Italiani spaccati sull’Europa, ma non è solo una questione di destra vs sinistra

Nei giorni scorsi il CISE ha commissionato un sondaggio per testare l’opinione degli italiani rispetto alla crisi sanitaria in corso e a quella economica che arriverà nei prossimi mesi[1]. Abbiamo chiesto ai cittadini di esprimersi rispetto a vari temi collegati all’emergenza Covid-19, dal giudizio sull’operato del governo e dei principali leader alle responsabilità sulla gestione della crisi, fino alle misure economiche da adottare per ripartire.

Fra i vari argomenti toccati dal sondaggio c’erano anche una serie di domande relative al rapporto tra italiani e Unione Europea (UE). Un tema al centro del dibattito pubblico ormai da molto tempo e che negli anni più recenti ha mostrato un trend di crescente euroscetticismo fra gli italiani, un tempo uno fra i popoli più eurofili della UE (Bellucci e Conti 2012; Carrieri 2019)[2].

Il tema diventa ancor più d’attualità in queste settimane, vista la cruciale importanza delle istituzioni UE per far fronte alla crisi economica in arrivo e le aspre polemiche tra governo e opposizione e perfino all’interno della stessa maggioranza di governo sull’opportunità di attivare il MES (vedi articolo di D’Alimonte) e, più in generale, sull’effettivo supporto che le istituzioni UE sono in grado di garantire ai paesi maggiormente in difficoltà.

Come incide quindi l’emergenza sanitaria sull’atteggiamento degli italiani verso la UE? Quanto sono polarizzate le opinioni degli italiani sulla UE da un punto di vista socio-demografico e politico?

Per rispondere a queste domande abbiamo analizzato tre aspetti relativi all’UE, testandoli con altrettante domande nel nostro sondaggio. Si tratta del giudizio generale degli italiani rispetto all’appartenenza all’UE, dell’opportunità di una “Italexit” e infine dell’opinione rispetto ad una eventuale solidarietà europea mostrata dagli altri paesi UE all’Italia in questo momento di difficoltà. Per ciascuna di esse mostriamo la distribuzione nell’intero campione di intervistati e successivamente riportiamo i risultati dell’incrocio con le intenzioni di voto rilevate dal sondaggio e la categoria professionale dell’intervistato. In questo modo possiamo rispondere alle domande formulate in precedenza cogliendo nello specifico quanto l’atteggiamento degli italiani nei confronti della UE sia trasversale rispetto alle preferenze politiche e alla posizione occupata dall’intervistato nel mercato del lavoro, o invece sia in qualche modo correlata ad esse e, in questo caso, in che direzione.

La Tabella 1 riporta la distribuzione del campione rispetto al giudizio generale verso l’appartenenza all’UE. Nel complesso, la maggioranza relativa degli italiani (42%) ha un’opinione negativa dell’appartenenza dell’Italia all’UE. Coloro che esprimono un’opinione positiva sono poco più di un terzo (35%), mentre quasi un quarto rimane in posizione neutrale (il 23% risponde infatti indicando la categoria “Né positivo né negativo”).

Tabella 1- Giudizio sull’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea

Anche alla luce di quello che è successo con questa crisi, per l’Italia è un fatto positivo o no far parte della Unione Europea?  %
Negativo 42
Né positivo né negativo 23
Positivo 35
Totale (N=1601) 100

La virata euroscettica degli italiani avvertibile già dalla Tabella 1 è ancora più evidente se osserviamo la Tabella 2 che riporta la distribuzione del campione alla domanda sulla permanenza nell’UE. All’intervistato sono state fornite tre opzioni di risposta: 1) Uscire dall’UE; 2) Uscire dall’Euro, ma non dall’UE; e infine 3) Restare nell’UE. Abbastanza sorprendentemente, solo una minoranza degli intervistati (47%) vorrebbe che l’Italia rimanesse sia nella moneta unica che nell’UE. Questa cifra è la più bassa mai registrata nei sondaggi a cura CISE che, seppur con livelli diversi di supporto, avevano sempre mostrato una maggioranza a favore della piena permanenza del paese nell’UE[3]. Al contrario, la maggioranza assoluta degli intervistati (53%) vorrebbe modificare lo status quo: il 18% vorrebbe abbandonare l’Euro, mentre addirittura il 35% opta per l’opzione più “hard”, cioè la completa uscita dall’UE, alla stregua di quanto fatto dal Regno Unito nei mesi scorsi.

Tabella 2 – Opinione sulla permanenza dell’Italia nell’Unione Europea

Anche alla luce di quanto è successo con questa crisi, l’Italia dovrebbe… %
Uscire dall’UE 35
Uscire dall’Euro ma non dall’UE 18
Restare nell’UE 47
Totale (N=1556) 100

Sulla base di queste premesse, non stupirà la netta maggioranza che non rintraccia alcuna solidarietà europea negli avvenimenti di queste ultime settimane. L’emergenza Covid-19 ha messo in seria crisi la tenuta del nostro sistema-paese e l’Italia è rimasta sola ad affrontare l’emergenza, senza ricevere aiuto dagli altri partner europei. È questo ciò che sembra pensare l’85% degli intervistati, contro il 15% circa che invece ritiene che gli altri paesi EU stiano aiutando l’Italia (Tabella 3).

Tabella 3 – Opinione sulla solidarietà europea

Secondo lei, in questo momento gli altri paesi della UE nel complesso stanno aiutando il nostro paese…  %
No 85
Si 15
Totale (N=1643) 100

Fin qui l’analisi “monovariata” del campione ha fornito un quadro piuttosto coerente: gli italiani manifestano un crescente euroscetticismo e, sebbene permanga in una quota importante del campione un’idea di fondo sulla positività dell’appartenenza all’UE e alle sue istituzioni, l’ostilità verso i nostri partner europei è invece condivisa da una larghissima maggioranza dell’elettorato.

Vediamo adesso se e in che modo l’atteggiamento nei confronti dell’Europa polarizza l’elettorato italiano.

Tabella 4 – Incrocio tra giudizio sull’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea e intenzioni di voto alle elezioni politiche

Anche alla luce di quello che è successo con questa crisi, per l’Italia è un fatto positivo o no far parte della Unione Europea? Pd IV M5S FI FdI Lega Totale campione
Negativo 2 12 37 30 71 79 42
Né positivo né negativo 14 19 34 42 23 18 23
Positivo 84 69 29 28 6 3 35
Totale (N=1601) 100 100 100 100 100 100 100


Tabella 5 – Incrocio tra opinione sulla permanenza dell’Italia nell’Unione Europea e intenzioni di voto alle elezioni politiche

Anche alla luce di quanto è successo con questa crisi, l’Italia dovrebbe… Pd IV M5S FI FdI Lega Totale campione
Uscire dall’UE 3 15 28 25 60 65 35
Uscire dall’Euro ma non dall’UE 2 4 32 33 29 27 19
Restare nell’UE 96 81 40 42 12 8 47
Totale (N=1556) 100 100 100 100 100 100 100


Tabella 6 – Incrocio tra opinione sulla solidarietà europea e intenzioni di voto alle elezioni politiche

Secondo lei, in questo momento gli altri paesi della UE nel complesso stanno aiutando il nostro paese… Pd IV M5S FI FdI Lega Totale campione
No 64 67 90 95 98 98 85
Si 36 33 10 5 2 2 15
Totale (N=1643) 100 100 100 100 100 100 100


Da un rapido sguardo alle Tabelle 4, 5 e 6 che riportano i risultati degli incroci con le intenzioni di voto, risulta evidente che il tema dell’Europa divide non solo l’elettorato nel suo complesso ma anche i singoli partiti. Utilizzando una terminologia Rokkaniana, diremmo che quella europea è una frattura “crosscutting” piuttosto che “overlapping” rispetto alla tradizionale divisione sinistra-destra. Ma andiamo con ordine. Il Partito democratico (Pd) è in assoluto la forza politica con la maggiore omogeneità interna rispetto al tema della UE. Più di 4 elettori democratici su 5 hanno un atteggiamento positivo rispetto alla UE e la quasi totalità di loro vuole restare nell’UE e nell’euro (96%). Rispetto alla questione della solidarietà degli altri paesi UE, “solo” il 36% pensa che i nostri partner ci stiano aiutando, ma questa percentuale è comunque più che doppia rispetto alla media nazionale. Su posizioni molto simili a quelle del Pd c’è Italia Viva, i cui elettori sono ampiamente eurofili, sebbene un po’ meno entusiasti di quelli del Pd. Del resto, tra i molti motivi della scissione renziana dal Pd di Zingaretti, certamente non compare il tema della UE che invece unisce i due partiti nel fronte pro-Europa del governo. Dall’altra parte, su posizioni sensibilmente diverse e decisamente più euroscettiche compare l’altro partner del governo Conte, il Movimento Cinque Stelle (M5S), che risulta profondamente diviso su atteggiamento nei confronti dell’Unione e Italexit e invece quasi plebiscitariamente scettico sulla solidarietà mostrata dagli altri paesi UE all’Italia. Meno di un intervistato su 3 del partito di Grillo e Di Maio ha un atteggiamento positivo verso l’UE e “solo” il 40% vuole restare in Europa, contro il 60% che invece vuole modificare lo status quo, abbandonando la moneta unica o uscendo del tutto dall’UE. Questi dati, e lo stridente contrasto fra Pd e Italia Viva da una parte, e M5S dall’altra, fanno emergere un gigantesco nodo gordiano del governo giallo-rosso. La divisione sul tema europeo non è certamente una novità emersa in questi mesi ma un elemento già presente al momento della formazione del governo. Eppure, la gestione di questo potenziale conflitto interno sarà uno dei punti chiave del governo Conte da qui in avanti, soprattutto alla luce della difficilissima negoziazione che l’esecutivo dovrà portare avanti con le istituzioni UE e gli altri partner europei.

A destra, invece, il tema dell’Europa è molto meno divisivo. Lega e Fratelli d’Italia (FdI), che hanno in mano la golden share del blocco conservatore, sono ormai due partiti apertamente euroscettici. Circa i tre quarti dei rispettivi elettorati manifestano un atteggiamento negativo verso l’UE, mentre coloro che esprimono un giudizio positivo verso l’Europa si contano sulle dita di una mano (tra il 3% ed il 6% circa). Pochissimi, fra i seguaci di Salvini e Meloni, vorrebbero restare in Europa mantenendo anche la moneta unica. La maggioranza assoluta di entrambi gli elettorati (rispettivamente il 65% ed il 60%) vorrebbe piuttosto seguire il Regno Unito con l’Italexit, mentre poco più di un quarto vorrebbe uscire dall’Euro rimanendo però nell’UE (il 27% ed il 29% rispettivamente). Le posizioni di duro euroscetticismo dei due partiti di destra si riflettono anche nelle risposte alla domanda sulla solidarietà in Europa, con circa il 98% degli intervistati dei due elettorati che nega che gli altri paesi UE stiano aiutando l’Italia. Infine, Forza Italia, presenta posizioni più moderate, con una maggioranza relativa degli intervistati che è neutrale sull’UE (42%) e vorrebbe restarci (42%). Nel complesso, le posizioni di Forza Italia rispetto all’Europa sono simili a quelle del M5S, un risultato già emerso nel recente passato (De Sio, De Angelis e Emanuele 2018; Emanuele, Maggini e Paparo 2020)[4].

Spostando ora l’attenzione dalla dimensione partitica a quella socioeconomica, passiamo ad analizzare il modo in cui diversi gruppi socioeconomici guardano all’Europa. Il primo dato che emerge dalle nostre analisi è una polarizzazione sicuramente meno accentuata rispetto a quanto osservato in relazione alle linee di divisione partitiche, ma non per questo meno rilevante. Non mancano, infatti, sostanziali elementi di differenziazione tra diversi gruppi sociali, nonché indicazioni che sembrano mostrare l’emergere di ‘alleanze sociali’ per certi versi inedite.

Sul versante decisamente europeista si collocano i dirigenti, i liberi professionisti e gli imprenditori -il gruppo socioeconomico con maggiore disponibilità di capitale economico (Tabella 7). È una maggioranza assoluta di questa categoria (52%), infatti, che esprime un giudizio positivo sull’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea. Un giudizio negativo è espresso invece “soltanto” da un terzo, mentre una minoranza del 16% si colloca su una posizione neutrale.

Tabella 7 – Incrocio tra giudizio sull’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea e classe occupazionale

Anche alla luce di quello che è successo con questa crisi, per l’Italia è un fatto positivo o no far parte della Unione Europea? Imprenditori/Dirigenti Impiegati Professioni sociocult. Commercianti Operai Disoccupati Studenti Pensionati Totale campione
Negativo 32 39 14 50 57 58 46 37 42
Né positivo né negativo 16 23 43 24 25 18 11 23 23
Positivo 52 38 43 26 18 25 43 40 35
Totale (N=1601) 100 100 100 100 100 100 100 100 100

Relativamente positivo è il giudizio espresso anche dagli impiegati nei settori socioculturali (come ad esempio gli insegnanti di scuola superiore ed i professori universitari). In questo caso, però, non si tratta di una maggioranza assoluta, ma del 43%, contro il 14% che esprime un giudizio negativo. Sebbene la proporzione di coloro che rivelano un atteggiamento positivo nei confronti dell’UE sia relativamente ampia, vale la pena notare che il gruppo non è compatto, come nel caso dei dirigenti e degli imprenditori. Una maggioranza relativa, infatti, si colloca in una posizione di neutralità, esprimendo un giudizio né positivo né negativo (si tratta del 43%). Più frammentate le posizioni di quello che potremmo definire il ceto medio impiegatizio. Sebbene vi siano quote rilevanti di questo segmento sociale che guardano positivamente alla membership europea dell’Italia (38%), una porzione sostanzialmente identica la giudica negativamente (39%), mentre una minoranza del 23% è di fatto neutrale.

Sul versante euroscettico si collocano invece le classi più deboli dal punto di vista economico, vale a dire i disoccupati e gli operai. In questo caso è la maggioranza assoluta (rispettivamente il 57% ed il 58%) che giudica negativamente l’appartenenza del paese all’Unione. Sebbene entrambi i gruppi manifestino uno stesso livello di euroscetticismo, l’atteggiamento più negativo è espresso soprattutto dagli operai. Se, infatti, un disoccupato su quattro esprime un giudizio positivo sull’appartenenza dell’Italia all’UE, il rapporto scende di circa sette punti percentuali tra gli operai, dove solo il 18% è disposto ad esprimere un giudizio positivo sull’Unione Europea. Al gruppo euroscettico si aggiungono infine -seppur in misura leggermente minore rispetto a disoccupati ed operai-, i commercianti (un commerciante su due esprime un giudizio negativo). Il dato relativo a quest’ultimo gruppo occupazionale è di particolare interesse, soprattutto se visto in prospettiva. Si tratta infatti di una delle categorie professionali maggiormente penalizzate dalle misure del lockdown e che probabilmente risentirà degli effetti dell’imminente crisi economica prima delle altre. La negatività espressa da questo gruppo non sorprende, ed è, per certi versi, preoccupante. Qualora il nesso tra condizione socioeconomica e atteggiamenti verso l’Europa fosse confermato, all’incedere rapido della crisi potrebbe seguire una virata in direzione ancor più euroscettica della categoria, che potrebbe così diventare un bacino elettorale ideale per partiti genuinamente euroscettici come Lega e FdI.

Infine, vale la pena notare un ultimo dato interessante relativo agli studenti, tradizionalmente individuati come sostenitori del progetto di integrazione. Il dato della nostra rilevazione sembra in qualche modo contraddire questa narrazione: è il 43% degli studenti a considerare positivamente la membership dell’Italia, contro una maggioranza relativa del 46% che invece esprime un giudizio negativo. Allo stesso tempo, solo una minoranza mantiene una posizione neutrale (il 11%)[5].

Se il giudizio sulla membership è ampiamente divisivo tra le diverse classi occupazionali, registriamo invece una sostanziale coesione, di fatto trasversale ad ogni classe occupazionale, sul modo in cui vengono percepiti i partner europei nel contesto dell’emergenza sanitaria (Tabella 8).

Tabella 8 – Incrocio tra opinione sulla solidarietà europea e classe occupazionale

Secondo lei, in questo momento gli altri paesi della UE nel complesso stanno aiutando il nostro paese… Imprenditori/Dirigenti Impiegati Professioni sociocult. Commercianti Operai Disoccupati Studenti Pensionati Totale campione
No 75 83 85 86 95 88 71 84 85
Si 25 17 15 14 5 12 29 16 15
Totale (N=1643) 100 100 100 100 100 100 100 100 100

Infatti, indipendentemente dal ruolo occupato all’interno del mercato del lavoro, una maggioranza assoluta dei rispondenti ritiene che gli altri paesi europei non abbiano aiutato l’Italia a sufficienza nel fronteggiare l’emergenza sanitaria. Tuttavia, ancora una volta il maggiore disappunto nei confronti degli altri paesi europei è espresso dalle classi economicamente più fragili, mentre sono le classi più alte (in particolare dirigenti ed imprenditori) ad avere posizioni leggermente più positive. In altre parole, sebbene gli atteggiamenti verso l’Europa siano chiaramente strutturati sulla base della condizione socioeconomica, esiste un sentimento di sfiducia trasversale a tutte le classi sociali e che riguarda gli alleati dell’Italia in Europa. Se questo sentimento di sfiducia sia il portato di posizioni genuinamente euroscettiche radicate nei cittadini già prima dell’esplosione della pandemia oppure un diretto effetto delle vicende delle ultime settimane è difficile da dire. Per alcuni (in special modo per i più convinti sostenitori dell’Unione Europea, come ad esempio insegnanti ed accademici), la posizione critica espressa nei confronti degli alleati potrebbe essere il risultato del momento e cioè di un giudizio relativo alle modalità con le quali l’Europa (e gli altri paesi europei) sta gestendo la crisi. Per altri, in particolare per chi ha posizioni più euroscettiche, non è possibile escludere che queste posizioni siano, almeno in parte, indipendenti dalla crisi -la quale non avrebbe fatto altro che catalizzarle e radicalizzarle- e per lo più innescate da un euroscetticismo già radicato. Ad ogni modo, esiste una sacca consistente di insoddisfazione e di frustrazione trasversale alla società italiana, un’insoddisfazione che potrebbe rappresentare carburante prezioso per i principali partiti euroscettici. Partiti che, in questa fase, hanno tutto l’interesse a spostare l’asse del conflitto politico proprio sull’Europa.

Il dato sinora discusso va inserito e letto all’interno del contesto dell’emergenza sanitaria. Il giudizio espresso dagli intervistati riflette infatti una valutazione della membership e della solidarietà europea alla luce degli effetti provocati dalla pandemia. Non è quindi sorprendente che tali giudizi non si traducano in modo automatico in atteggiamenti favorevoli o contrari all’uscita dell’Italia dall’Unione Europea. E infatti, quando si analizza la desiderabilità dell’uscita dall’Unione Europea per categoria professionale, i dati mostrano risultati leggermente diversi -sebbene coerenti- con quanto discusso in precedenza (Tabella 9).

Tabella 9 – Incrocio tra opinione sulla permanenza dell’Italia nell’Unione Europea e classe occupazionale

Anche alla luce di quanto è successo con questa crisi, l’Italia dovrebbe… Imprenditori/Dirigenti Impiegati Professioni sociocult. Commercianti Operai Disoccupati Studenti Pensionati Totale campione
Uscire dall’UE 25 32 13 26 49 48 36 32 35
Uscire dall’Euro ma non dall’UE 11 15 4 38 23 21 13 21 19
Restare nell’UE 63 53 83 36 28 31 51 47 47
Totale (N=1556) 100 100 100 100 100 100 100 100 100

Emerge innanzitutto in modo più chiaro una linea di frattura pro/anti Europa, strutturata sulla base della classe occupazionale. Da una parte, una maggioranza assoluta tra professionisti socioculturali (83%), dirigenti/liberi professionisti/imprenditori (63%), e, in misura minore, impiegati (53%) e studenti (51%) sostiene la permanenza dell’Italia nell’UE. Sul fronte opposto, convintamente euroscettico, troviamo invece commercianti, operai e disoccupati, che optano per una qualche forma di sganciamento dalle strutture istituzionali europee. Tra i commercianti, una maggioranza (relativa) del 38% ritiene che l’Italia debba uscire dall’Euro (ma non dall’Unione Europea) e circa il 26% considera più opportuna l’opzione hard dell’Italexit (uscire sia dall’Unione Europea che dall’Euro). Più radicali sono invece le posizioni di operai e disoccupati. Per i primi, la soluzione Italexit è la decisione più auspicabile (un operaio su due); mentre l’uscita dall’euro (ma non dall’Unione) è supportata dal 23%. Per i secondi il dato è sostanzialmente analogo: quasi un disoccupato su due sostiene l’uscita sia dall’Unione che dall’Euro; è invece il 21% a preferire un’opzione parziale di uscita (uscita dall’Euro ma non dall’Unione).

I dati sembrano profilare una chiara contrapposizione tra diverse classi occupazionali, in linea con diversi studi sul tema (Kriesi et al. 2006): da un lato (quello europeista) i cosiddetti vincitori della globalizzazione, vale a dire le classi sociali più benestanti dal punto di vita economica e/o con un capitale culturale relativamente più elevato (la cosiddetta medio-alta borghesia). Sul lato opposto della barricata (quello profondamente euroscettico), invece, troviamo i cosiddetti perdenti della globalizzazione, cioè una buona porzione di ceto medio, duramente colpito dalla recente crisi economica e che probabilmente subirà più di altri gruppi socioeconomici gli effetti economici della pandemia da Covid-19, e le classi sociali più disagiate (operai e disoccupati), generalmente meno istruite (e quindi dotate di un capitale culturale ridotto da poter spendere sul mercato del lavoro) e più fragili dal punto di vista economico.  

La strutturazione su base socioeconomica del conflitto sull’Europa è ulteriormente confermata dai risultati di un’analisi di regressione logistica, in cui abbiamo utilizzato come variabile dipendente una variabile dicotomica, distinguendo coloro che vogliono restare nell’Unione Europea da coloro che invece optano per una trasformazione dello status quo (sia attraverso l’uscita dall’Euro -ma non dall’UE, sia attraverso una soluzione hard che preveda l’uscita sia dall’UE, sia dalla moneta unica). Oltre ad includere l’occupazione come variabile indipendente, il modello controlla per regione di residenza, genere, età e titolo di studio. I risultati della nostra analisi confermano ampiamente quanto descrittivamente osservato nell’analisi bivariata. In Figura 1 riportiamo per ciascuna categoria professionale la probabilità predetta dal modello di preferire l’opzione di restare all’interno dell’UE (al netto dell’effetto delle altre variabili di controllo).

Figura 1 – Probabilità predetta da un modello di regressione logistica di preferire l’opzione “Rimanere nell’Unione Europea” per classe occupazionale e controllando per genere, età, istruzione e regione di residenza.

Le radici socioeconomiche del conflitto pro-anti Europa emergono con chiarezza: le classi a più alto livello di capitale economico e culturale hanno una probabilità significativamente maggiore di scegliere il “remain” rispetto alle classi con un più basso livello di capitale economico e culturale (commercianti, operai e disoccupati). Inoltre, vale la pena notare che, sul versante eurofilo, spicca tra gli altri il gruppo dei professionisti socioculturali, con una probabilità significativamente più alta rispetto ad ogni altro gruppo sociale di manifestare posizioni pro-UE. Al contrario, sul versante euroscettico, commercianti, operai e disoccupati non differiscono in alcun modo tra di loro, a dimostrazione del fatto che, benché in condizioni socioeconomiche differenti, rappresentano di fatto un unico blocco sociale compatto quando si tratta di esprimere la propria posizione sull’appartenenza dell’Italia all’UE. Insomma, la categoria che ha storicamente rappresentato la base sociale della sinistra (la classe operaia) e la categoria che invece ha rappresentato negli ultimi 25 anni la base sociale di riferimento della destra (le partite IVA) (vedi Bellucci e Segatti 2012) sono accomunate da un viscerale euroscetticismo. Si tratta di dati che, naturalmente, necessiterebbero di ulteriori elaborazioni, però questi risultati sembrano fornirci ulteriori conferme sul fatto che Prima e Seconda Repubblica sono ormai definitivamente alle spalle.

Riferimenti bibliografici

Bellucci, P. e Segatti, P. (2012), Votare in Italia: 1968-2008. Dall’appartenenza alla scelta, Bologna, Il Mulino

Carrieri, L. (2019), ‘The limited politicization of the European integration in Italy: Lacking issue clarity and weak voter responses’, Italian Political Science Review 50(1), pp. 52-69.

Conti, N. e Bellucci, P. (2012), Gli Italiani e l’Europa. Opinione pubblica, élite politiche e media, Roma, Carocci.

D’Alimonte, R. (2020), ‘Il virus spinge l’antieuropeismo. E Zaia scala la classifica dei leader’, disponibile presso: https://cise.luiss.it/cise/2020/04/29/il-virus-spinge-lantieuropeismo-e-zaia-scala-la-classifica-dei-leader/

De Sio, L., De Angelis, A., e Emanuele, V. (2017), ‘Issue Yield and Party Strategy in Multiparty Competition’, Comparative Political Studies 51 (9), pp. 1208-1238.

Emanuele, V., Maggini, N. e Paparo, A. (2020), ‘The times they are a-changin’: party campaign strategies in the 2018 Italian election’, West European Politics 43 (3), pp.665-687.

Kriesi, H., Grande, E., Lachat, R., Dolezal, M., Bornschier, S. e Timotheus, F. (2006) ‘The globalization and the transformation of the national political space: Six European countries Compared’, European Journal of Political Research 45(6), pp. 921-956.


[1] Il sondaggio è stato realizzato con metodo CAWI tra il 21/04/2020 ed il 23/04/2020 su un campione (N=1643) della popolazione maschile e femminile italiana dai 18 anni in su, stratificato per genere, età e provincia di residenza in proporzione all’universo della popolazione italiana.

[2] Si vedano inoltre sul punto le analisi semestrali dell’Eurobarometro.

[3] È importante ricordare che le formulazioni utilizzate nei precedenti sondaggi CISE erano significativamente differenti rispetto a quella utilizzata nel sondaggio attuale. Nei precedenti sondaggi si chiedeva al rispondente di esprimere la propria preferenza sulla permanenza dell’Italia nell’Unione Europea e nell’Euro in due domande separate. L’accorpamento delle due domande in unico quesito che contemporaneamente misura gli atteggiamenti sull’Euro e sull’Unione Europea potrebbe aver generato una sovrarappresentazione delle posizioni euroscettiche nel nostro sondaggio attuale.

[4] Vale la pena notare che il numero di elettori di Forza Italia nel nostro campione è relativamente basso. Di conseguenza, i dati mostrati vanno letti ed interpretati con una certa dose di cautela.

[5] Il numero di studenti incluso nel campione è relativamente basso. Di conseguenza, le analisi che vengono riportate nel testo vanno lette ed interpretate con cautela.

Davide Angelucci is a lecturer at the Department of Political Science of Luiss University, Rome. He has been a visiting student at Royal Holloway University of London and at the Instituto de Ciências Sociais da Universidade de Lisboa. He is currently a member of the Italian Centre for Electoral Studies (CISE) and part of the editorial board of the journal Italian Political Science (IPS). His research interests include elections and electoral behaviour, party politics, class politics, and public opinion. His work has been published in journals like European Union Politics, West European Politics, South European Society and Politics, Swiss Political Science Review and others.
Vincenzo Emanuele è professore associato in Scienza Politica presso la LUISS Guido Carli di Roma. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Scienza della Politica presso la Scuola Normale Superiore (ex SUM) di Firenze con una tesi sul processo di nazionalizzazione del voto in Europa occidentale e le sue possibili determinanti. La sua tesi ha vinto il Premio 'Enrico Melchionda' conferita alle tesi di dottorato in Scienze Politiche discusse nel triennio 2012-2014 e il Premio 'Celso Ghini' come miglior tesi di dottorato in materia elettorale del biennio 2013-2014. È membro del CISE, di ITANES (Italian National Election Studies) e del Research Network in Political Parties, Party Systems and Elections del CES (Council of European Studies). I suoi interessi di ricerca si concentrano sulle elezioni e i sistemi di partito in prospettiva comparata, con particolare riferimento ai cleavages e ai processi di nazionalizzazione e istituzionalizzazione. Ha pubblicato articoli su European Journal of Political research, Comparative Political Studies, Party Politics, South European Society and Politics, Government and Opposition, Regional and Federal Studies, Journal of Contemporary European Research, oltre che sulle principali riviste scientifiche italiane. La sua prima monografia Cleavages, institutions, and competition. Understanding vote nationalization in Western Europe (1965-2015) è edita da Rowman and Littlefield/ECPR Press (2018), mentre la seconda The deinstitutionalization of Western European party systems è edita da Palgrave Macmillan. Sulle elezioni italiane del 2018, ha curato la Special Issue di Italian Political Science ‘Who’s the winner? An analysis of the 2018 Italian general election’. Clicca qui per accedere sito internet personale. Clicca qui per accedere al profilo su IRIS.