorale’ del 4 marzo 2018 (Chiaramonte e Emanuele 2018). Naturalmente, bisogna sempre essere cauti nell’estrarre indicazioni di carattere nazionale da competizioni locali, ma sicuramente alcuni elementi che analizzeremo in questo contributo possono aiutarci ad avere spunti di riflessione interessanti

     

    Bipolarismo e Frammentazione

    Il primo elemento da analizzare riguarda la struttura della competizione. La Tabella 1 presenta, per i 20 comuni capoluogo al voto, i valori dell’indice di bipolarismo (ovvero, la somma delle percentuali di voto ottenute dei due candidati più forti al primo turno), dell’indice di bipartitismo (ovvero, la somma delle percentuali di voto delle due liste più forti), il numero di liste che hanno ottenuto più dell’1% dei voti e, per ognuno di questi indicatori, il confronto in percentuale con le precedenti elezioni comunali.

    Tab. 1 – Bipolarismo, bipartitismo, numero di liste sopra l’1% e confronto con le precedenti comunali

    indici 20 capoluoghi 2018

    Nel 2018 l’indice di bipolarismo si attesta in media  al 68,8%, in lieve aumento rispetto alle precedenti comunali, nonché rispetto alle comunali dell’anno scorso (Chiaramonte e Emanuele 2017). A differenza del 2017, nel quale non vi erano significative differenze tra le tre macro-aree in cui sono stati suddivisi i 20 comuni capoluogo, nel 2018 il primo turno delle comunali ha mostrato una novità degna di nota, ossia la ri-bipolarizzazione del Nord Italia, dove, con un aumento medio di quasi 9 punti percentuali, i due candidati sindaco più votati superano mediamente l’85% dei voti.

    Non solo, ma escludendo l’eccezione di Imperia, nelle restanti città settentrionali, il bipolarismo supera il 90%, ritornando quindi sui livelli della Seconda Repubblica. Se è vero che il risultato è inficiato dall’assenza della lista del Movimento Cinque Stelle a Vicenza, che forse non a caso registra il valore più alto di bipolarismo tra i 20 capoluoghi, il ritorno di una competizione “classica” tra centro-sinistra e centro-destra a Brescia, Treviso e, in misura leggermente inferiore, a Sondrio, è sicuramente degna di nota.

    Tuttavia, i segni di una ri-bipolarizzazione del sistema finiscono qui, in quanto nella Zona Rossa vi è stata una sostanziale stabilità rispetto alle ultime elezioni comunali (sebbene con notevoli oscillazioni, si guardi ai casi di Ancona e Siena), mentre al Sud c’è addirittura una diminuzione di oltre 2 punti dell’indice di bipolarismo. Il dato del Sud è coerente con quanto emerso l’anno scorso, ma in totale controtendenza rispetto alle elezioni politiche del 4 marzo, dove il boom del Movimento Cinque Stelle e il crollo del centro-sinistra in quest’area avevano prodotto una sostanziale bipolarizzazione del sistema, se non addirittura la creazione di un’area a ‘partito predominante’ (Chiaramonte e Emanuele 2018).

    In questa fase di transizione, apertasi il 4 marzo, il sistema partitico a livello locale rimane ancora lontano dalla riacquisizione di un assetto bipolare. Tuttavia, non si può non sottolineare come le tre diverse aree del paese sotto esame (Nord, Zona Rossa, Sud) stiano prendendo strade sempre più diverse, con un Nord dove la debolezza strutturale del Movimento Cinque Stelle ha riportato il sistema verso una competizione a due poli, mentre, nel Centro-Sud, da un lato la forza del partito di Di Maio e dall’altro la presenza di numerosi candidati civici competitivi mantiene il sistema fondamentalmente multipolare.

    Il fatto che il ritorno al bipolarismo sia ancora una illusione è confermato dall’ulteriore crescita della frammentazione partitica. Infatti, l’indice di bipartitismo nei 20 comuni capoluogo si attesta al 33,5%, in ulteriore diminuzione rispetto alle precedenti elezioni negli stessi comuni (-1,4%). Come già in passato (Chiaramonte e Emanuele 2016; 2017), la presenza di molte liste civiche a carattere locale costituisce un fattore di indebolimento per i partiti più grandi.

    Non sorprendentemente, sono i comuni del Sud a mostrare la frammentazione più alta, con un indice di bipartitismo pari a 25,5%, in discesa di 3 punti percentuali rispetto alle precedenti comunali nei 20 comuni. Inoltre, il numero di liste che ottengono più dell’1% dei voti nei comuni meridionali capoluogo al voto è pari a 17,7, con una punta di ben 25 liste a Messina (+9 rispetto alle comunali nella città peloritana di cinque anni fa). Queste cifre ci danno il senso di una competizione ormai pressoché atomizzata, dove i partiti nazionali faticano ad andare in doppia cifra (Paparo 2018) e, allo stesso tempo, esiste un enorme numero di liste locali e civiche capaci di ottenere un numero ragguardevole di voti, grazie ad una competizione fondamentalmente candidate-oriented (Fabrizio e Feltrin 2007), trainata, più che dai partiti nazionali, dai Signori delle Preferenze (Emanuele e Marino 2016).

    Se, per quanto riguarda il bipolarismo, è il Nord ad essere l’eccezione, quando si parla di bipartitismo e frammentazione è invece il Sud a deviare dal resto del paese. È in particolare nella zona rossa che si registra il più alto livello di bipartitismo (43,3%). Il dato è coerente con il passato, vista la storica forza del PD in questa area del paese ma, dopo la catastrofe del centro-sinistra alle elezioni del 4 marzo, il risultato non era affatto scontato.

     

    La struttura della competizione nei 20 comuni capoluogo: il triangolo di Nagayama

    Passiamo ora ad analizzare più nel dettaglio la competizione tra i candidati sindaci, grazie al cosiddetto triangolo di Nagayama (1997), che consente di visualizzare una se­rie di informazioni riguardanti il grado di bipolarismo (la concentrazione percentuale dei voti sui primi due candidati sindaco) e di competitività (lo scarto percentuale di voti tra i primi due candidati sindaco) nei comuni capoluogo (Figure 1 e 2). Il triangolo di Nagayama è un diagramma in cui la posizione dei singoli punti – ovvero dei singoli comuni– è deter­minata da due coordinate: la percen­tuale di voti ottenuta dal candidato arrivato primo (asse delle ascisse) e la per­centua­le di voti ottenuta dal can­didato arrivato secondo (asse delle ordinate). Tutti i punti (ovvero, tutti i comuni) si collocano all’interno di un triangolo isoscele. I due lati uguali del triangolo hanno le seguenti pro­prietà:

    –         Lato di sinistra: uguaglianza di voti dei due candidati più forti. I comuni che si collocano nella fascia a ridosso di tale lato (che corrisponde ad uno scarto di voti tra primo e secondo compreso tra 0 e 10%) sono comuni competitivi. Inoltre, tan­to più tali comuni sono vicini al vertice in basso a sinistra, tanto più sono comuni caratterizzati da una competizione multipolare.

    –         Lato di destra: comuni dove sono presenti solo due candidati “forti”. Tutti i comuni che si collocano nella fascia a ridosso di tale lato (che corrisponde ad una somma di voti dei due candidati arrivati primo e secondo compresa tra 90 e 100%) sono comuni bipolari. Inoltre, tan­to più tali comuni sono vicini al vertice in basso a destra, tanto più si tratta di comuni non competitivi.

    Infine, il rombo al vertice superiore del triangolo include i comuni bipolari e competitivi, mentre l’area non compresa all’interno delle fasce laterali include molte situazioni di competizione caratterizzate comunque da un certo livello di multipolarismo e di non competitività.

    Figg. 1 e 2 – Il triangolo di Nagayama applicato ai risultati delle elezioni del sindaco nei 20 comuni capoluogo, elezioni precedenti nelle stesse città ed elezioni 2018 nei 20 comuni capoluogo.

    nagayama comunali prec 2018

    nagayama comunali 2018

    Analizziamo ora la dispersione dei pun­ti nel dia­gramma relativo all’ applicazione dei risultati nei 20 comuni capoluogo, con riferimento sia alle elezioni del 2018 (Figura 2) sia a quelle precedenti negli stessi comuni (Figura 1). In particolare, nel passaggio tra le comunali di cinque anni fa a quelle del 2018, si nota un deciso aumento della bipolarizzazione nei comuni in questione e anche un lieve incremento della competitività. Infatti, mentre nelle precedenti comunali non figurava alcun comune all’interno del rombo al vertice superiore del triangolo, e solo 5 città erano incluse nel lato sinistro (che caratterizza situazioni competitive e multipolari) (Figura 1), dopo il primo turno delle comunali 2018 (Figura 2) troviamo una città (Vicenza) che rappresenta un caso di perfetta bipolarizzazione e altre due (Brescia e Treviso) che cadono nel lato destro del triangolo, ma comunque vicino al vertice superiore, evidenziando altre due situazioni bipolari, sebbene meno competitive.

    Inoltre, anche i comuni compresi nel lato sinistro del triangolo passano da 5 a 6, e di conseguenza scende significativamente (da 15 a 11) il numero di città con una competizione multipolare e non competitiva. All’interno di questa grande categoria residuale troviamo ovviamente contesti molto diversi tra loro: da un lato, Sondrio mostra un modello fondamentalmente bipolare e competitivo, simile alle altre città del Nord-Est, dall’altro, il caso di Trapani, dove il centro-sinistra ha trionfato con oltre il 70% dei voti, figura come un chiaro outlier vicino al vertice in basso a destra del triangolo.

    Se, rispetto alle precedenti comunali, come abbiamo detto, notiamo un aumento del bipolarismo e un lieve incremento della competitività, rispetto invece alle comunali del 2017 la situazione è in parte diversa (si vedano i dati in Chiaramonte e Emanuele 2017). Infatti, il bipolarismo risulta in crescita anche rispetto ad un anno fa, ma è la competitività a mostrare un netto declino. Nel 2017, infatti, ben 14 capoluoghi su 24 cadevano lungo il lato sinistro del triangolo, mentre quest’anno, come già scritto, solo 6 su 20 capoluoghi si trovano nella stessa posizione. Inoltre, sia rispetto alle precedenti comunali, sia rispetto all’anno scorso, i punti del diagramma risultano più dispersi, indicando la presenza di strutture di competizione più variegate rispetto al passato e, in particolare, con una netta differenza tra il Nord, che sembra aver virato verso il bipolarismo (tendenzialmente competitivo) e il Centro-Sud nel quale permane una struttura multipolare con un grado variabile di competitività.

     

    Una tipologia dei ballottaggi

    È possibile collegare la struttura della competizione, che abbiamo analizzato finora, con l’esito dei ballottaggi? È possibile fare delle ipotesi tramite lo studio di due dimensioni: il distacco tra il primo e il secondo candidato sindaco al primo turno (in punti percentuali) e il potenziale di ‘voti disponibili’ al ballottaggio (cioè la percentuale di voti ottenuti dai candidati sindaco sconfitti al primo turno).

    Riguardo alla prima dimensione, minore è il distacco tra il primo e il secondo classificato, più aperta sarà, almeno teoricamente, la sfida del secondo turno. Invece, in merito al potenziale di voti, maggiore è la percentuale di voti raccolti dai candidati sindaco sconfitti, più alte saranno, sempre in teoria, le possibilità di rimonta per i secondi classificati. Se incrociamo queste due dimensioni, otteniamo un diagramma che identifica quattro possibili situazioni nei 14 capoluoghi al ballottaggio (si veda la Figura 3 sotto).

     

    Fig. 3 – Tipologia della competizione nei 14 comuni capoluogo al ballottaggio

    tipologia sfide ballottaggi 2018

     

    Tanto più i punti della Figura 3 si avvicinano ai quattro angoli della Figura 3, tanto più i comuni potranno essere categorizzati come vicini ad un ‘tipo’ specifico di competizione. Se, invece, i punti sono più vicini al centro grafico, sarà più difficile attribuire i comuni ad uno dei quattro tipi. Iniziando dalla parte alta della figura, troviamo due situazioni in cui esiste un grande distacco tra il primo e il secondo classificato. In questi casi, la rimonta del secondo classificato sarà tanto più possibile – in teoria – quanto più alta è la percentuale di voti ‘disponibili’ al ballottaggio. La partita più chiusa sembra essere quella di Terni, nella quale il candidato sindaco arrivato primo ha ottenuto quasi il 50% dei voti, mentre il secondo si è fermato a 24 punti percentuali di distacco. I voti “disponibili” sono il 25,7% del totale, quindi, assumendo che non ci sia un’ulteriore rimobilitazione e che gli elettori che hanno votato per i primi due candidati non cambino idea in queste due settimane, è evidente che la rimonta di Thomas de Luca su Leonardo Latini appare matematicamente estremamente complicata. Una situazione simile c’è ad Ancona, dove il distacco tra primo e secondo è pari a quasi 20 punti percentuali, mentre i voti “disponibili” sono il 23,6%. Anche in questo caso, mantenendo gli stessi assunti esposti prima, una rimonta sembra davvero molto difficile.

    La situazione è invece diversa in altre città come Avellino e Viterbo, dove il distacco tra primo e secondo è sempre ragguardevole, ma la percentuale di voti “a disposizione” al secondo turno è decisamente più alta (36,9% ad Avellino e 42,2% a Viterbo). In questo caso, per i secondi classificati, c’è ancora “potenziale di rimonta”.

    Passiamo alla parte bassa della figura. Essa delinea situazioni competitive, in cui cioè il distacco tra il primo e il secondo classificato è contenuto. Nello specifico, i comuni che si trovano vicini all’angolo in basso a sinistra del grafico sono quei casi in cui i candidati sindaco che non sono arrivati al ballottaggio hanno ottenuto una percentuale limitata di voti. Questo vuol dire che ci troviamo di fronte a competizioni più bipolari. È molto interessante notare come quasi nessun comune ricada in questa parte del diagramma, con la parziale eccezione di Sondrio.

    Diversi casi ricadono invece nella parte destra, così come già visto in occasione di precedenti tornate di elezioni amministrative (Chiaramonte ed Emanuele 2016; 2017).In questi ultimi casi, la struttura della competizione è sostanzialmente multipolare e c’è anche una più ampia percentuale di voti ‘disponibili’ al ballottaggio. Nello specifico, Pisa, Siena, Siracusa e, in misura minore, Massa ed Imperia, sono città nelle quali lo scarto tra i primi due candidati sindaco è molto contenuto e dove vi è anche una enorme bacino percentuale di voti a disposizione. Queste sono le situazioni più competitive ed imprevedibili. In ben 3 città (Pisa, Massa, e Siena), saranno soprattutto le seconde preferenze degli elettori pentastellati a determinare se il PD riuscirà a tenere le città toscane o verrà scalzato dai candidati del centrodestra.

     

    Riferimenti bibliografici

    Chiaramonte, A. e Emanuele, V. (2016), ‘Multipolarismo a geometria variabile: il sistema partitico delle città’, in Emanuele, V., Maggini, N. e Paparo, A. (a cura di), Cosa succede in città? Le elezioni comunali 2016, Dossier CISE (8), Roma, CISE, pp. 129-137.

    Chiaramonte, A. e Emanuele, V. (2017), ‘L’illusione bipolare: il sistema partitico nelle città al voto nel 2017’, in A. Paparo (a cura di), La rinascita del centrodestra? Le elezioni comunali 2017, Dossier CISE (9), Roma, CISE, pp. 73-81.

    Chiaramonte e Emanuele, V. (2018), ‘L’onda sismica non si arresta. Il mutamento del sistema partitico italiano dopo le elezioni 2018’: https://cise.luiss.it/cise/2018/03/09/londa-sismica-non-si-arresta-il-mutamento-del-sistema-partitico-italiano-dopo-le-elezioni-2018/.

    Emanuele, V. and Marino, B. (2016), ‘Follow the candidates, not the parties? Personal vote in a regional de-institutionalised party system’, Regional and Federal Studies, 26(4), pp. 531-554.

    Fabrizio, D. e Feltrin, P. (2007), ‘L’uso del voto di preferenza: una crescita continua’, in A. Chiaramonte and G. Tarli Barbieri (a cura di), Riforme istituzionali e rappresentanza politica nelle Regioni italiane, Bologna, Il Mulino, pp.175–199.

    Nagayama, M. (1997), Shousenkyoku no kako to genzai [Il presente e il futuro dei collegi uninominali], paper presentato al convegno annuale della Associazione giapponese di scien­za politica, 4-6 settembre.

  • Il centrodestra avanza, il centrosinistra arretra ma si difende, il M5S è fuori dai giochi

    Il centrodestra avanza, il centrosinistra arretra ma si difende, il M5S è fuori dai giochi

    Un sostanziale rafforzamento del centrodestra trainato dalla Lega; un arretramento del centrosinistra, sebbene forse meno pronunciato di quanto ci si sarebbe aspettato alla vigilia; un Movimento Cinque Stelle che, sebbene più forte rispetto alle precedenti comunali, continua a recitare poco più che un ruolo di comparsa; la tenuta dei candidati ‘civici’ ossia non legati ad alcun partito nazionale, che continuano ad essere molto competitivi a livello locale (soprattutto al Sud) e rappresentano, in termini di vittorie al primo turno e numero di ballottaggi centrati, il vero terzo polo del paese; la presenza di situazioni locali peculiari che rendono difficile l’interpretazione del voto in chiave nazionale.

    Queste le principali indicazioni emerse dal voto di ieri, in attesa che termini lo spoglio delle schede e diventino definitivi i dati sui risultati di candidati e liste.

    Questo turno di elezioni comunali coinvolgeva 6,5 milioni di elettori per un totale di 760 comuni di cui 109 superiori ai 15.000 abitanti e 20 capoluoghi di provincia. Si è trattato della prima tornata elettorale di rilievo nazionale successiva alle elezioni politiche del 4 marzo, quindi di per sé importante per comprendere lo stato di salute delle forze politiche a 100 giorni dal terremoto elettorale del 4 marzo e a pochi giorni dall’insediamento del governo M5S-Lega (Emanuele e Maggini 2018).

    Come sempre, interpretare il voto alle elezioni amministrative non è facile. Il peso dei fattori locali è in alcuni contesti decisivo. Inoltre, vista la moltitudine di città al voto sul territorio nazionale, tutti i partiti hanno qualche vittoria da intestarsi. Un buon metodo di lavoro, dunque, è quello di partire innanzitutto dai dati, e in particolare dalla situazione di partenza (Vittori e Paparo 2018) intesa come colore politico delle amministrazioni uscenti. Come mostra la Tabella 1, nei 109 comuni superiori che hanno votato ieri e dei quali è disponibile il confronto con le precedenti comunali, il centrosinistra (PD e alleati) aveva vinto nella maggioranza assoluta dei comuni (57), mentre il centrodestra (ossia Forza Italia e i suoi alleati) ne aveva conquistati poco più di un quinto (23). Era un’Italia nel complesso ancora bipolare, sebbene sbilanciata a favore del centrosinistra: le due principali coalizioni conquistavano circa i 3/4 dei comuni. Nonostante le precedenti comunali fossero avvenute, per la stragrande maggioranza dei comuni, pochi mesi dopo le elezioni politiche del 2013[1], non si intravedevano, a livello locale, quei segnali di disgregazione del quadro politico che erano emersi con forza alle politiche del 24 e 25 febbraio del 2013. Il M5S, infatti, vinceva in appena 4 comuni (tra cui Ragusa), molti meno di quelli conquistati dall’area di centro (8) e dalle liste civiche, che rappresentavano già la ‘terza forza’ a livello locale con 13 comuni conquistati. Completavano il quadro 3 città vinte da candidati di sinistra alternativi al PD.

    Tabella 1. Riepilogo dei vincitori e delle presenze al ballottaggio nei 109 comuni superiori.

    comunali 2018 conteggi primo turno

    * Completa il quadro Trapani, in cui le comunali dell’anno scorso non hanno eletto il sindaco (vedi Emanuele e Paparo 2017)

     

    Passando all’analisi di queste comunali, sorprende la crescita del numero di sindaci eletti al primo turno: sono ben 34, sei in più rispetto alla tornata precedente, quando furono 28[2]. Nei comuni già assegnati si nota una leggera prevalenza del centrodestra sul centrosinistra (16 a 12), mentre in cinque città prevalgono candidati sostenuti da liste civiche e in una città vince la destra (Cisterna di Latina).

    Fra i capoluoghi, sono sei quelli già assegnati: il centrosinistra vince a Brescia e a Trapani (addirittura con oltre il 70% dei voti) mentre il centrodestra si riprende i capoluoghi del Veneto (Treviso e Vicenza, dove peraltro il M5S era assente), vince a Barletta e chiude l’era Enzo Bianco a Catania. Il dato dei sindaci eletti al primo turno è in continuità con quanto si verificò l’anno scorso, con 43 sindaci eletti al primo turno su 149 rispetto ai 37 della tornata precedente (Emanuele e Paparo 2017). Si tratta quindi di un apparente ritorno al bipolarismo che mette il trend degli ultimi due anni a livello locale in contrasto con la trasformazione in senso tripolare del sistema partitico italiano che era avvenuta a tutti i livelli a partire dalle elezioni del 2013 (Chiaramonte e Emanuele 2013; 2014; 2016) e che è sostanzialmente stata confermata alle politiche del 4 marzo (Chiaramonte e Emanuele 2018). In questa tornata ci si sarebbe potuti aspettare una crescita della competitività del Movimento Cinque Stelle, che ha presentato un proprio candidato sindaco e una propria lista in 89 comuni su 109 (Vittori e Paparo 2018) e poteva finalmente capitalizzare a livello locale il grande successo ottenuto a livello nazionale appena 100 giorni fa. Il voto conferma invece la debolezza strutturale del partito di Maio a livello locale, dove la competizione è fondamentalmente candidate-oriented e il Movimento, oltre a non possedere forti ‘Signori delle preferenze’ (Emanuele e Marino 2016), rifiuta alleanze con altri partiti e liste civiche, riducendo così drasticamente il numero di candidati consiglieri a sostegno dei propri aspiranti alla carica di sindaco, diminuendo in tal modo le proprie chances di vittoria.

    La terza colonna della Tabella 1 presenta infatti il numero di ballottaggi conquistati e la relativa posizione di accesso alla sfida del prossimo 24 giugno. Come si può facilmente notare, il M5S è sostanzialmente scomparso dalla partita: si giocherà sette ballottaggi, fra i quali Ragusa, l’unico capoluogo dove governava[3]. Il suo risultato finale il 24 giugno rischia pertanto di essere inferiore a quello delle precedenti amministrative, quando, come detto, trionfò in quattro comuni.

    Le due principali coalizioni di centrosinistra e centrodestra si confermano le protagoniste indiscusse della partita a livello locale: Forza Italia e i suoi alleati accedono al secondo turno in 59 comuni sui 75 che andranno al ballottaggio, mentre il PD e i suoi alleati competeranno in 43 città. Fra le 59 città che vedranno un candidato del centrodestra al ballottaggio, in ben 32 i candidati sostenuti da Forza Italia partono in vantaggio sul candidato rivale. Fra questi, segnaliamo il caso di Terni, dove Leonardo Latini ha sfiorato la vittoria al primo turno in quella che fino a poco tempo fa era una roccaforte rossa (vedi Tabella 2, che presenta il dettaglio della situazione dopo il primo turno nei 25 capoluoghi). Oltre al caso di Terni, il centrodestra è in vantaggio in altri 7 capoluoghi (Sondrio, Pisa, Teramo, Viterbo, Brindisi, Messina e Siracusa). Considerando che alle precedenti comunali la coalizione forza-leghista partiva da 23 comuni, si comprende che il centrodestra ha la possibilità concreta di incrementare nettamente il proprio bottino in queste amministrative. Inoltre, è fortemente candidata a diventare lo schieramento vincente di queste amministrative, ribaltando i rapporti di forza delle precedenti comunali che la vedevano soccombente 23 a 57 nei confronti del centrosinistra. Quest’ultima, come detto, si giocherà il ballottaggio in 43 città, fra le quali 21 dove partirà in vantaggio sul candidato rivale. Fra queste troviamo tre città della Zona rossa (Ancona, Massa e Siena), oltre ad Avellino. E’ dunque già evidente che la coalizione a guida PD non potrà che far peggio del 2013: anche nell’ipotesi, difficilmente verificabile, di una vittoria dei democratici in tutti i ballottaggi, il computo totale delle vittorie sarebbe di 55 contro le 57 delle scorse comunali.

    Prosegue, invece, l’ottimo rendimento dei candidati civici, in continuità con gli anni precedenti (Emanuele e Maggini 2016; Emanuele e Paparo 2017). Oltre alle cinque città vinte al primo turno ci sono ben 25 candidati civici a giocarsi i ballottaggi, e in ben 12 città partono in testa: fra queste non si segnala nessun comune importante, ma in 3 capoluoghi (Viterbo, Messina e Siracusa) i civici partiranno dal secondo posto del primo turno.

    Il quadro è infine completato dalle altre coalizioni: la sinistra alternativa al PD, che governava tre comuni superiori, potrebbe incrementare il proprio bottino: corre infatti al ballottaggio in otto città, e in ben cinque parte in testa. La destra, che cinque anni fa non governava alcuna città, ha già vinto a Cisterna di Latina e si giocherà il ballottaggio (partendo dalla seconda posizione) in altri cinque comuni, fra i quali Ragusa. Infine il centro è sostanzialmente scomparso: alle precedenti amministrative le liste centriste governavano otto città, oggi figurano al ballottaggio solo in tre casi, fra i quali Imperia.

    Tabella 2. Dettaglio dei vincitori e delle sfide al ballottaggio nei comuni capoluogo.

    conteggi 2018 tab 2

    * A Trapani, in cui le comunali dell’anno scorso non hanno eletto il sindaco (vedi Emanuele e Paparo 2017)

    Uscendo dal confronto con le precedenti amministrative, possiamo disarticolare in modo più preciso e completo questi numeri guardando al dettaglio delle sfide al ballottaggio nei 75 comuni superiori che non hanno eletto il sindaco al primo turno (vedi Tabella 3). Nel 44% dei casi (33) il menù prevede la classica sfida fra centrosinistra e centrodestra, con la coalizione berlusconiana in leggero vantaggio ai nastri di partenza (18 a 15). Il secondo tipo di sfida più frequente è quello fra centrodestra e candidati civici, che avrà luogo in 15 città, con un vantaggio nove a sei del centrodestra. Tutte le altre sfide hanno una frequenza inferiore o pari a cinque: tante sono infatti le città in cui la partita si giocherà interamente nel campo progressista, con il candidato PD sfidato da un candidato di sinistra radicale. In due città, invece, la partita si gioca all’interno della coalizione di centrodestra, con il candidato forzista sfidato da un candidato di destra (Lega e/o Fratelli d’Italia). Interessante notare infine che in quattro città la competizione è totalmente depoliticizzata: a sfidarsi saranno infatti due candidati civici.

    Tabella 3. Riepilogo delle sfide tra prima e seconda coalizione nei 75 comuni superiori al ballottaggio.

    conteggi 2018 tab 3

     

    Riferimenti bibliografici

    Chiaramonte, A. e Emanuele, V. (2013) ‘Volatile and Tripolar: The new Italian party system’, in De Sio L., Emanuele, V., Maggini, N. and Paparo, A. (eds.) (2013), The 2013 Italian General Elections, Rome, CISE, pp. 95-100.

    Chiaramonte, A. and Emanuele, V. (2014) ‘Il sistema partitico italiano tra cambiamento e stabilizzazione su basi nuove’ in De Sio L., Emanuele, V. and Maggini, N. (a cura di) (2014), Le Elezioni Europee 2014, Dossier CISE (6), Roma, CISE, pp. 147-152.

    Chiaramonte, A. e Emanuele, V. (2016), ‘Multipolarismo a geometria variabile: il sistema partitico delle città’, in Emanuele, V., Maggini, N. e Paparo, A. (a cura di), Cosa succede in città? Le elezioni comunali 2016, Dossier CISE (8), Roma, CISE, pp. 129-137.

    Chiaramonte, A. e Emanuele, V. (2018), ‘L’onda sismica non si arresta. Il mutamento del sistema partitico italiano dopo le elezioni 2018’, https://cise.luiss.it/cise/2018/03/09/londa-sismica-non-si-arresta-il-mutamento-del-sistema-partitico-italiano-dopo-le-elezioni-2018/

    Emanuele, V., e Maggini, N. (2016), ‘Calo dell’affluenza, frammentazione e incertezza nei comuni superiori al voto’, in Emanuele, V., Maggini, N. e Paparo, A. (a cura di), Cosa succede in città? Le elezioni comunali 2016, Dossier CISE (8), Roma, CISE, pp. 49-56.

    Emanuele, V., e Maggini, N. (2018), ‘Perché le elezioni comunali di domenica sono importanti?’, https://cise.luiss.it/cise/2018/06/04/perche-le-elezioni-comunali-di-domenica-sono-importanti/

    Emanuele, V. e Marino, B. (2016), ‘Follow the candidates, not the parties? Personal vote in a regional de-institutionalised party system’, Regional and Federal Studies, 26(4), pp. 531-554.

    Emanuele, V. e Paparo A. (2017), ‘Tutti i numeri delle comunali: scompare il M5S, il centrodestra torna competitivo, i civici sono il terzo polo’, in Paparo, A. (a cura di), La rinascita del centrodestra? Le elezioni comunali 2017, Dossier CISE (9), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 51-57.

    Riggio, A. (2018), ‘Comunali in Sicilia: una legge elettorale sui generis regola un’offerta rinnovata, https://cise.luiss.it/cise/2018/06/09/comunali-in-sicilia-una-legge-elettorale-sui-generis-regola-unofferta-rinnovata/

    Vittori, D. e Paparo, A. (2018), ‘Il quadro della vigilia della comunali: le alleanze e le amministrazioni uscenti’, https://cise.luiss.it/cise/2018/06/07/il-quadro-della-vigilia-della-comunali-le-alleanze-e-le-amministrazioni-uscenti/


    NOTA:

    Sinistra riunisce tutti i candidati sostenuti da almeno una fra PAP, RC, PCI, PC, MDP, LEU, SI, Verdi, IDV, Radicali, ma non dal PD;

    il Centrosinistra è formato da candidati nelle cui coalizioni a sostegno compaia il PD;

    il Centro riunisce tutti i candidati sostenuti da almeno una fra  NCI, UDC, CP, NCD, FLI, SC, PDF, DC, PRI, PLI;

    il Centrodestra  è formato da candidati nelle cui coalizioni a sostegno compaia FI (o il PDL);

    la Destra riunisce tutti i candidati sostenuti da almeno una fra  Lega, FDI, La Destra, MNS, FN, FT, CasaPound, DivBell ma non FI (o PDL).

    Quindi, se un candidato è sostenuto dal PD o da FI (o PDL) è attribuito al centrosinistra e al centrodestra rispettivamente, a prescindere da quali altre liste facciano parte della coalizione a suo sostegno.

    Se un candidato è sostenuto solo da liste civiche è un candidato civico (Altri). Se una coalizione è mista civiche-partiti, questi trascinano il candidato nel loro proprio polo se valgono almeno il 10% della coalizione, altrimenti il candidato resta civico. Se un candidato è sostenuto da partiti appartenenti a diverse aree (escludendo PD e FI/PDL che hanno la priorità), si valuta il relativo contributo dei diversi poli alla coalizione del candidato per determinarne l’assegnazione (al polo che pesa di più).

    [1] In 80 dei 109 comuni superiori al voto la tornata precedente fu nel 2013 (73%), mentre i restanti 29 comuni sono tornati alle urne negli anni successivi in seguito alla fine anticipata delle rispettive consiliature.

    [2] Sull’aumento del numero di vittorie al primo turno bisogna segnalare che tale innalzamento è facilitato, per i comuni siciliani, dal cambiamento della legge elettorale regionale per l’elezione dei sindaci (l.r. 17/2016). Essa consente di vincere al primo turno con il 40% dei voti, non più con la maggioranza assoluta (Riggio 2018). Non è un caso che su 19 comuni siciliani superiori ai 15.000 abitanti che sono andati al voto, ben 11 hanno eletto il sindaco al primo turno.

    [3] Eppure il sindaco uscente, Federico Piccitto, non si è ricandidato, e il Movimento ha sostenuto Lorenzo Tringali.

  • Perché le elezioni comunali di domenica sono importanti?

    Perché le elezioni comunali di domenica sono importanti?

    Il 10 giugno gli elettori italiani saranno chiamati alle urne per rinnovare i sindaci e i consigli comunali di 760 comuni di cui 109 superiori ai 15.000 abitanti, fra i quali anche 20 capoluoghi di provincia. Si tratta di una tornata numericamente un po’ inferiore rispetto alla media annuale delle elezioni comunali. Basti pensare che nel 2016 si votò in 1.342 comuni di cui 143 superiori (fra i quali le quattro maggiori città del paese), mentre nel 2017 i comuni superiori furono addirittura 160 fra cui Genova e Palermo. Anche considerando i cittadini coinvolti dal voto, nel 2016 la tornata interessava 15 milioni di elettori, nel 2017 9, mentre quest’anno gli elettori chiamati alle urne secondo il Ministero dell’Interno saranno 6,6 milioni, di cui poco meno di 4 nei comuni superiori. Quest’anno mancano le grandi metropoli del paese e non ci sono città al voto superiori ai 300.000 abitanti.  Tutto ciò potrebbe indurre a ridimensionare l’importanza di questa tornata elettorale ad un test di rilievo solo locale. Tuttavia non sarà così, dal momento che si tratterà del primo test elettorale di portata ‘nazionale’ dopo le elezioni politiche del 4 marzo. Proprio come successe già nel 2013, quando le comunali seguirono a 100 giorni di distanza il ‘terremoto elettorale’ provocato dall’emergere del M5S e dalla crisi del sistema bipolare della Seconda Repubblica (Chiaramonte e De Sio 2014; Paparo e Cataldi 2014), queste elezioni forniranno una chiave di lettura importante per valutare gli effetti di 90 giorni di decorso post-elettorale e gestazione del nuovo governo sulle opinioni politiche degli italiani.

    Quali sono gli elementi di rilievo nazionale che potremo trarre dall’analisi dell’esito di questo voto? In altri termini, a quali interrogativi circa l’evoluzione dell’opinione pubblica e del sistema partitico il voto del 10 giugno potrà rispondere?

    • L’affluenza continuerà a crollare come nelle tornate precedenti? Negli ultimi anni, infatti, abbiamo assistito ad una significativa diminuzione della partecipazione al voto a tutti i livelli, con particolare riguardo per le elezioni amministrative: basti pensare che nel 2016 la partecipazione diminuì di 5 punti (Emanuele e Maggini 2016) e nel 2017 addirittura di oltre 7 rispetto al turno precedente (Maggini 2017). Sarà ancora così? Teniamo però conto del fatto che nel 2013, ossia nel turno di amministrative precedente a quello odierno per la stragrande maggioranza dei comuni al voto il 10 giugno, l’affluenza fu molto bassa già all’epoca (60,5%; Emanuele 2014).
    • Passando ai risultati del voto, questo test comunale ci fornirà indicazioni importanti sull’evoluzione del nostro sistema partitico, uscito ancora una volta rivoluzionato dalle elezioni politiche. La struttura tripolare emersa in Italia a partire dal 2013 si instaurerà finalmente anche a livello locale? Sappiamo infatti che, nonostante l’emergere del Movimento Cinque Stelle (M5S) a livello nazionale, nelle elezioni amministrative nella maggior parte dei comuni la sfida principale per la vittoria è sempre stata quella fra le due coalizioni classiche del bipolarismo italiano, centrosinistra e centrodestra (con le significative eccezioni delle vittorie del partito di Grillo a Roma e Torino nel 2016). Sarà ancora così? O, addirittura, assisteremo all’emergere di un nuovo bipolarismo tra centrodestra e cinquestelle (un’evoluzione fatta intravedere già in occasione del voto del 4 marzo), con il centrosinistra relegato in una posizione marginale? Inoltre, che ruolo giocheranno le liste civiche che, nel 2017, furono il vero ‘terzo polo’ con 29 vittorie nei comuni superiori? La loro proliferazione negli ultimi anni è stata il sintomo della crisi di logoramento dei partiti tradizionali. L’affermazione di soggetti politici ‘nuovi’ come la Lega nazionale di Salvini o il M5S di Di Maio, riuscirà a riassorbire parte di questo bacino di voti fuoriusciti dai partiti tradizionali?
    • Scendendo nel dettaglio delle principali forze politiche, un osservato speciale sarà il M5S. Per due motivi. Primo, il partito di Di Maio stato nettamente la forza politica più votata alle elezioni del 4 marzo ed è appena riuscito a formare il nuovo governo. Un risultato di portata storica, anche in chiave comparata. Ma riuscirà a trasferire anche a livello locale questa grande popolarità di cui gode nell’opinione pubblica? La domanda non è banale, perché finora il M5S non è mai riuscito a trasferire in elezioni subnazionali il grande consenso ricevuto alle elezioni politiche: ha sempre fallito l’appuntamento con le elezioni regionali, mentre alle comunali, pur vincendo alcune sfide importanti e dimostrandosi particolarmente abile nei ballottaggi, ha solitamente recitato un ruolo da terza forza. Questo perché il contesto locale delle elezioni comunali, costituito dalla forte presenza di voto personale (grazie al voto di preferenza e all’opportunità offerta del voto disgiunto) e dalle scelte strategiche del partito (che rifiuta alleanze con altre forze politiche o liste civiche) ha, finora, strutturalmente sfavorito il Movimento. La seconda ragione per cui il M5S sarà un osservato speciale in queste elezioni è che la maggior parte dei comuni superiori al voto (66 su 109) è costituita da comuni del Sud. Un’area nella quale il partito di Di Maio è risultato di gran lunga la prima forza politica con il 44% dei voti e in cui sarà chiamato a confermare il proprio predominio.
    • Queste elezioni saranno poi un banco di prova cruciale per il centrodestra e i suoi rapporti di forza interni. La Lega, altro grande vincitore delle elezioni, riuscirà a fare il pieno di voti anche in queste comunali? Si tratta infatti di capire se la Lega sarà in grado di porsi come la forza egemone del centrodestra superando Forza Italia e la pletora di liste locali e civiche che solitamente rimpolpano la coalizione, soprattutto nei contesti meridionali dove il voto ai Signori delle preferenze (Emanuele e Marino 2016) è un elemento decisivo della competizione. E la nuova egemonia leghista sul centrodestra, si verificherà anche al Sud? O sarà ancora Forza Italia, o magari le liste locali, a mantenere la golden share della coalizione?
    • Passando al centrosinistra, la coalizione a guida PD reciterà ancora un ruolo da protagonista, come è sempre accaduto nelle tornate amministrative, oppure sarà relegata a terzo polo lontano dai due principali competitor, come già accaduto il 4 marzo? Le elezioni amministrative, infatti, sono sempre state un terreno favorevole al centrosinistra. Anche quando la coalizione non brillava a livello nazionale, la capacità di creare coalizioni competitive, il radicamento territoriale e la presenza di una forte classe dirigente con esperienza amministrativa hanno sempre inciso positivamente sulle performance del centrosinistra alle elezioni comunali. Giusto per dare qualche numero, nel 2013 (il turno corrispondente a queste comunali) il centrosinistra vinse in 54 comuni superiori su 92. Negli ultimi due anni, pur arretrando di fronte all’avanzata del centrodestra, la coalizione guidata dal Pd è stata sempre quella con più comuni totali vinti (45 nel 2016 e 53 nel 2017, a parità con il centrodestra; Maggini 2016; Emanuele e Paparo 2017).
    • Infine, un focus particolare lo merita la Sicilia. Andranno infatti al voto ben 19 comuni superiori della Regione, fra cui 5 capoluoghi (Catania, Messina, Siracusa, Ragusa e Trapani). Dati questi numeri il voto siciliano sarà particolarmente rilevante per intercettare il clima d’opinione dell’Isola dopo solo 3 mesi dal sensazionale 48,5% raccolto dal M5S, avvenuto a sua volta ad appena 5 mesi dall’affermazione del centrodestra alle elezioni regionali. Qui la sfida sarà presumibilmente giocata fra questi due poli, con il M5S chiamato a confermarsi anche a livello locale di fronte ad un centrodestra che gode tradizionalmente di ottima salute ogniqualvolta il sistema elettorale permette il voto di preferenza. Non solo, ma c’è da considerare anche l’importante novità della legge elettorale regionale per i comuni dell’Isola (l.r. 17/2016) che, a differenza della legge Ciaffi, consegna la vittoria al primo turno alla coalizione che raggiunge il 40% (e non la maggioranza assoluta).

    Lunedì mattina inizieremo a dare alcune risposte a questi interrogativi

    Riferimenti bibliografici

    Cataldi, C. e Paparo, A. (a cura di) (2014), Le elezioni comunali 2013, Dossier CISE(5), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali.

    Chiaramonte, A. e De Sio, L. (a cura di), Terremoto elettorale. Le elezioni politiche 2013, Bologna, Il Mulino.

    Emanuele, V. (2014), ‘Comunali 2013: l’affluenza cala a picco ma il confronto con il 2008 è fuorviante’, in C. Cataldi e A. Paparo (a cura di), Le elezioni comunali 2013, Dossier CISE(5), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 35-38.

    Emanuele, V. e Maggini, N. (2016), ‘Calo dell’affluenza, frammentazione e incertezza nei comuni superiori al voto’, in Emanuele, V., Maggini, N. e Paparo, A. (a cura di), Cosa succede in città? Le elezioni comunali 2016, Dossier CISE (8), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 49-56.

    Emanuele, V. e Marino, B. (2016), ‘Follow the candidates, not the parties? Personal vote in a regional de-institutionalised party system’, Regional and Federal Studies, 26(4), pp. 531-554.

    Emanuele, V. e Paparo A. (2017), ‘Il centrodestra avanza, il Pd arretra: è pareggio. I numeri finali delle comunali’, in Paparo, A. (a cura di), La rinascita del centrodestra? Le elezioni comunali 2017, Dossier CISE (9), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 191-199.

    Maggini, N. (2016), ‘IL quadro riassuntivo dei ballottaggi: arretramento del Pd, avanzata del centrodestra e vittorie storiche del M5S’, in Emanuele, V., Maggini, N. and Paparo, A. (a cura di), Cosa succede in città? Le elezioni comunali 2016, Dossier CISE (8), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 145-153.

    Maggini, N. (2017), ‘Netto calo dell’affluenza nei comuni superiori al voto’, in Paparo, A. (a cura di), La rinascita del centrodestra? Le elezioni comunali 2017, Dossier CISE (9), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 45-49.