La partita elettorale è aperta. E (probabilmente) si giocherà al Sud

Alla vigilia dei ballottaggi di metà ottobre, in cui si giocheranno due partite fondamentali come quella di Roma e Torino, e dove il centrosinistra parte favorito nei confronti del centrodestra, è possibile trarre un bilancio ragionato dei risultati dei principali partiti politici nel primo turno. Oltre al tasto dolente della affluenza, in calo ormai costantemente da tempo, le analisi dei trend elettorali (Emanuele e Paparo 2021) hanno mostrato come il Partito Democratico sia uscito rafforzato da questa tornata, mentre i veri sconfitti sono stati la Lega nell’alveo delle destre (a favore di Fratelli d’Italia) e il Movimento 5 Stelle nel fronte progressista. Oltre alle vittorie al primo turno nelle città metropolitane di Napoli e Milano, il PD ha potuto contare su ottimo bacino elettorale anche a Torino e Roma, città che venivano da una amministrazione grillina. 

Pur tuttavia, oltre al dato macro, cerchiamo di indagare anche la distribuzione geografica del voto (Tabella 1), specialmente in un paese come l’Italia in cui storicamente le diverse zone geografiche sono state più o meno saldamente presidiate da specifici partiti (è il caso del Movimento 5 Stelle al Sud o la Lega al Nord solo per fare due esempi relativi alle elezioni politiche del 2018). Quelli che commentiamo sono dati che risentono della forte presenza delle liste civiche, sempre più numerose e sempre più di successo nelle elezioni locali, ma che tuttavia forniscono qualche indicazione di massima, specie quando si prendono in esame i comuni capoluogo dove la forza delle liste civiche è minore se comparata con i comuni non capoluogo. Chiariamo, inoltre, che le nostre analisi si concentreranno sui 118 comuni superiori ai 15.000 abitanti andati al voto, escludendo quindi i comuni più piccoli dove, è bene notarlo, vive circa il 40% degli elettori italiani e dove il centrodestra è tradizionalmente più forte.

Tabella 1 – Voti di lista ai principali partiti nei 118 comuni superiori al voto Domenica 3 e Lunedì 4 Ottobre per comune capoluogo/non capoluogo e zona geopolitica. Nota: le liste civiche di sinistra comprendono solo le liste civiche che hanno sostenuto un candidato sindaco del centrosinistra (sostenuto cioè dal PD); le liste civiche di destra includono le liste che hanno sostenuto un candidato sindaco del centrodestra (sostenuto da una coalizione dove compaia Forza Italia)

CIVICHE SX CIVICHE DX CIVICHE FDI FI LEGA M5S PD
Comuni superiori (118) 20,0% 9,0% 21,8% 11,2% 5,0% 7,7% 6,3% 19,0%
Capoluogo 20,7% 8,1% 17,5% 12,5% 5,1% 7,4% 7,3% 21,4%
Non capoluogo 18,6% 11,0% 31,7% 8,1% 4,6% 8,4% 3,9% 13,6%
Nord 17,0% 11,4% 12,1% 10,9% 6,5% 12,3% 4,2% 25,6%
Zona Rossa 20,5% 6,4% 17,7% 11,6% 3,6% 9,4% 3,6% 27,2%
Sud 21,8% 8,1% 28,8% 11,3% 4,3% 4,4% 8,2% 13,0%

Partito Democratico

Sebbene il PD possa essere considerato il partito vincente di queste elezioni amministrative, qualsiasi proiezione del risultato a livello nazionale richiede cautela. Il PD risulta certamente il partito più votato nei comuni superiori e la sua performance non è eguagliata neppure sommando i partiti del centrodestra insieme. Eppure, se visto in prospettiva, i dati ci dicono qualcosa di più ed invitano a moderare l’entusiasmo. Già in precedenza è stato evidenziato come il bilancio dei comuni vinti al primo turno sancisca (per ora) una sostanziale parità tra centrodestra e centrosinistra (Maggini e Trastulli 2021). Guardando alla performance elettorale, rispetto al 2016 la performance del partito rimane sostanzialmente stabile, nonostante l’affluenza in questa tornata sia stata significativamente più bassa rispetto al 2016, dato che tradizionalmente favorisce le liste di sinistra. Il PD si conferma inoltre il partito delle città: nei comuni capoluogo il PD ottiene il 21,4%, contro il 13,6% nei comuni non capoluogo. Ma, dato ancora più rilevante, nonostante le prove di alleanza con il M5S nei territori e nonostante lo svuotamento del partito guidato da Conte, il PD non sfonda al Sud, tradizionale roccaforte del Movimento. Se i dem ottengono il 25,6% di voti al nord e il 27,2% nella Zona Rossa, la percentuale scende al 13% al Sud. A questo va poi aggiunto il dato delle civiche di sinistra: sebbene non si possa traslare questo voto direttamente verso il PD, è immaginabile pensare che almeno una parte di quell’elettorato sia di area. Il dato è significativo, ma indica anche un altro fattore: ad oggi il PD non sembra in grado di mobilitare i vecchi elettori grillini al Sud, che potrebbero essersi riversati sulle liste civiche (o aver optato per l’astensione).

Lega

Conquistare il Nord (e anche ampiamente) è una condizione imprescindibile per la Lega per tenere la leadership del centrodestra in ottica nazionale. Per conquistare il Nord è sì importante tenere saldamente le aree periferiche delle regioni, cosa che la Lega ha fatto in parte, ma anche essere competitivi nei grandi centri, dove invece la Lega (e la destra in generale) appaiono molto indietro rispetto al Partito Democratico, capace di intercettare il voto urbano (e mediamente benestante). Stando alla Tabella 1 difatti si nota come la Lega sia sì il primo partito delle destre al Nord (12.3%), ma Fratelli d’Italia (10.9%) è solo pochi punti percentuali dietro. Soprattutto, la somma dei due partiti non pareggia quella del PD (25.6%). Inoltre, anche tenendo presente le civiche affiliate a candidati di centrodestra e comparandole con le civiche di centrosinistra, la distanza tra i due poli non si riduce, bensì si amplia. Si tratta di dati che vanno maneggiati con le pinze, giova ripeterlo, ma che costituiscono un segnale inequivocabile del travaso di voti che sta avvenendo a destra, soprattutto nei comuni capoluogo (del Nord), dove Lega e FDI sono appaiati (Tabella 2). A questo poi si aggiunge la questione meridionale. La Lega a trazione salviniana già dal 2018 aveva provato a sfondare nelle aree del Sud, presidiate da altri partiti di destra, in primis Forza Italia. Un tentativo che sembrava andare a buon fine con le europee del 2019, ma che nel 2021 sembra si sia bruscamente arrestato. La Lega è ampiamente dietro Fratelli d’Italia non solo nei comuni non capoluogo, dove comunque le civiche la fanno da padrone, ma anche nei comuni capoluogo dove la distanza tra i due partiti è di quasi 9 punti percentuali. La Lega, quindi, ha un problema rilevante nelle grandi città italiane e anche se dovesse “reggere” la forza d’urto di FDI nelle aree periferiche, questo trend metterebbe ancora più in discussione la leadership del centrodestra di Salvini. E in tutto questo, il buono stato di salute di cui sembra godere il PD, mette ancora più in difficoltà i leghisti.

Tabella 2 – Voti di lista ai principali partiti nelle diverse aree geopolitiche del paese per comune capoluogo/non capoluogo

Fratelli d’Italia

Sulla scia dei buoni risultati nei sondaggi a livello nazionale, FdI ottiene nel complesso un buon risultato anche a livello locale. Come rilevato in precedenza da Emanuele e Paparo (2021), il partito guidato da Meloni ottiene l’11,1% dei voti nei comuni superiori, praticamente sei punti percentuali in più rispetto alle amministrative del 2016. Il partito va meglio nei capoluoghi (12,5%), mentre fatica nei centri più piccoli, dove raccoglie solo l’8,1% dei voti. Sebbene si tratti di dati relativi soltanto ai comuni superiori, l’indicazione che se ne trae è quella di un partito con una maggiore capacità di presa sui centri urbani, potenzialmente in grado di mobilitare sia una classe media conservatrice (rimasta orfana per via del crollo di FI) ma anche quote di elettorato nelle grandi periferie urbane. Il dato, tuttavia, più interessante è probabilmente legato alla distribuzione territoriale dei voti ottenuti dal partito. Al contrario di quanto osservato per la Lega, il partito ottiene un consenso omogeneo nelle tre zone geopolitiche del paese (10,9% al Nord, 11,6% nella Zona Rossa, 11,3% al Sud). Laddove Salvini sembra dunque aver fallito nel progetto di nazionalizzazione della Lega (che evidentemente non riesce a sbarazzarsi dell’etichetta di partito del Nord e sotto certi aspetti nemmeno lo vuole), Giorgia Meloni sembra essere in grado di ottenere un successo più trasversale, un dato questo fondamentale se letto nella prospettiva della competizione nazionale. È chiaro (e lo era anche per Salvini), che nessun partito (o coalizione di partiti) può pensare di vincere le elezioni senza il sostegno del Sud. Il dato potrebbe suggerire che i movimenti all’interno del centrodestra stiano in realtà riportando i rapporti di forza tra i partiti ad una dimensione per certi versi più naturale. La crescita della Lega al Sud in occasione delle Europee era probabilmente il frutto della mancanza di un’offerta politica a destra che fosse già allora credibile per un elettorato rimasto orfano della leadership di Silvio Berlusconi. Il vuoto lasciato da Berlusconi potrebbe aver spinto quell’elettorato verso la Lega per mancanza di altre alternative. Quando il partito della Meloni (anche per via di una coerente scelta di opposizione durante l’attuale legislatura) è stato in grado di profilarsi come un partito credibile agli occhi degli elettori di destra del Sud, quest’ultimi si sono riavvicinati a quella che sembrerebbe essere la casa a loro più congeniale. 

Forza Italia

Se Lega e FdI si contendono la leadership del centrodestra, sembra ormai fuori dai giochi Forza Italia. In crollo di consensi dall’uscita di scena di Berlusconi, la caduta elettorale del partito è ormai un fatto noto. Nelle precedenti amministrative del 2016 FI aveva ottenuto nei comuni superiori il 7,8%, un risultato di per sé già deludente. Negli stessi comuni il partito si è fermato ad appena il 5% alle elezioni di domenica e lunedì scorsi. Interessante notare che il partito va relativamente meglio al Nord, ma soprattutto che si tratta del partito che riscuote meno successo anche al Sud (un tempo bacino prezioso di voti) rispetto agli altri partners del centrodestra (il 4,3%, contro il 4,4% della Lega e l’11,3% di FdI). Il dato però più rilevante da sottolineare è legato alle conseguenze della debolezza di FI all’interno della compagine del centrodestra. Il crollo di FI ha di fatto aperto la competizione tra Lega e FdI per la leadership della coalizione, ma ha anche generato incertezza e importanti elementi di fragilità. Negli anni d’oro del berlusconismo, la leadership indiscussa del Cavaliere proiettava l’immagine di una coalizione solida e compatta, pur con le sue diverse sensibilità interne. Con una buona dose di semplificazione, erano gli anni in cui il principio del “marciare divisi per colpire uniti” funzionava. L’assenza di una leadership forte e riconosciuta, e la lotta interna tra i due principali azionisti della coalizione, potrebbe invece ora proiettare l’immagine di una coalizione litigiosa e poco rassicurante, incapace di dialogare con le classi dirigenti e i gruppi imprenditoriali del paese (a maggior ragione se si considera il profilo sovranista e populista che ha contraddistinto Lega e FdI negli ultimi anni). Un saggio di queste dinamiche è emerso chiaramente dal processo di selezione delle candidature nel centrodestra durante le ultime amministrative: veti incrociati e logiche spartitorie che (unitamente ad un problema più trasversale di formazione del personale politico) hanno prodotto candidature per lo più deboli.         

Movimento 5 Stelle

Oltre alla Lega, il Movimento 5 Stelle a trazione Conte è sicuramente uscito ridimensionato dalla contesa elettorale. Già altre analisi avevano messo in luce le difficoltà dei grillini a livello locale e regionale, dove il voto di opinione è meno rilevante rispetto alle politiche (Vittori 2020), ma questa tornata serviva come banco di prova delle due amministrazioni locali che avevano lanciato la rincorsa del M5S nel 2016, Roma e Torino, entrambe conquistate al ballottaggio contro il Partito Democratico. L’onestà al governo per ora a livello locale non ha funzionato, tanto che confermare un secondo mandato per i grillini nei comuni capoluogo è ancora un tabù: è successo a Parma (dove Pizzarotti ha vinto, dopo essere stato allontanato dal MoVimento) e a Livorno ed è capitato nuovamente a Roma e Torino. Non solo il MoVimento 5 Stelle è rimasto fuori dalla contesa tra centrosinistra e centrodestra – e in entrambi casi, la candidatura del M5S è avvenuta contro i desiderata di una parte della leadership grillina, che vedeva di buon occhio una candidatura progressista unica – ma è pressoché scomparso quale terzo polo. Il M5S rimane ancora un partito ancorato al Sud, come lo è la Lega al Nord, ma è sempre meno decisivo, se non come junior partner del Partito Democratico. Soprattutto, pur fermando parzialmente l’emorragia di voti al Sud, tanto al Nord, quanto nella cosiddetta zona rossa, il M5S rischia l’irrilevanza politica. Quanto poi questo trend negativo impatterà sul livello nazionale è forse prematuro dirlo, se non altro perché il M5S alle elezioni politiche è sempre riuscito a performare oltre le aspettative che i risultati alle elezioni locali, regionali ed europee avevano lasciato presagire. Tuttavia, in questo caso, il MoVimento 5 Stelle viene da ormai un triennio al governo, che ha logorato le stesse basi su cui poggiava il fulcro del successo elettorale, prima tra tutte l’alterità rispetto al “sistema”. E segnali di ripresa di una centralità nel quadro politico non se ne vedono all’orizzonte.

Conquistare il sud per vincere le elezioni

Complessivamente, il quadro che emerge da questo primo turno di amministrative appare decisamente più complesso del previsto. Il PD vince ai punti, ottenendo complessivamente la maggioranza relativa dei voti rispetto a tutti gli altri competitors. Tenendo presente anche del peso delle civiche di area (sinistra e destra), la forbice tra i due poli almeno a livello locale è decisamente amplia. Se questo è vero, è altrettanto vero che questo si traduce in un incremento di competitività tutto sommato limitato (o meglio, in un incremento di competitività passivo, prodotto cioè dalle performances negative degli altri, più che da uno slancio attivo del partito). Le prestazioni restano stabili rispetto al passato, denunciando l’incapacità al momento di ampliare i propri consensi elettorali.

Nel campo del centrodestra, si conferma il buono stato di salute di FdI, che riuscendo ad ottenere voti in modo trasversale in tutte le aree del Paese sembra poter contare su un supporto elettorale più stabile rispetto a quello dei leghisti. Per quanto riguarda la Lega, il partito non solo perde in competitività, ma la sua base elettorale torna ad essere più marcatamente localizzata al Nord, dato sintomatico del fallimento del processo di nazionalizzazione del partito avviato in precedenza da Salvini. Infine, è inevitabile registrare il flop del M5S, in particolar modo nelle regioni del Sud, dove il partito ottiene appena l’8,2% dei voti. Più in generale, rispetto al 2016, il Movimento perde complessivamente più di 11 punti percentuali nell’aggregato dei comuni superiori al voto.

Ma è proprio la sconfitta del Movimento al Sud che apre un capitolo chiave in ottica di competizione anche nazionale. Lo svuotamento del M5S, ormai apparentemente inesorabile anche nelle tradizionali roccaforti, rende contendibile un elettorato cospicuo in termini numerici. Questo elettorato è mediamente più sfiduciato e volatile, come molte analisi hanno dimostrato, e concentrato soprattutto al Sud, dove però tutte le altre forze politiche (sia a destra che a sinistra) non sfondano. È vero che gli scarsi risultati dei principali partiti al Sud sono legati anche a dinamiche di competizione locale del tutto peculiari; ed è anche vero che le elezioni locali non sono quelle politiche, che solitamente arridono a partiti con una struttura sociale e ideologica come quella del MoVimento. Tuttavia, va notato che negli stessi comuni superiori dove si è votato domenica 3 e lunedì 4 ottobre, il M5S aveva ottenuto nel 2016 quasi il 18% dei voti.

In termini sistemici, se il terzo polo del sistema politico italiano (vale a dire quello del M5S, partito del Sud) dovesse venire meno, come sembra da questi dati, si aprirà allora una questione chiave: dove si ricollocheranno i vecchi elettori pentastellati? Quale partito riuscirà a mobilitarli? Alle precedenti Europee le analisi dei flussi elettorali avevano rilevato il passaggio sostanziale di elettori dal M5S alla Lega (De Sio 2019). Ma ora che la stessa Lega sembra non avere più mordente al Sud, il mezzogiorno d’Italia torna ad essere un campo di competizione elettorale aperto. Nel centrosinistra l’unico partito in grado di raccogliere l’eredità di quei voti è evidentemente il Partito Democratico, ed un’alleanza strutturale con il Movimento potrebbe servire allo scopo. Ma non è detto. Gli elettori del Movimento della prima ora, quelli del V-Day e dell’opposizione alla casta, potrebbero recepire male questa convergenza e decidere di disertare le urne piuttosto che spostarsi sul PD (come già successo in passato). Nel campo del centrodestra, invece, il miglior candidato a raccogliere una fetta di quell’elettorato potrebbe essere Giorgia Meloni. I dati di queste amministrative ci dicono in fin dei conti che il voto a FdI è più nazionalizzato e trasversale rispetto a quello della Lega, che sembra invece essere tornata ad una sua dimensione territorialmente delimitata. Peserà, certamente, all’interno del centrodestra la lotta per la leadership tra Salvini e Meloni. Una lotta che pare abbia già danneggiato la coalizione in occasione delle ultime elezioni: candidature deboli (frutto di macchinose spartizioni partitiche e carenza di personale politico) e smobilitazione dell’elettorato di centrodestra hanno senz’altro giocato la loro parte nel decretare il magro bottino elettorale del centrodestra. Ciononostante, è bene ribadirlo, le amministrative non sono le politiche, dove il voto di opinione prevale nettamente sulla “qualità” delle candidature espresse. E nella prospettiva delle future elezioni politiche il mezzogiorno, più ancora di altre regioni italiane, sembra destinato, così come in passato, a fare la differenza nel sancire quale tra i due poli intorno ai quali si sta ristrutturando il sistema politico italiano avrà la meglio.

Riferimenti bibliografici

De Sio, L. (2019). Dentro i flussi elettorali: da Salvini e Zingaretti una tenaglia per il Movimento 5 Stelle? CISE-Centro Italiano Studi Elettorali, disponibile a: https://cise.luiss.it/cise/2019/05/28/dentro-i-flussi-elettorali-da-salvini-e-zingaretti-una-tenaglia-per-il-movimento-5-stelle/

Emanuele, V. e Paparo, A. (2021). FDI sorpassa la Lega, M5S crolla, PD ai livelli 2016. L’analisi del voto nei 118 comuni sopra i 15.000 abitanti. CISE-Centro Italiano Studi Elettorali, disponibile a: https://cise.luiss.it/cise/2021/10/06/fdi-sorpassa-la-lega-m5s-crolla-pd-ai-livelli-2016-lanalisi-del-voto-nei-118-comuni-sopra-i-15-000-abitanti/

Maggini, N. e Trastulli, F. (2021). “Ritorno al bipolarismo”: il quadro delle vittorie e delle sfide ai ballottaggi nei comuni sopra i 15mila abitanti. CISE-Centro Italiano Studi Elettorali, disponibile a: https://cise.luiss.it/cise/2021/10/07/ritorno-al-bipolarismo-il-quadro-delle-vittorie-e-delle-sfide-ai-ballottaggi-nei-comuni-sopra-i-15mila-abitanti/

Vittori, D. (2020). Il Valore di Uno. Il MoVimento 5 Stelle e l’esperimento della democrazia diretta. Roma: LUISS University Press.

Davide Angelucci is a lecturer at the Department of Political Science of Luiss University, Rome. He has been a visiting student at Royal Holloway University of London and at the Instituto de Ciências Sociais da Universidade de Lisboa. He is currently a member of the Italian Centre for Electoral Studies (CISE) and part of the editorial board of the journal Italian Political Science (IPS). His research interests include elections and electoral behaviour, party politics, class politics, and public opinion. His work has been published in journals like European Union Politics, West European Politics, South European Society and Politics, Swiss Political Science Review and others.
Davide Vittori è post-doc fellow presso la LUISS-Guido Carli. Ha pubblicato di recente per LUISS University Press "Il Valore di Uno. Il Movimento 5 Stelle e l’esperimento della democrazia diretta". È stato visting PhD presso lo European University Institute e visiting student presso la University of Nijmegen e la Johns Hopkins University. I suoi interessi di ricerca spaziano dall'analisi delle organizzazioni partitiche al comportamento elettorale e i sistemi partitici europei. Ha pubblicato contributi per la Rivista Italiana di Scienza Politica, Comparative European Politics, Swiss Political Science Review e altre riviste. È co-curatore di una special issue su Digital Activism e Digital Democracy per l'International Journal of Communication. Ha collaborato alla stesura di alcuni degli ultimi rapporti CISE.