Autore: Alessandro Riggio

  • L’anatra zoppa: quando il presidente non ha la maggioranza nel congresso

    L’anatra zoppa: quando il presidente non ha la maggioranza nel congresso

    Il presidente degli Stati Uniti gode di prerogative
    uniche tra le democrazie occidentali. Cumula le cariche di capo di Stato, di
    governo e delle forze armate. (www.genusinnovation.com) Nomina i vertici delle agenzie federali e – con
    ratifica del Senato – i giudici della Corte Suprema. La sua primazia
    istituzionale non costituisce però una variabile indipendente, quanto il prodotto
    di una condizione necessaria, e talvolta insufficiente: l’orientamento politico
    del Congresso, ovvero di due assemblee – la Camera dei Rappresentanti e il
    Senato – elette in un tempo e con funzioni diverse.

    L’organo legislativo ha rappresentato a
    lungo il perno del meccanismo decisionale americano. Nel XIX secolo, il
    presidente – con le eccezioni di Andrew Jackson e Abraham Lincoln – pativa un
    ruolo di subordine, a scapito di un “governo congressuale” (Fabbrini 2011). La
    svolta maturò nei primi decenni del Novecento. Presidenti come i Roosevelt, sia
    il repubblicano Theodore che il democratico Franklin Delano, e Woodrow Wilson, modificarono
    gli equilibri in favore della Casa Bianca, accrescendo la burocrazia federale e
    le responsabilità dell’esecutivo. Questo avvenne senza innovare la Costituzione,
    tranne con l’introduzione – risalente al 1951 – del 22° emendamento sul vincolo
    dei due mandati. Sebbene rimanesse un’elezione indiretta per il tramite dei
    grandi elettori, il presidente trasformò la propria legittimazione in
    un’investitura popolare. Il suo ufficio divenne un pulpito da cui predicare
    alla nazione (Testi, 2008).

    Ciononostante, l’acquisita preminenza non equivalse
    affatto a sistematica predominanza. Tutt’altro: dal 1969 almeno un ramo del
    Congresso appartiene di base all’opposizione, dove il governo diviso rende il
    presidente un’anatra zoppa (Fabbrini 2011), pur a fronte del suo diritto di
    veto alle leggi approvate. Negli ultimi 50 anni, appena in 14 il presidente ha
    contato sull’appoggio contestuale di Camera e Senato, perlopiù in periodi
    limitati: Bill Clinton (1993-1995), George W. Bush (2003-2007), Barack Obama
    (2009-2011), Donald Trump (2017-2019). Il democratico Jimmy Carter ne beneficiò
    per l’intero quadriennio (1977-1981), salvo poi perdere nettamente le elezioni presidenziali
    del 1980 contro Ronald Reagan. Il repubblicano, eletto e riconfermato con
    numeri plebiscitari, non ricevette mai a sua volta il sostegno della Camera,
    saldamente in mano ai democratici per tutti gli anni Ottanta.

    Quest’asimmetria viene fotografata dai grafici qui realizzati (Figura 1 e 2) , che riproducono lo scarto ottenuto dalla Tabella 1, riportante il numero dei seggi al Congresso distinto per biennio e parte politica. I grafici mostrano l’affiliazione del ramo assembleare e la consistenza delle maggioranze dei partiti americani dal 1900 ad oggi. Un dato valutabile dall’intensità del colore, che misura il margine di seggi in più vantato sull’opposizione. I colori diluiti per partito sono i quartili ottenuti dalla distribuzione della grandezza delle maggioranze, calcolati separatamente per i democratici e i repubblicani. Ciò permette di comprendere come, tanto alla Camera quanto al Senato, le vittorie dei blu sui rossi s’attestino storicamente su un margine più ampio di quelle dei rossi sui blu.

    Negli ultimi 120 anni, i democratici hanno
    controllato la Camera per 70. I repubblicani, al contrario, lo hanno fatto per 50
    anni, di cui però 20 negli ultimi 25. Un esito sorprendente: i deputati vengono
    eletti con metodo proporzionale, e ciascun Stato esprime seggi in relazione al
    numero di abitanti. Una dinamica che a ragione dovrebbe legarsi meglio al
    partito democratico, che nello stesso periodo ha sempre primeggiato – escludendo
    la riconferma di George W. Bush nel 2004 – nel voto popolare per l’elezione del
    presidente.

    La futura geografia elettorale
    statunitense alle presidenziali del 2024 risentirà del censimento che ogni
    dieci anni ridistribuisce i seggi nella Camera, recependo l’evoluzione
    demografica dei territori. Le proiezioni premiano al momento Texas e Florida,
    mentre puniscono il Mid-West (Ohio,
    Michigan, Illinois)
    .

    Al Senato invece i repubblicani hanno governato in 16 degli ultimi 25 anni. Lo scenario di lungo periodo suggerirebbe allora che questo ramo del Congresso, dove ogni Stato conta un numero fisso di 2 membri, diventi una possibile roccaforte dei conservatori.

    Fig. 1 – Margine delle maggioranze nella Camera dei Rappresentanti 

    Fig. 2 – Margine delle maggioranze in Senato

    In ultimo, questo grafico (Figura 3) presenta la differenza tra i grandi elettori conquistati dai due partiti della Tabella 2, certificando la larghezza delle vittorie dei presidenti grazie ai quartili calcolati per ciascun partito. Il trend recente vede una riduzione dei successi presidenziali: le vittorie di Barack Obama non eguagliano quelle di Bill Clinton, mentre George W. Bush e Donald Trump non replicano i successi reaganiani degli anni Ottanta. A prescindere dal risultato del 2020 – un’elezione svolta in circostanze irripetibili – questo dato riflette una maggiore competitività per la presidenza, nonché il ruolo determinante, e forse intramontabile, degli swing states.

    Fig. 3 – Margine delle vittorie: scarto grandi elettori

    Riferimenti bibliografici

    Fabbrini S. (2011). Addomesticare il principe. Perché i leader contano e come controllarli, Marsilio.

    Testi A. (2008). Il secolo degli Stati Uniti, il Mulino.

  • Elezioni Emilia-Romagna: L’incognita voto-disgiunto

    Elezioni Emilia-Romagna: L’incognita voto-disgiunto

    La sfida emiliano-romagnola potrebbe essere decisa da una variabile della legge elettorale, prevista nella maggior parte delle regioni italiane: il voto disgiunto. Stando alle ultime rilevazioni di SWG, pubblicate il 9 gennaio, Bonaccini godrebbe di un vantaggio di 2 punti su Borgonzoni, specularmente però a quello della coalizione di centrodestra sul centrosinistra. Dopo l’introduzione dell’elezione diretta del Presidente della Regione, non sarebbe la prima volta che un’elezione si risolva in questo modo. Nella Tabella 1 vengono riepilogati i precedenti appuntamenti terminati con questo esito. Un dato emerge sugli altri: in 6 delle 8 tornate il centrosinistra vince grazie al rendimento del candidato governatore, capace di prevalere sul diretto competitor al contrario delle liste collegate, sconfitte dalla coalizione di centrodestra. È quanto successo – ultima elezione in ordine di tempo – con la riconferma di Nicola Zingaretti alla Regione Lazio nel 2018. L’attuale segretario del Pd batté Parisi, che godeva dell’appoggio della coalizione più votata.

    Tab. 1 – Elezioni regionali italiane decise dal voto disgiunto

    Ciò conferma un trend già accertato per le elezioni comunali, dove pure si vota contestualmente – consentendo di diversificare la scelta – per l’organo monocratico e quello assembleare. Tra gli elettori di centrosinistra, s’è scritto, si tende a privilegiare la scelta del sindaco in luogo di quella del consigliere comunale (Emanuele 2012). Quanto influirà questa tendenza nella regione rossa per antonomasia, governata ininterrottamente dal Pci e i suoi eredi fin dal 1970? In Emilia-Romagna, complice un radicamento notevole del partito, il rendimento coalizionale risulta meno marcato che altrove. Lo scarto presidente/liste collegate nelle regionali non ha mai oltrepassato l’1%. Lo stesso Bonaccini, quando venne eletto nel 2014, prese poco meno dello 0,7% di quanto raccolto dalla coalizione. Soltanto nel 1995 Bersani patì oltre 3 punti di distacco, complice lo strappo di Rifondazione Comunista.

    Nello scenario politico attuale esisterebbe un attore del genere, in grado di sottrarre consensi al candidato presidente del centrosinistra? Teoricamente sì, e sarebbe il M5s. Nelle elezioni regionali il Movimento registra quasi sempre un rendimento coalizionale con segno positivo, con picchi ripetuti in alcune regioni (Sicilia, Friuli-Venezia Giulia, Lazio). Diversi, tra gli elettori pentastellati, combinano la spinta anti-sistemica nel voto al proprio candidato presidente al richiamo della deferenza esercitata dai candidati al consiglio regionale. Il comportamento ha assunto in passato dimensioni consistenti, come visibile nella Tabella 2: si pensi alle regionali siciliane del 2017, oppure alle già citate regionali del Lazio nel 2018. In quest’ultima occasione si votò insieme alle politiche, con differenze significative nei risultati: il M5s primeggiò col 32,86% al Senato, mentre la candidata presidente Lombardi si fermò al 26,98% e ancor meno, al 22,06%, la lista a lei collegata. Eppure, la storia elettorale del M5s rischia di invertirsi in queste elezioni: il sondaggio SWG accredita, sorprendentemente, di una percentuale superiore potenzialmente di 2 punti la lista del M5s rispetto al suo candidato presidente Benini.  Un rovesciamento delle dinamiche sinora registrate, per cui la consultazione emiliano-romagnola potrebbe essere il quarto caso, delle 24 elezioni regionali regolate dal voto disgiunto a cui il M5s ha partecipato, in cui il rendimento coalizionale del partito è negativo. Se il divario tra Bonaccini e Borgonzoni fosse ristretto ad una forbice di 2 punti, conquistare gli elettori M5s “infedeli” sarebbe la chiave per vincere le elezioni.

    Tab. 2 – Rendimento Coalizionale del M5S, elezioni regionali 2010-2019

    Bonaccini potrebbe ottenere in questo modo la rielezione, nonché il connesso premio di maggioranza che assicura la maggioranza assoluta in assemblea, a prescindere dal minor numero di voti raccolti dalle liste. La sinistra continuerebbe a governare la Regione, come nei precedenti 50 anni, ma non per la forza dell’apparato quanto per la popolarità del suo presidente, beneficiario diretto delle conseguenze del voto disgiunto.

    Riferimenti bibliografici:

    Emanuele V., “Tra dinamiche territoriali e voto personale: le elezioni comunali a Palermo nel 2012”, in “Quaderni dell’osservatorio elettorale”, numero 69, 2013, pagine 6-34.

    Sondaggio SWG 09/01/2020, https://tg.la7.it/politica/testa-a-testa-bonaccini-borgonzoni-nellultimo-sondaggio-prima-del-voto-in-emilia-romagna-09-01-2020-146062.

  • A Siracusa il M5S cede 40 punti e si disperde in tutte le direzioni

    A Siracusa il M5S cede 40 punti e si disperde in tutte le direzioni

    Quale grande città – contando su oltre 100.000 abitanti – a Siracusa andrà in scena uno dei principali ballottaggi delle amministrative 2018. In attesa del secondo turno di domenica, l’esito del primo consente fin d’ora di analizzare la prestanza dei partiti e dei rispettivi poli.

    Tradendo la nomea di “Stalingrado gialla”, la città aretusea registra la sconfitta del Movimento Cinque Stelle, che qui ottenne il 44,5% con Giancarlo Cancelleri alle regionali dello scorso novembre e poi sfondò il 55% alle politiche di marzo. Quelle straordinarie percentuali rispettarono la geografia elettorale del M5S, capace di proliferare maggiormente nel sud-est dell’Isola, unica area dove – nel corso della Prima Repubblica – emerse in Sicilia una sub-cultura politica di sinistra (Diamanti 2009). In accordo a quanto già scritto, il partito di Di Maio disperde larga parte dei suffragi raccolti alle elezioni nazionali. In termini assoluti, alle comunali di Siracusa riceve soltanto il 27% degli oltre 30.000 voti risalenti a tre mesi fa. Perde tuttavia di meno rispetto allo iato intercorso tra politiche e comunali 2013, quando lo stesso rapporto ammontò ad appena il 10,8%.

    Soffre il centrosinistra, con un calo più marcato qualora raffrontato all’insieme dei 19 comuni siciliani chiamati al voto. Se nel dato aggregato s’individua un regresso – dal 2013 al 2018 – di 10,7 punti, in quello aretuseo la contrazione giunge fino a 18 punti. Il 31,1% che permise cinque anni addietro l’elezione del dem Giancarlo Garozzo arretra al 13,1% di Fabio Moschella. Nella disfatta pesa la spaccatura seguita alla non ricandidatura dell’incumbent, nonché alla scesa in campo del suo ex vice-sindaco: Francesco Italia, che sostenuto da un cartello di 3 liste civiche accede al ballottaggio contro il centrodestra schierato al fianco di Ezechia Paolo Reale.

    Quest’ultimo, pur forte di un vantaggio sul secondo arrivato pari a quasi 20 punti, fallisce il raggiungimento del 40% e il consequenziale successo al primo turno. Spicca il suo rendimento coalizionale estremamente negativo: la somma delle liste collegate a Reale oltrepassa il 45%, mentre l’aspirante sindaco si ferma al 37%. Nel capoluogo, il polo del centrodestra torna dominante incrementando notevolmente il risultato del 2013. Un miglioramento trainato anche dalla progressione di Forza Italia – in discordanza dallo scenario regionale – che passa dall’8% al 9,5%. Eppure non basta: la frammentazione dell’offerta, specie in questo blocco, pregiudica l’obiettivo prefissato alla vigilia. Reale avrebbe da recriminare non tanto per la candidatura solitaria della Lega (col poco incisivo Midolo all’1,3%), quanto per il 5,7% di Fabio Granata, ex finiano appoggiato da Diventerà Bellissima, il partito del presidente della Regione Nello Musumeci.

    Con una mossa a sorpresa, proprio Granata sosterrà Italia nel ballottaggio contro il centrodestra, aggiungendosi a Moschella e a Randazzo. Pur finora senza apparentamenti ufficiali, ai tre ex aspiranti sindaco – in caso di vittoria – sarebbe riservato un posto nella giunta comunale presieduta da Italia.

    Tab. 1 – Risultati elettorali per liste e coalizioni a Siracusa nelle elezioni politiche e comunali, 2013-2018[1] (clicca per ingrandire)SR_tab

    Delineato il quadro di riferimento, guardiamo adesso ai flussi elettorali, iniziando dalle provenienze dei consensi di ciascuno dei candidati sindaco a Siracusa (Tab.2). In accordo a un trend nazionale, il M5S presenta il più alto tasso di provenienza dal proprio bacino del 4 marzo: del 16,3% preso da Silvia Russoniello, la quasi totalità (90%) deriva da votanti Cinque Stelle alle politiche del 4 marzo. Colpisce, e si vedrà in seguito con le destinazioni, la diaspora abbattutasi nell’elettorato pentastellato. Tali spostamenti premiano un po’ tutti (Granata, Reale e Moschella prendono dal M5S circa un terzo del loro elettorato), ma soprattutto Italia, il cui bacino attinge per il 60% proprio dal Movimento.

    Di rilievo appare la sensibile rimobilitazione nel centrodestra, tra le cui fila un elettore su quattro aveva preferito – nella precedente consultazione nazionale – l’astensione.

    Cruciale, s’è detto, il ruolo ricoperto da Fabio Granata: più della metà del suo 5,7% stanziava – alle politiche – nella coalizione di centrodestra. Considerato che per soli 3 punti Reale non ha valicato il 40%, la candidatura dell’ex assessore regionale potrebbe aver inficiato una possibile vittoria.

    Tab. 2 – Flussi elettorali a Siracusa fra politiche e comunali del 2018, provenienze (clicca per ingrandire)siracusa_prov

    Le destinazioni rinvigoriscono i punti sopra affrontati. Si nota innanzitutto la diaspora dell’elettorato del M5S alle politiche. Meno di un quarto ha votato Russioniello, poco più di quanti non abbiano scelto Italia o Reale (18 e 19%, rispettivamente). La porzione più rilevante (il 30%) non si è recato alle urne il 10 giugno.

    Un quadro analogo si registra nell’elettorato del centrosinistra alle politiche. Appena il 18% ha votato il candidato sostenuto dal PD (Moschella), mentre quote più numerose hanno preferito Randazzo (19%) e Italia (23%). Anche in questo bacino elettorale, comunque, la scelta più frequente è stata l’astensione (36%). La scarsa partecipazione degli elettorati di M5S e centrosinistra ha determinato la consistente riduzione dell’affluenza alle amministrative, inferiore – a differenza del 2013 – a quella delle politiche.

    L’elettorato più fedele è stato quello del centrodestra: quasi il 60% ha infatti scelto Reale. Se a questi sommiamo il 12% che ha scelto Granata, e il 3% verso il candidato della Lega Midolo, il tre quarti dell’elettorato delle politiche ha votato candidati di area, con nessuna cessione all’astensione, e modeste perdite verso un po’ tutti i candidati sindaco.

    Tab. 3 – Flussi elettorali a Siracusa fra politiche e comunali del 2018, destinazioni (clicca per ingrandire)siracusa_dest

    Il diagramma di Sankey visibile sotto (Fig. 1) mostra in forma grafica le nostre stime dei flussi elettorali a Siracusa. A sinistra sono riportati bacini elettorali delle politiche, a destra quelli delle comunali. Le diverse bande, colorate in base al bacino di provenienza alle politiche, mostrano le transizioni dai bacini delle politiche a quelli delle comunali. L’altezza di ciascuna banda, così come quella dei rettangoli dei diversi bacini elettorali all’estrema sinistra e destra, è proporzionale al relativo peso sul totale degli elettori.

    Il diagramma consente di apprezzare immediatamente la frantumazione dell’elettorato del M5S alle politiche. Questo valeva il 35% dell’elettorato siracusano complessivo. Un decimo dell’elettorato è passato del Movimento all’astensione, il 6,6% dal M5S a Reale, il 6,4% dal M5S a Italia. In aggiunta al flusso di elettori fedeli che hanno scelto Russoniello (8,1% degli elettori), si osservano poi ancora flussi significativi dal M5S a Moschella (2,5% dell’elettorato), e verso Granata (un elettore su 100).

    La Figura 1, inoltre, consente di apprezzare la variegata composizione dell’elettato di Reale.  Il 40% è formato da elettori fedeli, che già avevano votato centrodestra il 4 marzo. Ciò significa che la maggior parte ha altre provenienze. Un terzo erano elettori del M5S, ben un quarto si erano astenuti alle politiche.

    Infine, possiamo notare come anche l’elettorato di Italia sia a composizione multipla. Oltre alla quota maggioritaria proveniente dal M5S di cui abbiamo detto sopra, si segnala la banda in ingresso rossa, proveniente dal centrosinistra (che vale il 20% dei voti a Italia), e quella celeste in entrata dal centrodestra (che pesa esattamente la metà).

    Fig. 1 – Flussi elettorali a Siracusa fra politiche (sinistra) e comunali (destra) del 2018, percentuali sull’intero elettorato (clicca per ingrandire)SR_sankey

    Concludendo, le nostre analisi mostrano come il ballottaggio sia stato conquistato dai candidati che più si sono mostrati trasversali nel raccogliere i propri voti al primo turno. Entrambi, quindi, sembrano potere competere per le seconde preferenze degli elettori che non hanno al secondo turno il proprio preferito del primo. Come detto, Reale parte in ampio vantaggio, ma Italia ha negoziato accordi con i principali esclusi dal ballottaggio – escluso, naturalmente, quello pentastellato. Vedremo fra pochi giorni chi conquisterà la carica di sindaco.

    Riferimenti bibliografici

    Diamanti, I. (2009) Mappe dell’Italia Politica: Bianco, rosso, verde, azzurro e… tricolore, Bologna, Il Mulino.

    Goodman, L. A. (1953), ‘Ecological regression and behavior of individual’, American Sociological Review, 18, pp. 663-664.

    Riggio, A. (2018),  ‘Crisi dei partiti in Sicilia: M5S e Lega sconfitti, arretrano anche PD e Forza Italia’, Centro Italiano Studi Elettorali, https://cise.luiss.it/cise/2018/06/14/crisi-dei-partiti-in-sicilia-m5s-e-lega-sconfitti-arretrano-anche-pd-e-forza-italia/

    Schadee, H.M.A., e Corbetta, P., (1984), Metodi e modelli di analisi dei dati elettorali, Bologna, Il Mulino.


    NOTA METODOLOGICA

    I flussi presentati sono stati calcolati applicando il modello di Goodman (1953) alle 123 sezioni elettorali del comune di Siracusa. Seguendo Schadee e Corbetta (1984), abbiamo eliminato le sezioni con meno di 100 elettori (in ognuna delle due elezioni considerate nell’analisi), nonché quelle che hanno registrato un tasso di variazione superiore al 15% nel numero di elettori iscritti (sia in aumento che in diminuzione). Si tratta di 28 unità in tutto. Il valore dell’indice VR è pari a 11,2.


    [1]Nella parte superiore della tabella sono presentati i risultati al proporzionale; nella parte inferiore si usano i risultati maggioritari. Nella parte superiore, ciascuna riga somma i risultati dei relativi partiti, a prescindere dalla coalizione della quale facessero parte. Nella parte inferiore, invece, si sommano i risultati dei candidati (sindaco o di collegio), classificati in base ai criteri sotto riportati. Per le politiche 2013, abbiamo considerato quali i voti raccolti ai candidati quelle delle coalizioni (che sostenevano un candidato premier).

    Criteri per l’assegnazione di un candidato a un polo: se un candidato è sostenuto dal PD o da FI (o il PDL) è attribuito al centro-sinistra e al centro-destra rispettivamente, a prescindere da quali altre liste facciano parte della coalizione a suo sostegno. Se un candidato è sostenuto solo da liste civiche è un candidato civico (Altri). Se una coalizione è mista civiche-partiti, questi trascinano il candidato nel loro proprio polo se valgono almeno il 10% della coalizione, altrimenti il candidato resta civico. Se un candidato è sostenuto da partiti appartenenti a diverse aree (escludendo PD e FI/PDL che hanno la priorità), si valuta il relativo contributo dei diversi poli alla coalizione del candidato per determinarne l’assegnazione (al polo che pesa di più).

    Nella categoria partiti di sinistra rientrano: RifCom, PC, PCI, PAP, FDS, SEL, SI, MDP, LEU, RivCiv. Nella categoria altri partiti di centro-sinistra sono inseriti: Insieme, PSI, IDV, Radicali, +EU, Verdi, CD, DemA.

    L’insieme dei candidati sostenuti da almeno una di queste liste, ma non dal PD, costituisce il polo di sinistra alternativa al PD della parte inferiore della tabella. Il polo di centro-sinistra somma, invece, i candidati nella cui coalizione compare (anche) il PD.

    Nella categoria partiti di centro rientrano: NCI, UDC, NCD, FLI, SC, CivP, NCD, AP, DC, PDF, PLI, PRI, UDEUR, Idea. Il polo di centro è formato da candidati sostenuti da almeno uno di questi.

    Nella categoria partiti di destra rientrano La Destra, MNS, FN, FT, CPI, DivB, ITagliIT. Il polo di destra somma i candidati sostenuti da almeno uno di questi o da Lega o FDI, ma non da FI/PDL. Il polo di centro-destra, invece, è la somma dei candidati nella cui coalizione compare (anche) FI (o il PDL).

  • Crisi dei partiti in Sicilia: M5S e Lega sconfitti, arretrano anche PD e Forza Italia

    Crisi dei partiti in Sicilia: M5S e Lega sconfitti, arretrano anche PD e Forza Italia

    La tornata elettorale siciliana decifra le incognite della vigilia con un voto meno “politico”, più riflesso di assetti locali che delle tribolazioni nella formazione del governo Conte. Lo certifica in primis il diffuso calo dell’affluenza, diminuita di quasi 8 punti rispetto all’appuntamento precedente (58,4% contro 66,3%). Un regresso marcato in alcune delle grandi città chiamate alle urne: Catania (-10,2 punti) e Siracusa (-10,9 punti). In quest’ultime, svetta la minore partecipazione poiché accentuata in raffronto a quanto avvenuto invece dal 2012 alle regionali dello scorso novembre e dal 2013 alle politiche di marzo.

    I grafici sottostanti riportano i livelli dell’affluenza registrati dal 2000 nei comuni capoluogo al voto domenica, distinguendo tra elezioni comunali, regionali e politiche. Dalla prima alla più recente rilevazione, il dato cala in media maggiormente proprio nelle amministrative (-16,5 punti), anziché nelle consultazioni per il rinnovo dell’ARS (-12,6 punti) e del Parlamento (-13,2 punti). Il crescente astensionismo rafforza la definizione della Sicilia quale “Isola degli astenuti” (Emanuele 2013). I flussi elettorali sanciranno chi abbia tratto vantaggio da questo fenomeno, inteso da taluni quale “modalità negativa del voto di scambio” (D’Amico 1982). Al contrario, parrebbe che stavolta dalla bassa affluenza ne esca rinvigorito il voto strutturato, a scapito di quello d’opinione prerogativa del M5S.

    Fig. 1 – Affluenza elettorale nel comune di Catania 2000-2018, elezioni comunali, regionali e politicheCT_affl

    Fig. 2 – Affluenza elettorale nel comune di Messina 2000-2018, elezioni comunali, regionali e politicheME_affl

    Fig. 3 – Affluenza elettorale nel comune di Ragusa 2000-2018, elezioni comunali, regionali e politicheRG_affl

    Fig. 4 – Affluenza elettorale nel comune di Siracusa 2000-2018, elezioni comunali, regionali e politicheSR_affl

    Fig. 5 – Affluenza elettorale nel comune di Trapani 2000-2018, elezioni comunali, regionali e politicheTP_affl

    L’esito del 10 giugno mostra un Giano bifronte: premia i poli di centrodestra e centrosinistra bocciandone però, al contempo, i partiti radicati sul territorio nazionale. La Tabella 1 chiarisce l’assunto: le coalizioni comprendenti Forza Italia e il Partito Democratico ottengono, fatti 100 i voti raccolti alle politiche, rispettivamente il 110% e il 155%. La logica bipolare regge, anche se monca. Le forze politiche un tempo azioniste di maggioranza dei due principali cartelli si trasformano ora in sparring partner. Non soltanto perché FI e PD raccolgono, seguendo i medesimi criteri, appena il 33% e il 27% del loro bacino elettorale delle politiche, con netti cali rispetto ai rendimenti che registravano cinque anni or sono (specie per il PD, per cui si è più che dimezzato). Il dato dirimente concerne il ridimensionamento dell’uno e dell’altro partito all’interno delle proprie coalizioni.

    Tab. 1 – Rendimenti elettorali alle comunali rispetto alle politiche, 2013 e 2018SICILIA_ratios

    Si guardi la Tabella 2. Il centrodestra nel suo complesso ha preso il 32,8%, Forza Italia appena il 6,8%. Cinque anni addietro, l’ancora PDL s’attestava da solo a quasi il 50% del polo, che pure – si badi – nell’Isola ottenne quasi 10 punti percentuali in meno (22,9%) rispetto ad oggi che governa la Regione con Nello Musumeci.

    Lo stesso trend finisce per esacerbarsi nel campo opposto, dove il PD – spesso assente col proprio simbolo e diviso in più liste a esso riconducibile – vanta ormai il 3,3%, percentuale altresì inferiore allo sbarramento del 5% previsto dalla legge elettorale regionale 17/2016. I democratici soccombono, negli equilibri in seno al centrosinistra, alle numerose realtà civiche in sostegno, talaltro, anche di suoi candidati. (www.eyesolutions.in) Esemplificativo il caso di Trapani, in cui il dem Giacomo Tranchida s’afferma già al primo turno col 70,7%, forte del coordinamento di 8 liste tutte ammesse alla ripartizione dei seggi. Uno straordinario adeguamento strategico non replicato nell’elezione dell’europarlamentare Salvo Pogliese a Catania, che riporta il centrodestra a Palazzo degli Elefanti. Rinviando ex post un approfondimento sul tema, il notevole ammontare del voto disperso ha configurato – in diversi comuni – una distribuzione degli scranni significativamente disproporzionale.

    Fermo restando l’ambito locale, gli sconfitti delle amministrative siciliane rispondono a Lega e Movimento Cinque Stelle. La prima non oltrepassa il 2%, restando fuori in diversi Consigli Comunali e fallendo laddove (Licata, Rosolini, Trapani) schierava candidati sindaci diversi da quelli di Forza Italia. Il secondo conferma soltanto il 22% dello straordinario risultato risalente alle politiche di marzo, e perdura nello scontare la scarsa riconoscibilità dei propri esponenti sull’Isola. In ognuno dei 19 comuni, il rendimento del M5S si presenta sistematicamente di segno positivo. Ciò acclara, ancora una volta, la predisposizione dell’elettorato siciliano e meridionale a sfruttare il voto disgiunto, di modo da far coesistere la lealtà specifica riposta sul ceto dirigente, spesso radicato da decenni, a richiami anti-sistemici, manifestatisi in particolare nella scelta del sindaco. A ragion del vero, i Cinque Stelle perdono “meglio” di cinque anni fa, quando dal terremoto elettorale di febbraio alle comunali di giugno trassero meno del 15%. Il leader del M5S siciliano, Giancarlo Cancelleri, in un’intervista successiva al voto addita le colpe anche alla legge elettorale regionale 17/2016, promettendo d’impegnarsi in favore di una riforma che abolisca l’effetto di trascinamento.

    Tab. 2 – Risultati elettorali per liste e coalizioni a nelle elezioni politiche e comunali nei 19 comuni superiori siciliani chiamati al voto, 2013-2018[1] (clicca per ingrandire)SICILIA_tab

    Un giudizio completo sulla performance del Movimento proverrà dai ballottaggi del 24 giugno, alla luce del rendimento dei candidati Cinque Stelle nei casi di Acireale e Ragusa. Specie quest’ultimo attrarrà su di sé molte attenzioni, tanto per lo sfidante di destra – Giuseppe Cassì, sostenuto da Fratelli d’Italia – quanto e soprattutto perché il M5S nella città iblea ha amministrato per cinque anni. La partita sarà tra le più aperte dell’Isola, considerato il ridotto scarto dei due contendenti al primo turno (1,8 punti) combinata ad un’alta disponibilità (il 56,5% dei voti del primo turno) figlia della frammentata offerta politica iniziale.

    Diverse insidie attorniano l’analisi del voto alle amministrative siciliane, il cui verdetto non decreta un autentico vincitore ma un sostanziale equilibrio. Se guardiamo infatti agli 11 comuni già vinti al primo turno (ricordiamo che in Sicilia si vince con il 40% dei voti), 8 sono equamente spartiti tra centrodestra e centrosinistra e altri 3 in mano a candidati civici. Ne restano da assegnare ulteriori 8 nel secondo turno, la cui metà vedrà Forza Italia e i suoi alleati confrontarsi con aspiranti sindaco d’estrazione non politica.

    La Sicilia – forse a sorpresa – non si fa laboratorio. Almeno per una volta, gli echi delle sue vicende non determineranno il futuro oltre lo Stretto.

    Riferimenti bibliografici

    D’Amico, R. (1982), Una modalità negativa del «voto di scambio»: l’astensionismo in Sicilia’, in Quaderni dell’osservatorio elettorale, 9, pp. 143-178.

    Emanuele, V. (2013). ‘Regionali in Sicilia, Crocetta vince nell’Isola degli astenuti. Boom del Movimento 5 Stelle’, in De Sio, L. e Emanuele, V. (a cura di), Un anno di elezioni verso le Politiche 2013, Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, Dossier CISE(3), pp. 55-58.

    Riggio, A. (2018), ‘Comunali in Sicilia: una legge elettorale sui generis regola un’offerta rinnovata, https://cise.luiss.it/cise/2018/06/09/comunali-in-sicilia-una-legge-elettorale-sui-generis-regola-unofferta-rinnovata/


    [1]Nei dati delle comunali 2018 manca una sezione a Siracusa per la quale non erano ancora disponibili i dati al momento della pubblicazione di questo articolo.


    NOTA: Nella parte superiore della tabella sono presentati i risultati al proporzionale; nella parte inferiore si usano i risultati maggioritari. Nella parte superiore, ciascuna riga somma i risultati dei relativi partiti, a prescindere dalla coalizione della quale facessero parte. Nella parte inferiore, invece, si sommano i risultati dei candidati (sindaco o di collegio), classificati in base ai criteri sotto riportati. Per le politiche 2013, abbiamo considerato quali i voti raccolti ai candidati quelle delle coalizioni (che sostenevano un candidato premier).

    Criteri per l’assegnazione di un candidato a un polo: se un candidato è sostenuto dal PD o da FI (o il PDL) è attribuito al centro-sinistra e al centro-destra rispettivamente, a prescindere da quali altre liste facciano parte della coalizione a suo sostegno. Se un candidato è sostenuto solo da liste civiche è un candidato civico (Altri). Se una coalizione è mista civiche-partiti, questi trascinano il candidato nel loro proprio polo se valgono almeno il 10% della coalizione, altrimenti il candidato resta civico. Se un candidato è sostenuto da partiti appartenenti a diverse aree (escludendo PD e FI/PDL che hanno la priorità), si valuta il relativo contributo dei diversi poli alla coalizione del candidato per determinarne l’assegnazione (al polo che pesa di più).

    Nella categoria partiti di sinistra rientrano: RifCom, PC, PCI, PAP, FDS, SEL, SI, MDP, LEU, RivCiv. Nella categoria altri partiti di centro-sinistra sono inseriti: Insieme, PSI, IDV, Radicali, +EU, Verdi, CD, DemA.

    L’insieme dei candidati sostenuti da almeno una di queste liste, ma non dal PD, costituisce il polo di sinistra alternativa al PD della parte inferiore della tabella. Il polo di centro-sinistra somma, invece, i candidati nella cui coalizione compare (anche) il PD.

    Nella categoria partiti di centro rientrano: NCI, UDC, NCD, FLI, SC, CivP, NCD, AP, DC, PDF, PLI, PRI, UDEUR, Idea. Il polo di centro è formato da candidati sostenuti da almeno uno di questi.

    Nella categoria partiti di destra rientrano La Destra, MNS, FN, FT, CPI, DivB, ITagliIT. Il polo di destra somma i candidati sostenuti da almeno uno di questi o da Lega o FDI, ma non da FI/PDL. Il polo di centro-destra, invece, è la somma dei candidati nella cui coalizione compare (anche) FI (o il PDL).

  • Comunali in Sicilia: una legge elettorale sui generis regola un’offerta rinnovata

    Comunali in Sicilia: una legge elettorale sui generis regola un’offerta rinnovata

    Tra le elezioni amministrative previste per il 10 giugno, quelle siciliane costituiscono un unicum. In quanto regione a statuto speciale, la legislazione elettorale dell’Isola non ricade sotto la potestà statale, in discordanza dal comma p dell’articolo 117 della Costituzione.

    Per l’elezione del sindaco e del consiglio comunale vige un sistema differente dal resto d’Italia, regolato dalla legge regionale n.17/2016. I motivi sottostanti l’approvazione risalgono alle storture provocate dalla precedente riforma del 2011, che aveva abolito l’architrave delle dinamiche politico-elettorali siciliane: l’effetto di trascinamento, per cui il voto attribuito esclusivamente a una lista – in assenza al contempo di un’esplicita preferenza per il sindaco – non si sarebbe più ripercorso sul candidato primo cittadino ad essa collegato. Ciò separava del tutto il comparto maggioritario per la carica monocratica da quella proporzionale per l’organo collegiale, annullando il potenziale espresso dalla pletora dei ‘Signori delle Preferenze’ (Emanuele e Marino 2016), disseminata in particolare nel blocco di centrodestra. Inoltre, tale previsione abbassava sensibilmente il numero di voti necessario per attestarsi oltre il 50% e vincere già al primo turno. Serva ad esempio quel che successe a Catania cinque anni fa: Enzo Bianco tornò a Palazzo degli Elefanti senza ballottaggio raggiungendo – di poco – la maggioranza assoluta con 44.537 voti, meno di un terzo di quanto raccolto dal totale delle liste (144.762). Chi riuscisse invece stavolta a venire eletto subito lo farà – a ragione – ricevendo molti più consensi, nonostante la più rilevante delle novità contemplate dalle legge elettorale regionale per i Comuni con oltre 15.000 abitanti: l’abbassamento della soglia al 40% per l’investitura diretta senza una seconda chiamata alle urne. Nell’ottica di taluni, riducendo il numero dei ballottaggi, questa decisione penalizzerebbe il Movimento Cinque Stelle. L’insidia maggiore per il M5S potrebbe annidarsi in verità nell’unico caso in cui la legge non contempla l’attribuzione del premio di maggioranza, pari al 60% dei seggi: qualora, al primo turno, il 40% del neo-eletto sindaco non faccia il paio con un’omonima percentuale della lista e/o coalizione in suo sostegno. Di regola, il trend del partito di Di Maio acclara – nelle consultazioni amministrative e regionali – un rendimento coalizionale positivo, per tradizione appannaggio del campo del centrosinistra, che in genere predilige la scelta del sindaco a quella del consigliere comunale, al contrario del centrodestra (Emanuele 2012).

    Incombe il rischio che l’eventuale vittoria di sindaci Cinque Stelle si trovi sprovvista di un adeguato supporto in consiglio comunale. La Tabella 1 riassume i tre possibili esiti al 1° turno prefigurati dal sistema elettorale dell’Isola.

    Tab. 1 – Elezioni comunali in Sicilia: Esiti possibili 1° turno elezioni (legge regionale n.17/2016)tab1sic

    L’offerta su cui s’esprimeranno i cittadini dei 19 Comuni siciliani con oltre 15.000 abitanti riflette l’atavica debolezza dei partiti nazionali nell’Isola, fornitori di credito politico per le imprese di autarchici imprenditori delle segreterie locali (Morisi 1993).
    Spicca – a primo impatto – la quasi assenza di proposte alla sinistra del Partito Democratico. Un’area, questa, su cui in Sicilia fin dagli anni Novanta s’affibbia l’etichetta di “commensale che ci si può dimenticare d’invitare” (Riolo 1993), rinvigorita ora dal debolissimo radicamento territoriale nel prossimo turno di amministrative. Solo a Ragusa, tra i comuni capoluogo coinvolti (gli altri sono Catania, Messina, Siracusa e Trapani), può rintracciarsi un candidato sindaco (Massari) della sinistra riconducibile a LeU, in ossequio all’imprinting ideologico della città iblea. Difatti, qui risiede l’unica sub-cultura politica di sinistra dell’Isola, grazie a un individualismo dai tratti più moderni e a una dipendenza meno marcata dal meccanismo delle preferenze (D’Amico 1993). Non a caso Ragusa fu il primo, e finora unico, Comune Capoluogo conquistato dal M5S, forza che in origine manifestava un retaggio culturale chiaramente di sinistra. Ricalcando lo scenario nazionale, scompare dai radar il centro (Paparo e Vittori 2018), il cui rendimento in Sicilia si correlava in modo inversamente proporzionale al peso demografico delle città.
    A recitare il ruolo di primattori permangono dunque il centrosinistra, a ranghi compatti nei Comuni Capoluogo, e il centrodestra, che sconta invece più di una divisione. Nelle realtà più importanti a 5 candidati sostenuti da FI (unitariamente, in alcuni casi, a Lega e FDI) ne seguono 4 appoggiati esclusivamente dai partiti di Salvini e/o Meloni.
    La rilevante mole di aspiranti sindaci e liste civiche meriterà una valutazione dopo le elezioni, modulata dal grado di riconferme nei Comuni vinti la tornata precedente (4 su 19).

    Tab. 2 – Elezioni comunali in Sicilia: Riepilogo dell’offerta elettorale, candidati e listetab2sic

     

    Tab. 3 – Elezioni comunali in Sicilia: Coalizione vincente delle precedenti elezioni comunalitab3sic

    Nei Comuni Capoluogo due incumbent cercano di replicare i successi del 2013: Enzo Bianco a Catania, candidato del centrosinistra con l’omissis del simbolo PD, e Renato Accorinti a Messina, il civico d’estrazione ambientalista. Entrambi fronteggeranno il favorito della vigilia, ovvero il centrodestra, unito nelle sue tre componenti principali (FI, Lega e FDI) a fianco di Salvo Pogliese e Dino Bramanti. Questi conteranno, rispettivamente, sul sostegno di 9 e 10 liste. Alcune di queste potrebbero non oltrepassare lo sbarramento fissato al 5%, mancando l’accesso in consiglio comunale. Combinato alla suddivisione del premio di maggioranza, ciò sovra-rappresenterebbe le liste ammesse alla ripartizione dei seggi collegate al sindaco eletto, aumentando la disproporzionalità.

    Nuovamente ricca l’offerta a Ragusa, in cui il M5S trionfò nel 2013 volgendo a proprio favore l’altissima frammentazione della competizione, che gli permise al primo turno di accedere al ballottaggio (poi vinto contro il candidato del centrosinistra) per appena 177 voti. L’uscente, Federico Piccitto, non sarà nuovamente in lizza, allo stesso modo del suo collega nella vicina Siracusa, Giancarlo Garozzo del Partito Democratico. Nella città aretusea il front-runner del centrodestra, Ezechia Paolo Reale, riceve l’appoggio di una coalizione composta, tra gli altri, da FI e FDI, contrapposta all’aspirante primo cittadino della Lega, Francesco Midolo, nonché a Fabio Granata, ex finiano sostenuto da Diventerà Bellissima, il movimento politico del presidente della Regione Nello Musumeci. In ultimo, d’interesse la tornata di Trapani – tra i pochi Comuni qui passati in rassegna della Sicilia Occidentale – dove le elezioni dell’anno scorso non elessero il sindaco a seguito delle vicende legate all’uscente Girolamo Fazio.

    Tratti variegati compongono il quadro delle imminenti elezioni locali, che assumono sempre in qualche modo una portata nazionale (D’Alimonte 2017) anche se in Sicilia – come nel Sud – classi al governo “in-vulnerabili” coabitano insieme a proteste centrifughe non convenzionali (Raniolo 2008). Quale prevarrà, tra queste due forze separate e distinte che spingono in direzione opposta? Sullo stesso palco da un lato vanno in scena i gattopardi e la loro deferenza, avvalorata dal ritorno del centrodestra al governo regionale archiviata la presidenza Crocetta; dall’altro agisce il richiamo alla protesta, col M5S in grado nell’isola di superare il 48% alle elezioni politiche del 4 marzo, riunendo – una volta in più – anche “individui uniti non tanto da un’idea politica, quanto dall’immediato tornaconto, dal malcontento o dal desiderio di improbabili rivincite” (Nuvoli 1989).

    Tab. 4 – Elezioni comunali in Sicilia: L’offerta elettorale nei comuni capoluogo (in grassetto i sindaci uscenti; in corsivo i candidati che non hanno in coalizione il simbolo ufficiale del partito)tab4sic

    Riferimenti bibliografici

    D’Alimonte, R. (2017), ‘Test su divisioni a sinistra e tenuta M5s’, in Paparo A. (a cura di), La rinascita del centrodestra? Le elezioni comunali 2017, Dossier CISE(9), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 37-42.

    D’Amico, R. (1993), ‘La ‘cultura elettorale’ dei siciliani’, in Morisi M. (a cura di), Far politica in Sicilia. Deferenza, consenso e protesta, Milano, Feltrinelli, pp. 211-257.

    Emanuele, V. (2013), ‘Tra dinamiche territoriali e voto personale: le elezioni comunali a Palermo nel 2012’, in Quaderni dell’osservatorio elettorale, 69, pp. 6-34.

    Emanuele, V., e Marino, B. (2016), ‘Follow the candidates, not the parties? Personal vote in a regional de-istituzionalized party system’, Regional and Federal Studies, 26(4), pp. 531-554.

    Morisi, M., e Feltrin, P. (1993), ‘La scelta elettorale: le apparenze e le questioni’, in Morisi M. (a cura di), Far politica in Sicilia. Deferenza, consenso e protesta, Milano ,Feltrinelli, pp. 15-83.

    Nuvoli P. (1989), ‘Il dualismo elettorale nord-sud in Italia: persistenza o progressiva riduzione?’, Quaderni dell’osservatorio elettorale, 23, pp. 67-110.

    Vittori, D. e Paparo, A. (2018), ‘Il quadro della vigilia delle comunali: le alleanze e le amministrazioni uscenti’, Centro Italiano Studi Elettorali. https://cise.luiss.it/cise/2018/06/07/il-quadro-della-vigilia-della-comunali-le-alleanze-e-le-amministrazioni-uscenti/.

    Raniolo, F., (2010), ‘Tra dualismo e frammentazione. Il Sud nel ciclo elettorale 1994-2008’, in D’Alimonte R., Chiaramonte A. (a cura di), Proporzionale se vi pare. Le elezioni politiche del 2008, Bologna, Il Mulino, pp. 129-171.

    Riolo, C. (1993), ‘Istituzioni e politica: il consociativismo siciliano nella vicenda del Pci e del Pds’, in Morisi M. (a cura di), Far politica in Sicilia. Deferenza, consenso e protesta, Milano, Feltrinelli, pp. 178-206.


    NOTA:

    Sinistra alternativa al PD riunisce tutti i candidati sostenuti da almeno una fra PAP, RC, PCI, PC, MDP, LEU, SI, Verdi, IDV, Radicali, ma non dal PD;

    il Centrosinistra è formato da candidati nelle cui coalizioni a sostegno compaia il PD;

    il Centro riunisce tutti i candidati sostenuti da almeno una fra  NCI, UDC, CP, NCD, FLI, SC, PDF, DC, PRI, PLI;

    il Centrodestra  è formato da candidati nelle cui coalizioni a sostegno compaia FI (o il PDL);

    la Destra riunisce tutti i candidati sostenuti da almeno una fra  Lega, FDI, La Destra, MNS, FN, FT, CasaPound, DivBell ma non FI (o PDL).

    Quindi, se un candidato è sostenuto dal PD o da FI (o PDL) è attribuito al centrosinistra e al centrodestra rispettivamente, a prescindere da quali altre liste facciano parte della coalizione a suo sostegno.

  • Flussi dal 2013 al Sud: Mutazione genetica Pd, cambiamenti nel centrodestra, solidità M5s

    Flussi dal 2013 al Sud: Mutazione genetica Pd, cambiamenti nel centrodestra, solidità M5s

    Il Sud rappresenta l’area geografica pivotale delle prossime consultazioni nazionali. Qui la partita tra il Movimento Cinque Stelle e la coalizione di centrodestra presenta gli esiti più incerti. Nel Meridione, la volatilità elettorale s’accompagna alla fiducia specifica riposta nei notabilati locali, prefigurando risultati imprevedibili.

    L’ampio raggio d’intervistati del sondaggio realizzato dal CISE presenta – tra le altre cose – i flussi elettorali tra il ricordo del voto nel 2013 e le intenzioni su chi sostenere invece nel 2018. A primo impatto, emerge la mutazione genetica del Pd: soltanto il 46,8% di coloro che dichiarano d’aver votato cinque anni addietro il centrosinistra affermano oggi di riporre fiducia nel partito guidato da Renzi. Si badi che la coalizione guidata all’epoca da Pierluigi Bersani, “Italia Bene Comune”, avvalorava tra le sue fila anche Sel (oltre al Centro Democratico e alla Svp altoatesina), dimostratasi decisiva col 3,2% per ottenere il premio di maggioranza alla Camera previsto dalla Legge Calderoli. Questo non ridimensiona comunque la portata del cambiamento: il Pd al Sud raccoglie ben il 29,6% della montiana Scelta Civica, nonché il 13,6% degli elettori della lista capeggiata nel 2013 da Antonio Ingroia. Corrobora il tutto il 19,6% tra quelli che votarono altri partiti e il 4 marzo, stando alle intenzioni, premieranno il Partito Democratico. Si tratta del dato – in questa categoria – più alto, che in parte attutisce la scarsa appetibilità nelle regioni meridionali del Pd presso il nuovo elettorato, ovvero i giovani cinque anni fa ancora minorenni (4,9%) e gli astenuti del 2013 che affermano stavolta di recarsi alle urne (6,8%).

    Tra quest’ultimi, il maggior effetto mobilitazione proviene dal M5s (19,1%), seppure più della metà (53%) confermi la defezione alla tornata. Il movimento che propone Luigi Di Maio quale candidato premier si contraddistingue per la solidità del suo bacino di consensi, in virtù dell’alta percentuale di riconferme (76,9%). Oltre tre quarti di chi dichiara avere sostenuto il M5s al battesimo elettorale conserva il medesimo orientamento per il 2018. Questa rilevazione acquisisce importanza perché maggiore di 10 punti rispetto all’omonima registrata nel Nord (66,8%) e nella Zona Rossa (65,2%). Il M5s pare dunque mutare fisionomia geografica, ora significativamente sbilanciata al Sud, come se avesse smesso – perlomeno in quest’ambito – l’abito di “partito della nazione” (Emanuele e Maggini 2015). La crescita dei Cinque Stelle dal Lazio alla Sicilia troverebbe così propellente nel voto dei giovanissimi prima esclusi dalla competizione (36,5%) ed anche dai sostenitori di Monti (19,9%). Ciò non meraviglierebbe, considerata la storica eterogeneità socio-economica dell’elettorato pentastellato, il cui rivolgimento verrebbe dichiarato solo dall’esito del 4 marzo.

    Il centrodestra regge meglio del Partito Democratico, almeno tenendo in considerazione Forza Italia che conferma il 51,2% di quanti dichiararono di votare per il cartello pure allora composto dal partito di Berlusconi (Pdl), la Lega Nord (sotto la segreteria Maroni) e Fratelli d’Italia. Sorprende come solo il 17,2% e l’8% del bacino elettorale di questo campo dichiari adesso l’intenzione di votare i partiti – rispettivamente – con leader Salvini e Meloni. Di contro, entrambi raccolgono ottime percentuali nelle intenzioni di voto di chi nel 2013 s’espresse per altre liste. Singolare appare il 12,2% di chi ricorda d’aver sostenuto Ingroia e in questa tornata dichiara il sostegno per Forza Italia, per quanto si tratti di un dato risibile a causa della ridotta dimensione elettorale di Rivoluzione Civile. Verosimile, al contrario, il legame intercorrente tra l’elettorato di Ingroia e quello di un altro ex magistrato, suo conterraneo e concittadino: Piero Grasso. Liberi e Uguali difatti attinge un voto su cinque da chi afferma d’aver votato Rc. Al Sud, Leu raccoglie l’11,2% dell’elettorato di centrosinistra a trazione bersaniana, senza intaccare il M5s proprio come nelle altre aree del Paese. Ulteriore ostacolo – questo – alle speranze del centrosinistra di vincere al Sud almeno un collegio uninominale.

    Tabella 1 –  I flussi elettorali fra ricordo del voto 2013 e intenzione di voto 2018 al Sud, destinazioni (clicca per ingrandire)

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    Figura 1 – I flussi elettorali fra ricordo del voto 2013 (sinistra) e intenzione di voto 2018 (destra), Sud (clicca per ingrandire)flussi_SUD_fig

    Riferimenti bibliografici

    Emanuele V., Maggini N., Il Partito della Nazione? Esiste, e si chiama Movimento Cinque Stelle, CISE, 7 dicembre 2015.

    Raniolo F., Tra dualismo e frammentazione. Il Sud nel ciclo elettorale 1994-2008, pagina 143, in D’Alimonte R., Chiaramonte A. (a cura di), Proporzionale se vi pare. Le elezioni politiche del 2008, Il Mulino, 2010


    NOTA METODOLOGICA

    Il sondaggio è stato condotto da Demetra nel periodo dal 5 al 14 febbraio 2018. Sono state realizzate 3.889 interviste con metodo CATI (telefonia fissa) e CAMI (telefonia mobile), e 2.107 interviste con metodo CAWI (via internet), per un totale di 6.006 interviste. Il campione, rappresentativo della popolazione elettorale in ciascuna delle tre zone geografiche, è stato stratificato per genere, età e collegio uninominale di residenza. Il margine di errore (a livello fiduciario del 95%) per un campione probabilistico di pari numerosità in riferimento alla popolazione elettorale italiana è di +/- 1,17 punti percentuali. Il campione è stato ponderato per alcune variabili socio-demografiche.

  • L’incertezza al Sud: un elettore su quattro indeciso tra voto al partito o al candidato

    L’incertezza al Sud: un elettore su quattro indeciso tra voto al partito o al candidato

    Il cleavage delle prossime elezioni politiche riguarderà il voto espresso per affiliazione partitico-ideologica oppure per stima/vicinanza al candidato nel collegio uninominale. Al momento dello spoglio, non sarà però possibile farne una distinzione: la nuova legge elettorale esclude il voto disgiunto. Una pratica – questa – diffusa nelle consultazioni regionali italiane, dove con le dovute eccezioni (si pensi, tra le altre, alla Calabria) suole distinguersi tra la scelta nel comparto maggioritario, ovvero il voto al presidente, e quella nel proporzionale che determina l’elezione dei consiglieri. La discrasia tra i due costituisce il rendimento coalizionale, che riassume appieno la questione: l’elettorato, in special modo al Sud, non ha manifestato reticenza – nel corso degli ultimi anni – a scegliere un aspirante governatore del M5s premiando al contempo un candidato consigliere regionale della coalizione di centrodestra o di centrosinistra. Un comportamento issato ormai a ricorrenza. Alle ultime elezioni regionali in Lazio, Campania, Basilicata, Molise, Puglia e Sicilia il voto al presidente proposto dal M5s ha oltrepassato sistematicamente quello attribuito alla lista.

    Venendo alle politiche del 4 marzo, come scritto da Roberto D’Alimonte sul Sole 24 Ore, la decisione ricadrà tra “la voglia di protesta o il richiamo della foresta” (D’Alimonte 2018).

    Il CISE propone qui un sondaggio dalle modalità innovative. Dopo aver chiesto a un campione di 6.000 intervistati l’intenzione di voto alla lista, la medesima domanda viene avanzata con riguardo al candidato collegato nel collegio uninominale. I risultati nazionali analizzati da Maggini recano sorprese, e moltiplicano gli interrogativi. Qui ci concentriamo sui non meno interessanti dati relativi alle regioni meridionali.

    Il M5s mostra il dato più alto di continuità tra intenzioni di voto al partito e al relativo esponente nell’uninominale (76,4%), di poco maggiore che al Nord (75,8%) e alla Zona Rossa (76%). Un livello molto elevato riconducibile all’assenza di accorpamenti in coalizioni, che dividerebbero altrimenti le preferenze dell’elettorato. Eppure, lo stesso effetto non si riproduce in Leu, che nel Sud incontra il valore più basso (52,9%). Forse al suo elettorato – richiamato da un voto d’appartenenza nel proporzionale – aggraderebbe premiare i candidati nell’uninominale del centrosinistra?

    Se pure azionista di maggioranza della coalizione, soltanto il 56,6% dei sostenitori del Pd dichiara l’intenzione di votare anche il candidato nell’uninominale espressione comune con Civica Popolare, Insieme e Più Europa. La lista capeggiata da Emma Bonino presenta la percentuale minore tra l’intero alveo politico oggetto del sondaggio: appena il 29,8%, esacerbato da un 39,1% che si mostra incerto. Ciò dimostrerebbe la manifesta volontà di votare Bonino ma non i candidati Pd dell’uninominale. Eterogenesi dei fini di un sistema elettorale misto come il Rosatellum. L’impatto dell’analisi assume portata meno dirompente nella coalizione di centrodestra. Solo Fratelli d’Italia non vanta il dato peggiore (62,9%) rispetto al Nord e alla Zona Rossa. Oltre la metà degli elettori di Forza Italia (54,8%) e Lega (51,5%) afferma di votare il candidato collegato nell’uninominale, ma il 27,1% e il 28% – dunque quasi un terzo – si reputa indeciso.

    Tabella 1 – Matrice di flusso fra intenzioni di voto alla lista e intenzioni di voto al candidato di collegio al Sudflussi_PR_MG_sud_tab

    L’indice misurante l’incertezza tocca complessivamente al Sud il livello più alto: 23,5%, vale a dire quasi un elettore su quattro. Un elemento da non trascurare per il centrodestra, potenziale spartiacque tra un suo autentico successo o una vittoria di Pirro.

    Figura 1 – Flussi fra intenzioni di voto alla lista (sinistra) e intenzioni di voto al candidato di collegio (destra) al Sud (clicca per ingrandire)flussi_PR_MG_sud_fig

    Riferimenti bibliografici

    D’Alimonte R., L’incognita Sud senza il voto disgiunto, Il Sole 24 Ore, 11 febbraio 2018.


    NOTA METODOLOGICA

    Il sondaggio è stato condotto da Demetra nel periodo dal 5 al 14 febbraio 2018. Sono state realizzate 3.889 interviste con metodo CATI (telefonia fissa) e CAMI (telefonia mobile), e 2.107 interviste con metodo CAWI (via internet), per un totale di 6.006 interviste. Il campione, rappresentativo della popolazione elettorale in ciascuna delle tre zone geografiche, è stato stratificato per genere, età e collegio uninominale di residenza. Il margine di errore (a livello fiduciario del 95%) per un campione probabilistico di pari numerosità in riferimento alla popolazione elettorale italiana è di +/- 1,17 punti percentuali. Il campione è stato ponderato per alcune variabili socio-demografiche.

  • Sicilia, i tassi di preferenza: il Pd supera Forza Italia

    Sicilia, i tassi di preferenza: il Pd supera Forza Italia

    Prerogativa massima del far politica in Sicilia, lo studio del voto di preferenza agevola la lettura delle dinamiche elettorali regionali. Nell’Isola, la mobilitazione alle urne reca con sé stimoli flebilmente legati all’opinione e all’appartenenza ideologica (De Lucia, 2013). Lo conferma – in ultimo – lo studio sui flussi elettorali di Palermo, che attesta una iper-volatilità nelle scelte di voto nel Capoluogo siciliano (Emanuele e Paparo 2017).

    Le relazioni personali intessute dai candidati all’Ars scavalcano i partiti, sostituti nella loro funzione storica di mediazione e rappresentanza degli interessi dell’elettorato. Il consistente rimescolamento nella composizione delle liste tra un appuntamento e l’altro precisa le regole di un gioco dettato dai Lords of Preferences (Emanuele e Marino 2016), sola – verrebbe a dirsi – variabile indipendente nelle consultazioni dell’Isola. Non inganni quanto leggibile in termini assoluti nella Tabella 1, col numero di preferenze alle regionali siciliane diminuito di 577.529 in sedici anni. Difatti, il dato in percentuale rivela una significativa continuità col trascorrere del tempo. Con l’esclusione dell’elezione del 2008, celebratasi in condizioni particolari poiché in concomitanza con le politiche, il tasso supera sempre il 75%. Oltre tre quarti dell’elettorato siciliano non rinuncia ad apporre il nome del candidato di riferimento affianco al simbolo della lista sbarrato.

    Tabella 1 – Tasso di preferenza alle elezioni regionali siciliane (2001-2017)

    sicilia 2017 tasso di preferenze overall

    La riduzione di 5,7 punti tra 2012 e 2017 rinviene alla differente consistenza elettorale del Movimento Cinque Stelle, totalmente estraneo rispetto al modus operandi politico in Sicilia. Prescindendo da ogni giudizio di valore, il M5s si distingue quale autentico fenomeno d’opinione. Quando cinque anni fa esordì col 14,8%, appena il 49,6% – ovvero meno della metà dell’elettorato – premiò un aspirante deputato regionale dopo aver votato il partito.

    In linea con quanto esposto nella Tabella 2, il dato registrato lo scorso 5 novembre segna un miglioramento. Adesso, il 57,7% del bacino pentastellato sceglie anche un proprio candidato all’Ars. In questo senso, anche il Movimento si sta ‘normalizzando’.

    L’anomalia del Movimento abbassa notevolmente il tasso di preferenza altrimenti registrato in sua assenza. Nel 2012 avrebbe raggiunto l’89,5% (De Lucia, 2012), mentre nel 2017 l’85,0%. Abissale il raffronto storico del M5s con gli altri quattro partiti più votati:

    Tab.2: Tasso di preferenza alle elezioni regionali siciliane per i principali partiti

    sicilia 2017 tasso di preferenze by party

    Forza Italia, Partito Democratico, Unione di Centro e Popolari e Autonomisti scollinano l’80%. Colpisce il Pd, per la prima volta più in alto di Fi. I dem siciliani consacrano la propria mutazione genetica, iniziata due anni addietro con la fusione di Articolo 4, il gruppo formatosi a Palazzo dei Normanni patrocinato da Lino Leanza, ex uomo di punta del Mpa di Raffaele Lombardo. Da quell’aggregazione proviene Luca Sammartino, che in Provincia di Catania sfonda il muro delle 30.000 preferenze, contando da solo quasi il 50% di quanto ottenuto nel collegio dal Partito Democratico. Nel territorio etneo, il tasso di preferenza del Pd sfiora quasi il 90%, una soglia oltrepassata esclusivamente a Trapani (91,3%) e nella roccaforte Enna (90,1%), isola di centrosinistra nell’Isola del centrodestra.

    Recuperando lo smalto dei giorni migliori, Forza Italia mostra un tasso di preferenza inferiore di oltre 8 punti percentuali dal Pdl del 2012, contestualmente al raggiungimento di un migliore risultato finale (16,3 contro 12,9%). Ciò attesta la natura di un voto più politico ai forzisti, frutto della ritrovata centralità di Silvio Berlusconi. La realtà dove le preferenze incidono più marcatamente nel consenso di Fi è Messina. Nella provincia peloritana, il partito guidato da Gianfranco Miccichè beneficia delle oltre 11.000 mila preferenze dell’ex Ap Nino Germanà – rimasto comunque fuori dall’Ars – ma soprattutto delle 17.359 di Luigi Genovese, figlio di Francantonio. Curioso come nel 2012, quando l’ex deputato ancora militava tra le fila del Pd, il cognato Franco Rinaldi abbia ottenuto un consenso personale (18.664) non dissimile da quello del nipote. Questo corrobora la tesi secondo cui i pacchetti di voti siano una “dote ereditaria” tramandabile agli eredi o ai delfini del politico uscente di turno.

    Gli altri due attori principali della coalizione di Nello Musumeci, migliori depositari dell’eredità democristiana nell’Isola, sforano invece il 90%, con l’Udc in calo e i Popolari e Autonomisti – contenitore costituto dal partito di Saverio Romano e dall’ex Mpa di Raffaele Lombardo – a imporsi quale lista più soggetta all’utilizzo delle preferenze (96,5%).

    La restaurazione del centrodestra siciliano lancia più di un monito al Paese in avvicinamento al voto del 2018. Quello più dirompente riguarda il comparto maggioritario, da cui passano l’assegnazione del 35% dei seggi e forse delle sole possibilità di giungere alla maggioranza assoluta: il centrodestra, qualora unito e con candidati comuni nei collegi, potrebbe recitare un ruolo da grande protagonista nella prossima tornata elettorale.

    Riferimenti bibliografici:

    De Lucia F., “Elezioni regionali in Sicilia. Il voto di preferenza”, in “Un anno di elezioni verso le politiche 2013”, Dossier CISE N.3, 2013.

    Emanuele V., Paparo A., “Come in un flipper: a Palermo elettori in frenetico movimento oltre partiti e ideologia”, CISE, /cise/2017/11/10/come-in-un-flipper-elettori-in-frenetico-movimento-nei-flussi-a-palermo/, 10 novembre 2017.

    Emanuele V., Marino, B., “Follow the candidates, not the parties? Personal vote in a regional de-institutionalised party system”, Regional and Federal Studies, 26(4), pp. 531-554, 2016.

  • Sicilia, la geografia del voto

    Sicilia, la geografia del voto

    La mappa del consenso alle regionali dei candidati presidente definisce meglio i connotati politico-ideologici dell’elettorato siciliano. Il meccanismo maggioritario dal quale passa l’investitura diretta del governatore avvicina la competizione locale alle logiche di una consultazione nazionale. Chi si reca alle urne varia maggiormente le proprie scelte quando elegge una carica monocratica, anziché una collegiale come nel caso dei deputati dell’Ars.

    Rinviando ex post l’analisi sul rendimento delle liste provinciali, scandagliamo l’orientamento dell’Isola nel voto al presidente del 5 novembre.

    La Figura 1 indica chi tra i candidati è giunto primo in ognuno dei 390 Comuni Siciliani:

    Figura 1 – Regionali 2017 in Sicilia, 1° candidato Presidente per comune

    sicilia 2017 mappa per comune

    Una geografia del voto siffatta arricchisce quella per Provincia già diffusa dalle testate nazionali. In breve, Giancarlo Cancelleri fa sue Enna, Ragusa, Siracusa e Trapani, mentre Musumeci primeggia ad Agrigento, Caltanissetta, Catania, Messina e Palermo. Con l’eccezione della provincia nissena, il neo-eletto presidente della Regione trionfa nelle quattro realtà demograficamente più importanti, in cui risiede oltre il 68% della popolazione. Da rilevare quanto successo a Messina, col centrodestra vincente in 102 Comuni su 108 e forte del 47,5%, che diventa più del 50% se escludiamo dal computo il Comune Capoluogo.

    Ciascuno dei quattro principali candidati rimarca un profilo elettorale differente tra aree urbane e rurali. Il cleavage città/campagna determina anche stavolta i destini della tornata.

    Nello specifico, la Tabella 1 delinea il quadro del voto nei nove collegi sull’asse Comune Capoluogo/Resto della provincia, tanto per l’affluenza quanto per il consenso di Cancelleri, Fava, Micari e Musumeci.

    sicilia 2017 voto per provincia

    In discontinuità col 2012, la partecipazione nelle città sopravanza quella nel resto dell’Isola (48% contro 46,2%). Confermando quanto invece registrato in precedenza, nei tre centri più popolati – Palermo, Catania e Messina – si vota meno che nei territori delle rispettive province. Avviene il contrario nelle realtà più piccole come Caltanissetta, Enna e Ragusa. Nell’entroterra siciliano abitare nel Comune Capoluogo incide maggiormente che altrove, questo in ragione della “perifericità” dell’elettorato (Emanuele 2013).

    L’accennata vitalità ritrovata dalle città interviene sulla prestanza elettorale dei leader delle coalizioni. In otto collegi su nove Cancelleri e Fava ottengono risultati migliori nei Comuni Capoluogo. Del primo – diretto competitor di Musumeci – colpisce la discrasia tra le città di Messina (+4,6%), Palermo (+5,2%), e soprattutto Caltanissetta (+18,1%), rispetto al resto delle province. Nel Capoluogo regionale, Fava sfiora il 10% (9,4%), quasi doppiando il consenso nell’insieme degli altri comuni (4,9%). A certificazione della dimensione d’opinione nel sostegno ai due candidati urban oriented, si ricordi che entrambi hanno beneficiato delle conseguenze del voto disgiunto, tradottesi in un rendimento coalizionale positivo, in particolare per il pentastellato (+8 punti).

    Fabrizio Micari, il rettore dell’Università di Palermo designato alla discesa in campo da Leoluca Orlando, meglio si pone come candidato all Around, con un rendimento equilibrato leggermente migliore nelle città anziché nelle campagne.

    A fare da contraltare è così Nello Musumeci, il cui bacino elettorale rientra nella categoria village oriented. Il candidato del centrodestra consegue ovunque percentuali peggiori nei comuni capoluogo in raffronto al resto delle province. Si tratta di una netta inversione di tendenza alla tradizione del centrodestra siciliano, storicamente mattatore nei centri più popolosi, nonché nella decretazione di un verdetto pronosticabile ma non scontato: Giancarlo Cancelleri batte – di misura (36,0% contro 35,5%) – Nello Musumeci nelle nove città dell’Isola.

    I Lords of Preferences (Emanuele, Marino 2016) decidono le elezioni regionali siciliane, assolvendo ancora una volta alla funzione di arbitri nelle partite elettorali dell’Isola.

     

    Riferimenti bibliografici:

    Emanuele V., “Regionali in Sicilia. La geografia del voto: Grillo sfonda nelle città”, in “Un anno di elezioni verso le politiche 2013”, Dossier CISE N.3, 2013.

    Emanuele, V. and Marino, B., “Follow the candidates, not the parties? Personal vote in a regional de-institutionalised party system”, Regional and Federal Studies, 26(4), pp. 531-554, 2016.

  • Frattura urbano-rurale e voto in Sicilia (2001-2012)

    Frattura urbano-rurale e voto in Sicilia (2001-2012)

    Quale regione più vasta d’Italia, la Sicilia non esenta da cleavages, linee di frattura che ne definiscono il quadro socio-politico. A quella che coinvolge i due versanti, correlando positivamente i maggiori livelli di reddito con la partecipazione elettorale (D’Amico 1993), se ne aggiunge perlomeno una seconda, riguardante la natura dell’organizzazione e del consenso dei partiti lungo l’asse città-campagna. Le principali aree urbane siciliane coincidono con i Comuni Capoluogo. Di questi, otto su nove rientrano nella classifica dei primi undici centri per popolazione, con quattro che contano oltre 100.000 abitanti: Palermo, Catania, Messina e Siracusa.

    Nell’Isola, le realtà rurali presentano risultati elettorali discostanti da quelli degli agglomerati più abitati. L’elemento demografico crea discrimine nella prestanza alle urne di centrodestra, centrosinistra e Movimento Cinque Stelle. Per ottenere risultati confrontabili fra tutti i partiti, che esulino quindi dalla loro percentuale di voti in termini assoluti, può adoperarsi un particolare quoziente di localizzazione denominato “soglia di urbanità elettorale”, calcolabile come il rapporto fra il numero di voti alle liste nei Comuni Capoluogo ed il numero di voti totali alle stesse. È un indice utilizzabile quale metro di paragone per valutare le caratteristiche demografiche dell’elettorato. Il dato muta ad ogni elezione influenzato da variabili che ne alterano il valore, su tutte l’astensionismo asimmetrico nel caso colpisca maggiormente i Comuni Capoluogo rispetto al resto delle Province. Lo si denota nel 2012 nella tabella qui proposta, riassunto della soglia di urbanità elettorale per le consultazioni celebratesi nell’Isola dal 2001:

    Tab.1: Soglia di urbanità elettorale in Sicilia (elezioni regionali 2001-2012)

    sicilia urbanità elettorale

    Per stabilire se un partito superi o meno la soglia, serve computare la misura percentuale dell’apporto dei Comuni Capoluogo sui voti totali ottenuti dal medesimo partito:

    N.voti partito nei Comuni Capoluogo ×100/N.voti partito totali

    Ciò permette di realizzare una classificazione delle forze politiche. Qualora l’apporto dei nove Comuni Capoluogo sul totale dei voti del partito si discosti più del 5% dalla soglia di urbanità elettorale, il comportamento di ciascuna lista sarà City oriented. Se invece si mostrasse inferiore del 5%, rientrerà nel gruppo Village oriented. Quando le variazioni non sono così significative in senso positivo o negativo, All around.

    La tabella ordina i risultati delle liste per il periodo in esame, mentre i grafici dipingono i partiti in relazione al loro consenso totale (asse delle ascisse), e all’interfacciarsi con la soglia di urbanità elettorale (asse delle ordinate):

    Tab.2: Classificazione dei partiti in Sicilia (elezioni regionali 2001-2012)

     

    sicilia tipo di partito urbanità

    sicilia urbanità 2001sicilia urbanità 2006

    sicilia urbanità 2008

    sicilia urbanità 2012

    Le quattro consultazioni si qualificano per motivi di continuità e radicale novità. Per ciascuna elezione il partito più votato in assoluto coincide con quello che in termini percentuali dovette maggiormente la sua consistenza ai Comuni Capoluogo: Forza Italia nel 2001 e nel 2006 (33,63%, 31,18%), il Popolo delle Libertà nel 2008 (34,20%) e il Movimento Cinque Stelle nel 2012 (38,78%). I trionfi in Sicilia si cingono imprescindibilmente ai proseliti nei centri urbani. Eccezion fatta per la più recente tornata, il dato premia le forze politiche di centrodestra, considerando anche Ccd-Mpa (32,10% e 31,03%), nel 2001 e nel 2006 più in alto, anche se flebilmente, della soglia di urbanità elettorale, rientrando così nel gruppo All around. Fuor di dubbio, l’elezione maggiormente competitiva negli undici anni oggetto d’analisi fu quella del 2006, con sei partiti raccolti in una forbice del 2,92%, equamente divisi tra All around (Fi, Mpa, An) e Village oriented (Ds, Udc, Margherita), sguarnendo il campo dei City oriented.

    Le sorprese albergano nel centrosinistra, profilatosi marcatamente periferico e in affanno nel voto cittadino suo marchio di fabbrica nel resto del Paese. Per due volte i Ds (22,79% e 28,40%) s’incontrano nel gruppo Village oriented, mentre solo una volta una forza dell’area progressista, La Margherita nel 2001 (30,97%), oltrepassò la soglia. A invertire la rotta non bastò la nascita del Pd, incapace di incanalare tra le sue fila un consenso al contrario neutralmente equivalente al rapporto tra i voti dei Comuni Capoluogo e il totale regionale (31,47% nel 2008, 28,24% nel 2012). La spiegazione venuta a capo giustificherebbe il gap rinvenendolo all’insediamento delle sub-culture politiche comuniste dell’Isola. In principio la genesi del Pci isolano non s’ascrisse al movimento operaio, all’opposto slegato dal movimento socialista e con un carattere corporativo (Macaluso 1970). La categoria socio-economica le cui istanze vennero raccolte da Botteghe Oscure fu quella contadina, nello specifico quella bracciantile più povera, esclusa e lontana dalle città a causa di ritardi infrastrutturali. Si capirà come un’analisi del genere diluisca col trascorrere del tempo e sfumi con l’evoluzione della società, affermandosi meglio a prodromo di un debole radicamento territoriale su questo livello. Basti ricordare che nelle elezioni politiche del 2008 il Pd di Veltroni batté nelle grandi città italiane il Pdl di Berlusconi (Emanuele 2011), mentre alle simultanee regionali siciliane patì in quest’ambito un distacco ancor peggiore rispetto al dato finale (vedi Figura in basso).

    sicilia rendimento urbanità 2008

    Le ultime due tornate isolane assurgono rilievo perché videro un solo partito attestarsi meglio della soglia di urbanità elettorale. In ciò si vidima il paragone tra Pdl e M5s, col Pd classificatosi in ambo i casi nella piazza d’onore. Esclusivamente l’aggregazione politico-elettorale costituita da Cdu-Udc, riferibile storicamente a Totò Cuffaro, tenne pedissequamente fede per undici anni al profilo Village oriented.

    Alle elezioni del prossimo 5 novembre toccherà sancire il riequilibrio tra città e campagne. Qualora conservasse l’inclinazione City Oriented, una più alta partecipazione dei centri urbani favorirebbe il M5s, pur con dimensioni meno sproporzionate rispetto al 2012. Al voto d’opinione delle città fa appello anche la coalizione di centrosinistra guidata da Micari, sperando talaltro nell’incidenza di Leoluca Orlando ed Enzo Bianco, sindaci di Palermo e Catania. Forse, soltanto così s’attutirebbero i colpi inferti dal blocco di centrodestra, che per l’eterogeneità dei suoi attori è l’autentico catch all siciliano.

     

    Riferimenti bibliografici:

    D’Amico R., “La ‘cultura elettorale’ dei siciliani”, in Morisi M. (a cura di), “Far politica in Sicilia. Deferenza, consenso e protesta”, Feltrinelli, 1993, pagine 211-257.

    Emanuele V., “Riscoprire il territorio: dimensione demografica dei comuni e comportamento elettorale in Italia”, in “Meridiana”, numero 70, 2011, pagine 115-148.

    Macaluso E., “I comunisti e la Sicilia”, Editori Riuniti, 1970, pagina 23.