Autore: Lorenzo De Sio

  • Simulazioni elettorali: cosa accadrebbe alle politiche con i risultati delle europee?

    Simulazioni elettorali: cosa accadrebbe alle politiche con i risultati delle europee?

    Fig. 1 – Simulazione esito elezioni politiche con i voti delle europee

    All’indomani del grande successo ottenuto nelle elezioni europee, abbiamo già sottolineato che uno degli aspetti più rilevanti della vittoria di Salvini è strategico: stando ai risultati del 26 maggio, una maggioranza alternativa a quella giallo-verde sarebbe possibile, se si andasse ad elezioni anticipate. Ma questa possibilità esiste davvero? E a quali condizioni? Sarebbe necessario includere anche Berlusconi, o per Salvini ci sarebbe la possibilità di una maggioranza più agile e ideologicamente omogenea, composta soltanto della Lega e da Fratelli D’Italia? Quale potrebbe essere una possibile strategia alternativa per il centrosinistra? Infine, quali le scelte ottimali per gli elettori dei del M5S?

    Abbiamo provato a rispondere a queste domande costruendo una simulazione di quello che potrebbe accadere se si andasse a votare con il Rosatellum. Si tratta di una simulazione per adesso molto rozza, perché per simulare i risultati nei collegi uninominali abbiamo ipotizzato che abbiano una distribuzione simile ai risultati per provincia nelle elezioni europee: in sostanza, abbiamo fatto varie simulazioni su quale partito/schieramento si classificherebbe primo in ogni provincia, per dedurne una possibile distribuzione nazionale dei collegi uninominali. E, ovviamente, abbiamo sommato questi risultati a quelli che verrebbero ottenuti nella parte proporzionale.

    Tuttavia, l’aspetto più interessante è che la simulazione è stata fatta per diversi tipi di coalizioni, sia per una coalizione di destra guidata da Salvini, che per una coalizione di centrosinistra guidata da Zingaretti. Oltre che ovviamente per il Movimento 5 Stelle.

    I risultati sono decisamente interessanti (Figura 1). La notizia più importante è che effettivamente la posizione strategicamente positiva per Salvini è confermata. Se ci si limitasse a fotografare i voti delle europee, oggi una coalizione formata semplicemente da Lega e Fratelli d’Italia (Tabella 1, colonna 1) effettivamente riuscirebbe ad ottenere una maggioranza dei seggi parlamentari (345). Se inoltre la coalizione aggregasse anche i voti di Forza Italia (impresa non semplice, perché la presenza diretta di Berlusconi potrebbe indebolire la portata innovatrice di Salvini; ma forse possibile, ad esempio, con un nuovo movimento di “Moderati per Salvini” guidato da Giovanni Toti) il risultato (colonna 2) sarebbe di una maggioranza veramente molto netta (413).

    In questi primi scenari abbiamo considerato che il centro-sinistra potrebbe competere con una coalizione relativamente ristretta, ovvero con una semplice alleanza con i Verdi Europei e probabilmente con + Europa. Alleanza che, con i risultati attuali non sarebbe sufficiente a essere competitiva. Ci siamo quindi interrogati sulle possibili condizioni che potrebbero rendere il centro-sinistra di Zingaretti competitivo nei collegi uninominali. Abbiamo sperimentato anzitutto la possibilità di un accordo con la sinistra più radicale. In secondo luogo, un’ipotesi ancora più ardita: ovvero che il segretario del PD riesca a dispiegare una strategia politica in grado di attrarre i voti di elettori delusi del Movimento 5 stelle.

    Quest’ultima sperimentazione si basa su un assunto di fondo: che, considerato che il M5S ha visto consistenti flussi di voto in uscita verso la Lega in queste elezioni europee, la parte residua dei suoi consensi sia composta da quella parte del Movimento che invece ha tradizionalmente posizioni più di sinistra e che quindi possa essere tentata dal dare un voto al centrosinistra in futuro, soprattutto in una logica di voto utile contrario al successo di una coalizione di Salvini e Meloni.

    Come si vede dai dati (colonna 3) la semplice inclusione della sinistra non sarebbe assolutamente sufficiente a rendere il centro-sinistra competitivo. Lo scenario cambia invece se il centrosinistra diventasse capace di attrarre di una parte di elettori delusi dal M5S. Ottenere il 25% di quell’elettorato o il 50% non sarebbe sufficiente. Per riuscire a rendere possibile una maggioranza post-elettorale tra centro-sinistra e M5S, sarebbe necessario che Zingaretti riuscisse a raggiungere una capacità di attrazione del 75% sui voti del Movimento 5 stelle, ma anche a creare una qualche forma di coalizione con la sinistra radicale (colonna 8). Ma anche in questo caso, l’inclusione  nella coalizione di centro-destra anche di Forza Italia permetterebbe a Salvini di cautelarsi sulla possibilità di una maggioranza anche in caso della massima performance possibile per il centro-sinistra. Almeno secondo i dati attuali. Staremo a vedere.

  • Dentro i flussi elettorali: da Salvini e Zingaretti una tenaglia per il Movimento 5 Stelle?

    Dentro i flussi elettorali: da Salvini e Zingaretti una tenaglia per il Movimento 5 Stelle?

    Ci sono dei numeri particolarmente importanti per capire l’evoluzione della politica italiana. I primi, come abbiamo già visto, sono 1,5, 2 e 3, ovvero per quanto si moltiplicano i voti della Lega rispettivamente al Nord, al Centro e al Sud. Ma ce ne sono altri forse anche più importanti, che vengono da un’interpretazione più approfondita dei flussi elettorali, ovvero delle stime dei movimenti di voto tra diversi partiti. Abbiamo già presentato, come altri istituti, diverse analisi di flusso (tra politiche 2018 e europee 2019); tuttavia – soprattutto quando ci sono tanti numeri – per trarne delle conclusioni utili bisogna individuare il filo in grado di sintetizzarli.

    Nel caso dei flussi, un criterio abbastanza semplice e relativamente parsimonioso è quello di: 1) analizzare il tasso di fedeltà dell’elettorato di ciascun partito, che è un indicatore importante del suo stato di salute, e quindi di attrattività e competitività; 2) per i vincitori, analizzare le provenienze dei voti che hanno guadagnato; 3) per gli sconfitti, analizzare dove si sono dispersi i loro voti. Adottare questi semplici criteri permette di sintetizzare le informazioni anche di varie città in modo efficace.

    Il tasso di fedeltà: quali partiti sono in salute?

    Nelle analisi di flusso, il tasso di fedeltà a un partito (percentuale dei suoi elettori che conferma il voto) è un indicatore importante di salute e attrattività di un partito. Storicamente, nelle elezioni politiche in Italia si tratta di un indicatore che distingue in modo netto i vincitori dagli sconfitti: i primi tendono ad avere valori di fedeltà intorno al 75%, mentre i secondi raramente superano il 60% (De Sio e Schadee 2018). Ecco dunque che diventa questo un primo aspetto da valutare: quant’è il tasso di fedeltà di ciascun partito nelle varie città che abbiamo analizzato? Con un’avvertenza: nelle elezioni europee, che vedono sempre una partecipazione più bassa rispetto alle politiche, difficilmente ci si possono aspettare valori così alti. Ma vediamo i dati: in questo caso relativi, per brevità, a sole quattro città, ma con tendenze simili a quelle delle altre.

    La Tabella 1 ci dice qualcosa di atteso e qualcosa di sorprendente. In primis, come atteso, la Lega vanta tassi di fedeltà molto alti (68% a Genova, 70 a Torino, 78 a Padova – pur con il solo 46 di Napoli), addirittura vicini a quelli di un vincitore in un’elezione politica: il che testimonia che Salvini è riuscito a mobilitare i suoi elettori con grande forza. Parallelamente vediamo la debolezza del M5S, che ha tassi appena vicini al 40%, e un fenomeno analogo per FI, con tassi ancora più bassi (intorno al 30%). Questi partiti appaiono davvero in crisi, così come LeU, il cui elettorato si è riversato su La Sinistra in misura davvero minoritaria. Ci sono invece due dati inattesi: anzitutto FDI, che – a fronte di un quasi raddoppio elettorale – trattiene in realtà solo circa un terzo dei suoi elettori, mostrando quindi un ricambio molto forte. Ma soprattutto c’è il PD, che presenta tassi di fedeltà altissimi (tra il 75 e l’80%) che sarebbero tipici di un vincitore in un’elezione politica. Questo testimonia da un lato la capacità di mobilitazione del partito di Zingaretti, ma anche – interessante – la capacità di trattenere elettori nonostante il profilo programmatico di Zingaretti sia un po’ diverso rispetto a quello di Renzi e Gentiloni. Di conseguenza questo indicatore mostrerebbe davvero una buona performance per il Pd.

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    Da dove vengono i voti dei vincitori?

    Lega, FdI e Pd: sono questi i partiti che hanno incrementato (in percentuale) i propri voti rispetto alle politiche del 2018; rispettivamente di 2 volte, di 1,5 (aumento del 50%) e di 1,2 volte (aumento del 20%). Da dove vengono i nuovi voti? Lo mostra la Tabella 2, in cui sono evidenziate le voci prevalenti.

    I dati sono molto chiari. L’espansione della Lega viene soprattutto da M5s e da Forza Italia. La mia interpretazione è che questo di fatto corrisponde al consolidamento dell’egemonia di Salvini all’interno del centrodestra. Un percorso partito nel 2014, e che ha visto Salvini puntare nel lungo termine a prendersi la leadership del centrodestra italiano, sapendo che Berlusconi non si sarebbe mai fatto spontaneamente da parte. La sua presenza al governo (solo rappresentante del centrodestra a dover trattare con Di Maio, con Berlusconi rimasto all’opposizione e quindi ininfluente) gli ha permesso di consolidarsi come principale riferimento del centrodestra, e i dati lo confermano: tra il 10 e il 30% dei voti della Lega del 2019 provengono da Forza Italia. A questi vanno sommati quelli in uscita dal M5s (circa un quarto degli attuali voti leghisti). Questo potrebbe sorprendere, data la contrapposizione dei due partiti, ma deve sorprendere solo in parte. Il successo del M5s si è infatti costruito, negli anni scorsi, in un periodo di grave crisi dei partiti tradizionali, e pescando in modo ideologicamente trasversale da entrambi gli schieramenti. Con l’emergere di un nuovo attore in grande forma nel centro-destra (e con il M5S in difficoltà per le sfide del governo) non c’è da sorprendersi che quella parte di elettori centro-destra che aveva sostenuto finora il M5s abbia a questo punto scelto di spostarsi verso Matteo Salvini, che quindi di fatto rappresenta per adesso un chiaro punto di aggregazione di quest’area.

    E il tema della gara per diventare il punto di aggregazione di un’area politica riguarda per certi versi anche il PD, che infatti ottiene voti in misura significativa sia tra chi aveva votato liberi e uguali che tra gli altri alleati del PD nelle scorse elezioni. Su scala molto più piccola e senza dubbio ancora insufficiente, ma tuttavia il PD di Zingaretti per certi versi sembra mostrare una dinamica di aggregazione in parte analoga. Con una importante differenza: non cattura ancora niente dal Movimento 5 stelle. Questo è ancora il principale limite del partito di Zingaretti: ma vedremo tra poco quali condizioni potrebbero cambiare la situazione.

    Infine la vitalità di FDI è mostrata dalla sua capacità di attrarre voti da vari partiti. Fatti 100 i suoi elettori di oggi, circa 20 vengono da Forza Italia, circa 20 dalla Lega, e a sorpresa un po’ vengono dal Pd. Sono pochi (FDI è un partito relativamente piccolo, quindi parliamo di numeri bassi), ma ci sono: e indicano il profilo di alcuni elettori che avevano votato il Pd nel 2018 e che non hanno invece apprezzato le posizioni di Zingaretti.

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    E dove sono andati quelli degli sconfitti?

    Veniamo infine ai principali sconfitti, ovvero a Forza Italia e al Movimento 5 stelle. Le destinazioni 2019 dei loro voti 2018 sono mostrate nella Tabella 3. Per quanto riguarda Forza Italia, è chiaramente visibile il continuo declino della leadership di Berlusconi, già visto in precedenza con i bassi tassi di fedeltà, e qui visibile nei flussi davvero consistenti non solo verso la Lega (circa un quarto dei voti del 2018 fugge verso questo partito), ma anche verso Fratelli d’Italia (circa il 15%), partito destinatario evidentemente di quei voti berlusconiani in cerca di una destra più tradizionale. E infine con una consistente smobilitazione (a Napoli addirittura del 44%). Ma il dato ovviamente più importante è quello del Movimento 5 stelle. Di Maio ha attribuito il dimezzamento del partito alla mancata partecipazione. Questa è senza dubbio la voce principale (in generale intorno al 40%!), però non è la sola: perché, come si vede chiaramente, una quota quasi intorno al 20% di elettori pentastellati si è spostata verso la Lega. La mia ipotesi (da verificare con ulteriori analisi su dati individuali) è che si tratti di quella parte di elettori M5s (circa la metà, in base ad analisi precedenti) che ha sempre avuto posizioni di centrodestra, e che potrebbe aver trovato una destinazione forse abbastanza stabile nel partito di Matteo Salvini.

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    E’ interessante notare come il M5s non veda flussi significativi verso nessun altro partito, ivi compreso il Pd. Questo è un dato che appare confermato in varie città, e ha rappresentato senza dubbio finora un limite per l’espansione del Pd (che quindi non attrae elettori M5s); così come – come sostenuto da Di Maio – i voti persi verso l’astensione potrebbero tornare in caso di elezioni politiche. Vero. Tuttavia occorre, per concludere, introdurre un’ultima considerazione: il contesto competitivo delle prossime elezioni.

    Salvini e Zingaretti una tenaglia per il Movimento 5 stelle?

    Già, perché una cosa sono le europee, e un’altra sono le politiche. Che, con l’attuale sistema elettorale (che prevede oltre un terzo di seggi assegnati in collegi uninominali), già oggi – lo hanno sottolineato molti commentatori – potrebbe permettere a Matteo Salvini di essere competitivo per raggiungere la famosa soglia (informale) del 40/70: 40% di voti popolari e 70% di vittorie nei collegi, in grado di dare la maggioranza assoluta nelle Camere. Oggi Salvini potrebbe arrivarci anche solo con la Meloni (con un’alleanza quindi compatta, omogenea e fatta tutta di partiti nuovi) oppure anche accordandosi con una Forza Italia (ancorché de-berlusconizzata e prevedibilmente in posizione defilata).

    Di fronte a questo scenario, è chiaro che gli elettori degli altri partiti non si chiederanno solo qual è il partito o schieramento più vicino alle loro posizioni, ma anche e soprattutto chi sarà in grado di impedire a Salvini di conquistare , con la sua coalizione di destra, la maggioranza del Paese. In altre parole potrebbe riemergere il problema del voto utile.

    Ecco quindi che è importante capire chi emergerà come attore più attrezzato come principale avversario di Salvini. Fino a prima di domenica questo ruolo non poteva che essere dal M5s, forte del suo 33% alle politiche (e quindi – tra l’altro nel contesto proporzionale delle elezioni europee), ma in caso di elezioni politiche? Il M5s è oggi al 17%, ed è dietro al Pd di Zingaretti di quasi 6 punti. Pd che potrebbe tentare di ricostruire una qualche forma di alleanza in grado di puntare a superare il 30% (ad esempio accordi di desistenza per candidati comuni con gli altri attori del variegato arcipelago del centrosinistra, e forse magari – da quella base – corteggiare in modo discreto gli elettori delusi dal Movimento 5 stelle. E per questi ultimi (quelli non passati a Salvini, quindi verosimilmente più di centrosinistra) potrebbe quindi tornare il terribile dilemma del voto utile: restare fedeli al M5s (verosimilmente perdente in quasi tutti i collegi), o cedere alla tentazione di votare candidati (o addirittura partiti) di un’alleanza di centrosinistra potenzialmente più competitiva (e soprattutto non più fondata sull’odiato Renzi ;))?

    Si tratta ovviamente di uno scenario ipotetico che si basa su molte variabili. Tuttavia la possibilità che si realizzi potrebbe configurare una micidiale tenaglia di Salvini e Zingaretti per il Movimento 5 stelle: il che ci fa capire quanto sono delicate oggi le scelte strategiche del partito di Di Maio. Stiamo a vedere.

     

     

  • La nazionalizzazione della Lega di Salvini

    La nazionalizzazione della Lega di Salvini

    Dietro al successo di Salvini c’è una sorprendente affermazione al Sud. Per vederlo è già sufficiente scorrere la lista (impressionante) dei 20 comuni in cui Salvini è cresciuto di più (Tabella 1). Sono tutti al Sud. Ovviamente il dato in teoria non sorprenderebbe più di tanto, perché partendo da livelli molto bassi (ma non sempre! vedi Cassano Irpino…) è facile moltiplicare i propri voti. Tuttavia, la performance è comunque notevole, e indicativa della grande crescita della Lega al Sud.

    Tab. 1 – I 20 comuni in cui Salvini è cresciuto di piùTabella 1

    Ma soprattutto, come vediamo adesso, è in realtà il segno chiarissimo di una uniformazione e nazionalizzazione del consenso alla Lega. Aspetto che si può vedere in modo molto chiaro nel grafico che segue (Figura 1): le crescite sono state molto maggiori al Sud, portando quindi a una forte diminuzione delle differenze geografiche nel consenso a Salvini.

    Fig. 1 – Percentuale media Lega nei comuni delle varie regioni

    Figura 1

    Vediamo di sintetizzare questo dato. Se per ogni regione calcoliamo la percentuale media della Lega nei comuni di quella regione, e poi confrontiamo tra loro le varie regioni (tabella seguente), scopriamo che:

    • 1) la percentuale media, come è ovvio, è raddoppiata (da 18 a 36);
    • 2) tuttavia la dispersione (espressa dal coefficiente di variazione: il rapporto tra la media e la deviazione standard) si è dimezzata (Tabella 2): in altre parole, la Lega del 2019 è un partito geograficamente molto più uniforme (il doppio!) rispetto alle politiche del 2018.

    Tab. 2 – Percentuale media ottenuta dalla Lega nei comuni delle diverse regioni nelle elezioni politiche 2018 e nelle elezioni europee 2019Tabella 2Di conseguenza la Lega ha vissuto un sistematico riequilibrio geografico. Riequilibrio che è visibile in maniera plastica, in conclusione, nel diagramma a dispersione che segue (Figura 2): il numero di volte di cui la Lega ha moltiplicato le proprie percentuali medie di voto (nei singoli comuni) rispetto alle politiche del 2018 è molto più alto nelle regioni in cui era più debole (ovviamente quelle del Sud), secondo una relazione praticamente lineare.

    Fig. 2 – Quanto si moltiplica la LegaFigura 2 bisQui appare quindi (almeno per quanto riguarda il voto a queste europee) il successo della strategia di Salvini (inizialmente accolta da scetticismo nella stessa Lega) di trasformarla da partito del Nord a partito di destra a vocazione nazionale.

    Ovviamente qui parliamo solo di consensi elettorali. La sfida che si apre per questo partito sarà quella di tentare di proporre una possibile sintesi politica di domande e esigenze espresse da regioni del Paese molto diverse tra loro. Ma questa è un’altra storia.

  • Salvini, perché? Il possibile passo falso del “Capitano”, e un illustre precedente

    Salvini, perché? Il possibile passo falso del “Capitano”, e un illustre precedente

    I sondaggi pubblicati venerdì scorso (nell’ultimo giorno prima del black-out pre-elettorale) e in particolare quello CISE pubblicato già la sera di giovedì certificano una battuta d’arresto della Lega capitanata da Salvini: IPSOS la dà al 30,9% (rispetto ad addirittura il 36% di poche settimane fa), noi la vediamo intorno al 30, se non addirittura (nel nostro simulatore di scheda elettorale) un paio di punti sotto questa quota. Ora, è possibile suggerire una spiegazione strutturale per questa battuta d’arresto? A mio parere sì: e per farlo propongo anzitutto una lettura di quella che è stata la formidabile espansione elettorale della Lega sotto Salvini: dal 4,1% del 2013 al 17,4% del 2018, e poi su (anche se solo nei sondaggi) fino a oltre il 30%.

    Il successo del primo Salvini veniva (come altri in Europa) dal non essere di estrema destra, ma post-ideologico

    Alcuni commentatori definiscono la Lega di Salvini un partito di estrema destra. Io sarei decisamente più prudente su questo giudizio, almeno per il successo della Lega di Salvini nelle politiche del 2018, perché in realtà il successo del primo Salvini appare chiaramente legato a una formula che ha avuto molto successo in Europa: non tanto quella di Orbàn e Kaczyński, ma quella di Marine Le Pen e del populista olandese Geert Wilders. Questi due leader hanno avuto l’abilità di sfruttare una caratteristica crescente delle opinioni pubbliche europee: quella di combinare posizioni anti-europee e chiaramente di destra sull’immigrazione, con altre tuttavia molto più sfumate e spesso progressiste sui diritti civili (religione, matrimoni gay), e infine con posizioni economiche non più liberiste, ma votate alla protezione sociale e quindi più vicine a posizioni tradizionalmente di sinistra. Marine Le Pen in particolare, diventata leader, capì che per togliere il suo partito dal frigorifero di estrema destra in cui si trovava, occorreva rompere con le idee del padre su alcuni temi chiave (antisemitismo, atteggiamento verso le coppie gay e lesbiche), silenziarne altri per sempre (il regime di Vichy, la guerra d’Algeria), e infine spostarsi in modo convinto da posizioni economiche liberiste ad altre decisamente più stataliste. Il risultato di questa strategia di “de-demonizzazione” è stato un partito che (analogamente al PVV di Wilders) inevitabilmente è stato definito “populista” perché era ormai molto complicato definirlo di estrema destra come in passato, e che non ha caso ha aumentato di molto i suoi voti, raggiungendo percentuali ragguardevoli anche nel mondo LGBT e tra i ceti operai.

    Ebbene, non è difficile ravvisare nel primo Salvini un modello simile. Con posizioni chiaramente antieuropee e volte alla limitazione dell’immigrazione (queste ultime peraltro, nel 2018, condivise da circa l’80% degli italiani, come in altri paesi europei), ma con altre posizioni economiche orientate alla protezione sociale: ad esempio sulla riforma delle pensioni, che non a caso diventerà un provvedimento bandiera del governo Conte. Il tutto che appare attingere alla diffusa inquietudine di una classe media in crescenti difficoltà economiche, purtroppo per certi versi aggravate dalle politiche di austerità introdotte all’epoca dal governo Monti e successivamente confermate dai governi successivi. Provvedimenti che, a dispetto del framing “tecnico”, hanno implicato inevitabili e dolorose scelte politiche su come distribuire i loro costi sociali. Questioni difficili da etichettare di “destra”, e che tuttavia vari elementi ci dicono aver contato nella penetrazione della Lega in aree come la Toscana e l’Emilia-Romagna. Il primo Salvini aveva dunque chiare caratteristiche post-ideologiche; e aveva mantenuto un silenzio strategico su temi come la famiglia tradizionale e i diritti civili, guardandosi bene dal dare visibilità agli esponenti leghisti più conservatori, e anche dal mostrare qualunque simpatia verso i nostalgici del fascismo. Perché erano scelte che avrebbero potuto soltanto costare voti, visto che i veri terreni per il successo della Lega erano altri: l’immigrazione; la sicurezza; la critica alla riforma Fornero e quella all’Europa (ma anch’essa – nella campagna del 2018 – in parte ammorbidita rispetto ai toni apocalittici degli anni precedenti, e quindi in parte in sintonia con molti aspetti di sfiducia condivisi in modo maggioritario dagli italiani).

    L’ultimo Salvini si sposta a destra: ma perchè?

    A partire dal modello del primo Salvini, destano quindi vera perplessità alcune uscite recenti del leader leghista. Tra queste la partecipazione al “Congresso delle Famiglie” di Verona, la discussa pubblicazione di una foto con una mitraglietta, l’ostentata mancata partecipazione alle celebrazioni per il 25 aprile, infine il caso del libro-intervista pubblicato da una casa editrice vicina a Casa Pound. Scelte che sembrano aver mostrato una volontà strategica di dare al partito un profilo più nettamente di destra o estrema destra, e che in questo senso vanno di fatto in controtendenza con il profilo post-ideologico che finora aveva per molti versi caratterizzato il successo del leader della Lega.

    Staccarsi da quel profilo post-ideologico significa però allontanarsi dagli atteggiamenti prevalenti nell’opinione pubblica italiana, che è sì caratterizzata da atteggiamenti conservatori sull’immigrazione, ma tuttavia prevalentemente progressisti sull’economia e su vari aspetti legati ai diritti civili. Un mainstream italiano che quindi non può che essere tendenzialmente moderato, e ostile a uscite più radicali ed estremiste. Avanzo quindi l’ipotesi, che ovviamente richiederà maggiori analisi e più dati, che quindi il calo di consensi della Lega possa essere messo in relazione con quello che di fatto potrebbe essere un errore, un passo falso nella definizione della strategia tematica della Lega, con l’effetto di indebolire la sua capacità di penetrazione trasversale, confinandola al solo elettorato che si colloca più chiaramente a destra. Una scelta che per certi versi mostra un problema di crescita e maturazione per la Lega di Salvini. Una cosa è prendere un partito del 4% e portarlo al 17%. Altra cosa è ambire a fargli materializzare l’oltre 30% visto nei sondaggi, puntando a farne uno degli attori baricentrici della politica italiana: difficile a mio parere farlo spostandolo su posizioni più estremiste.

    Tuttavia, non si tratta certo del primo caso di potenziale errore strategico. Un illustre precedente è quello di Matteo Renzi, che dopo le trionfali europee del 2014, vinte grazie a una strategia “ecumenica” che mirava anzitutto a non dividere l’elettorato di centrosinistra puntando su obiettivi bipartisan (spazio alle donne, più peso in Europa, redistribuzione del reddito), cadde poi in un errore simile, infilandosi dall’autunno 2014 in una strategia più ideologica, con scelte divisive che gli alienarono il sostegno di una parte importante dell’elettorato di centrosinistra (nonché di soggetti chiave come sindacati, insegnanti, e ceti più disagiati). I risultati si sono visti prima nel referendum costituzionale e poi nel disastro elettorale del 4 marzo 2018. Non è possibile per adesso dire come evolverà il consenso alla Lega (l’arretramento di questi giorni potrebbe anche essere temporaneo), ma l’impressione è che la strategia vista nelle ultime settimane non sia il miglior viatico perché Salvini possa conquistare una posizione baricentrica nella politica italiana. E forse il ritorno di questi ultimi giorni a un tema come la sicurezza (in linea con l’identità della Lega, e classicamente di destra, ma dotato di una capacità di penetrazione trasversale, e su cui la Lega è tradizionalmente percepita come molto credibile) potrebbe rappresentare un tentativo di recuperare il “passo falso” verso l’estrema destra delle ultime settimane. Riuscirà? Lo sapremo nelle urne, ormai tra meno di due settimane.

  • Sondaggio CISE: Lega primo partito, ma appena intorno al 30% – e il “sorpasso” PD si allontana

    Sondaggio CISE: Lega primo partito, ma appena intorno al 30% – e il “sorpasso” PD si allontana

    Sperimentazione innovativa: due domande diverse per le intenzioni di voto

    A pochi giorni dal “black-out” pre-elettorale, si è da poco conclusa la rilevazione campionaria CISE Osservatorio Politico (CAWI, N=1000, estratti da panel online con quote per sesso, età, titolo di studio, e ponderazione aggiuntiva per voto 2018). Questo sondaggio mostra anche dati interessanti sulle opinioni degli italiani sull’Europa, che restituiscono un’immagine di atteggiamento pro-europeista, ma critico e per certi versi sfiduciato. Ma veniamo anzitutto alle intenzioni di voto.

    In questa occasione abbiamo sperimentato due domande di tipo diverso. La prima – relativa alle intenzioni di voto per eventuali elezioni politiche – con un formato tradizionale. La seconda – relativa alle europee – con un’innovativa “simulazione di scheda elettorale”, ovvero presentando (in una sola schermata: si tratta di un’indagine Web) tutti i simboli di partito. Già in partenza ci aspettavamo delle differenze: a prescindere dal fatto che le due domande fossero relative a una diversa elezione, ci aspettavamo che la domanda “simulazione”, con tutti i simboli, anche di partiti minori, avrebbe portato più voti ai partiti piccoli.

    Lega primo partito, ma in un caso sotto il 30%

    Così è stato. La tabella 1 ci mostra le intenzioni di voto desunte dalle due domande. In entrambi i casi primo partito è la Lega. Tuttavia, con stime leggermente inferiori ad altri sondaggi (verosimilmente anche dovuto alle specificità del nostro campione) e, soprattutto, scendendo nel caso della simulazione di scheda per le europee sotto il 30%, pur restando saldamente il primo partito. E’ difficile dire se questa relativa debolezza della Lega sia dovuta a peculiarità del nostro campione o della nostra sperimentazione di scheda elettorale, oppure all’avere intercettato un temporaneo momento di debolezza dovuto al caso Siri, o infine se si tratta invece di un segnale di allarme, magari legato alla scelta di Salvini di caratterizzare la Lega maggiormente a destra (Congresso delle famiglie di Verona, polemiche sulla casa editrice del libro-intervista a Salvini) rispetto alla capacità osservata in precedenza di cogliere consensi in modo trasversale basandosi su un profilo post-ideologico.

    Tab. 1 – Intenzioni di voto alle politiche ed alle europee del 2019: sondaggio CISE Osservatorio Politico maggio 2019 (CAWI – N=1000)[1]

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    Per il PD il “sorpasso” si allontana, ma una bassa affluenza potrebbe aiutarlo

    Riguardo alla seconda piazza, in entrambi i casi è invece appannaggio del M5S. E qui il commento più rilevante riguarda il possibile, lungamente vagheggiato, “sorpasso” del PD sul M5S. In primis, osserviamo che nei nostri dati il distacco tra i due è ancora compreso tra 1,5 e 3 punti percentuali. Dati i margini di errore, un sorpasso PD potrebbe in realtà anche essere in atto in questo momento. (losaltosresort.com) Tuttavia, alcuni aspetti ci suggeriscono che potrebbe essere non così probabile, neanche nelle prossime settimane:

    1. Rispetto alle attuali intenzioni di voto, c’è ancora una quota rilevante di indecisi, che potrebbero poi prendere una decisione e votare. In questo caso il gruppo che potrebbe più verosimilmente votare è quello di chi – oggi indeciso – tuttavia ha votato nelle politiche dell’anno scorso.
      Tra questi, il gruppo nettamente maggioritario (oltre un terzo dei “delusi”) è composto da ex elettori del M5S, che tra l’altro il PD si è posto esplicitamente come gruppo “obiettivo”.
    2. Il punto è che tuttavia, analizzando la propensione degli ex M5S a votare vari partiti in futuro (PTV, su una scala da 0 a 10), si nota che hanno ancora la massima propensione a rivotare il M5S (PTV media di 5.8), seguita dall’astensione (PTV media di 4.1), dalla Lega (PTV media di 3.9), con +Europa e PD decisamente più indietro (PTV media di 2,6 e 2,4, quest’ultima alla pari con FDI). In poche parole, questi elettori delusi non stanno quasi considerando il PD: lo vedono ben dietro altre possibilità, decisamente più probabili. Di conseguenza, non sembra che da questo bacino (che vale oltre il 5% dei voti validi) possa venire un chiaro sorpasso del PD sul M5S.

    Tuttavia, una possibile speranza per il PD può venire da una bassa affluenza. Abbiamo infatti effettuato alcune simulazioni, in cui abbiamo progressivamente escluso dal campione (anche se dichiaravano un voto valido) gli intervistati che indicavano una PTV all’astensione (propensione ad astenersi in futuro) sopra una certa soglia. Ebbene, abbassando progressivamente la soglia per essere esclusi (ovvero, ipotizzando che sempre più elettori si astengano il 26 maggio), abbiamo individuato un valore oltre il quale il PD superava il M5S. In altre parole, è possibile che una partecipazione particolarmente bassa – che evidentemente corrisponde a una smobilitazione degli elettori più “periferici” che sostengono il M5S possa permettere al PD l’agognato “sorpasso”. Quale dei vari scenari si verificherà è ovviamente tutto da vedere.


    [1] NOTA METODOLOGICA: Sondaggio effettuato da Demetra nel periodo 24 aprile al 6 maggio. Il campione comprende 1.000 interviste con metodo CAWI ed è rappresentativo della popolazione elettorale italiana per genere, età, titolo di studio e zona geografica di residenza. Le stime qui riportate sono inoltre state ponderate in funzione del ricordo del voto alle scorse elezioni politiche. L’intervallo di confidenza al 95% per un campione di pari numerosità in riferimento alla popolazione elettorale italiana è ±3,1%.

  • Italiani ancora europeisti, ma ormai critici e sfiduciati: il super-sondaggio CISE con 19 domande sull’Europa

    Italiani ancora europeisti, ma ormai critici e sfiduciati: il super-sondaggio CISE con 19 domande sull’Europa

    Il super-sondaggio CISE con 19 domande sull’Europa

    E’ di poche ore fa la conclusione dell’ultimo sondaggio Osservatorio Politico CISE (CAWI, N=1000, estratti da panel online con quote per sesso, età, titolo di studio, e ponderazione aggiuntiva per voto 2018). Abbiamo già parlato delle intenzioni di voto: qui invece sfruttiamo la ricchezza del nostro sondaggio, in cui abbiamo inserito ben 19 domande relative a opinioni su vari aspetti della politica europea. Il quadro che emerge è per certi versi lontano dal calor bianco dei talk-show politici quotidiani, ma restituisce un quadro più realistico e verosimile: gli italiani sono ancora europeisti, ma nel complesso sono ormai critici su politiche specifiche, e soprattutto sembrano aver ormai perso una fiducia acritica nel fatto che le decisioni a livello europeo possano essere positive per l’Italia. Ma vediamo i dati in modo molto sintetico (tabella completa in fondo all’articolo).

    Un orientamento favorevole all’Europa,

    L’orientamento generale è chiaramente favorevole all’Europa: 70% per rimanere nella UE, 68% per rimanere nell’Euro. Non solo: il 76% è per mantenere la libera circolazione nella UE, segno di apprezzamento rispetto a quello che ha portato l’Europa. (Alprazolam bars) Inoltre questo già ci anticipa che i dati che vedremo tra poco non sono segno di una chiusura nei propri recinti nazionali, ma viceversa esprimono un giudizio nel merito delle politiche. Immaginare uno scontro frontale tra “europeisti” e “sovranisti” è una posizione ideologica che non sembra aver riscontro nell’opinione pubblica.

    ma critico sulle politiche specifiche,

    Quello che emerge in modo più focalizzato e tematico è invece un giudizio – e una volontà di cambiamento – su alcune politiche chiave dell’Unione Europea (che per certi versi esprime anche un disagio per un’insufficiente solidarietà da parte degli altri paesi): il 76% per sostenere maggiormente i paesi colpiti dalla crisi economica; 73% per ripartire i costi dei rifugiati con gli altri paesi; 71% rendere più flessibile la politica economica. Sullo sfondo vediamo chiaramente il segno di quanto è avvenuto negli ultimi anni. Le dure misure di austerità dei governi dal 2011 in poi, e soprattutto la percezione di una scarsa solidarietà degli altri paesi europei di fronte alla crisi migratoria. Vicende che sembrano aver lasciato un segno nell’opinione pubblica.

    e a questo punto con scarsa fiducia nell’ulteriore devoluzione di politiche a livello UE.

    E questo non può non avere un impatto riguardo alla devoluzione futura di competenze a livello UE. Qui sembra chiaro che evidentemente la percezione di mancanza di solidarietà ha finito ormai per compromettere la fiducia complessiva che le politiche possano essere gestite in modo efficiente e solidale se verranno trasferite a livello europeo. Così ecco che emerge anche un consenso maggioritario su posizioni volte a preservare la sovranità nazionale su vari temi: 65% sul fisco; 65% sulla politica economica; 59% sulle politiche sociali (probabile segno di mancanza di fiducia che a livello UE emergano politiche solidali); 52% sulla difesa; 51% sull’immigrazione. E’ importante notare che alcune di queste misure (armonizzazione della politica fiscale, politiche sociali gestione centralizzata dell’immigrazione) potrebbero in realtà potenzialmente aiutare il nostro paese: tuttavia la nostra interpretazione è che ci sia sfiducia che, una volta centralizzate queste politiche, gli orientamenti risultanti possano essere in linea con gli interessi dei cittadini italiani.

    Approvate le misure chiave del governo, ma non è gradita la flat tax, perché l’orientamento prevalente è di sinistra (per la redistribuzione del reddito),

    Veniamo infine ad alcune misure chiave prese dal governo. Anzitutto riguardo alla politica economica, c’è una sostanziale approvazione dei provvedimenti chiave: 60% di approvazione per Quota 100, 58% di approvazione per il reddito di cittadinanza. Questi dai non devono stupire, perché il 79% degli italiani è favorevole alla redistribuzione del reddito; e quindi non stupisce neanche che il 68% sia invece contrario alla flat tax.

    ma di destra sull’immigrazione.

    Infine si conferma un sostegno (67%) per la politica di chiusura dei porti, a conferma di una configurazione di opinione pubblica che è in linea con quella di altri paesi europei: di sinistra sull’economia e di destra sull’immigrazione.

    E’ questa configurazione di opinione pubblica che ha finora alimentato il successo, già nel 2018, di M5S e Lega: partiti che non hanno esitato a combinare, in modo post-ideologico, posizioni economiche di protezione sociale non lontane dalla sinistra tradizionale con posizioni sull’immigrazione decisamente più conservatrici. A questo punto sarà interessante vedere come evolverà il sostegno alla Lega, che negli ultimi tempi sembra aver scelto di darsi una connotazione più chiaramente di destra. I dati sulle intenzioni di voto delle ultime settimane sembrano mostrare che non sia stata una strategia così promettente. A questo punto resta da attendere le elezioni del 26 maggio.

     

    Tabella 1 – Consenso a varie affermazioni tematiche: sondaggio CISE Osservatorio Politico maggio 2019 (CAWI – N=1000)

    Affermazione Consenso (%) (affermazione opposta)
    ORIENTAMENTO GENERALE
    VERSO LA UE
    Rimanere nell’ Euro 67.54 Uscire dall’Euro
    Rimanere nell’Unione Europea 69.7 Uscire dall’Unione Europea
    POLITICHE EUROPEE
    Preservare la libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione Europea 76.05 Abolire la libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione Europea
    Aumentare il sostegno dell’Unione Europea ai paesi più colpiti dalle crisi economiche 75.63 Ridurre il sostegno dell’Unione Europea ai paesi più colpiti dalle crisi economiche
    Ripartire tra tutti gli stati membri dell’Unione Europea i costi complessivi relativi all’accoglienza dei rifugiati 72.51 Far pagare a ciascuno stato membro dell’Unione Europea i costi relativi all’accoglienza dei rifugiati nel proprio territorio
    Rendere più flessibile la politica economica della Unione Europea 70.7 Mantenere il rigore economico nella Unione Europea
    Mantenere la competenza dei singoli stati membri sulla propria politica fiscale 65.27 Attribuire all’Unione Europea la competenza sulle politiche fiscali dei singoli stati membri
    Rispristinare pieni poteri sulle proprie politiche economiche e di bilancio per gli stati membri 65.03 Attribuire all’Unione Europea più poteri sulle politiche economiche e di bilancio degli stati membri
    Mantenere la competenza dei singoli stati membri sulle proprie politiche sociali (ad es. sussidio di disoccupazione) 59.21 Attribuire all’Unione Europea la competenza sulle politiche sociali dei singoli stati membri (ad es. sussidio europeo di disoccupazione)
    Mantenere gli eserciti nazionali in ciascuno stato membro 52.52 Istituire un esercito dell’Unione Europea
    Mantenere la competenza dei singoli stati membri sulla propria politica migratoria 50.05 Attribuire all’Unione Europea la competenza sulle politiche migratorie dei singoli stati membri
    ECONOMIA
    Mantenere l’attuale normativa sull’età pensionabile (Quota 100) 60.03 Ripristinare la precedente normativa sull’età pensionabile
    Mantenere il reddito di cittadinanza garantito per chi è sotto la soglia di povertà 58.28 Abolire il reddito di cittadinanza garantito per chi è sotto la soglia di povertà
    Ridurre le differenze di reddito tra chi ha redditi alti e redditi bassi 79.28 Non ridurre le differenze di reddito tra chi ha redditi alti e redditi bassi
    Mantenere la progressività fiscale (chi guadagna di più paga percentuali più alte) 68.07 Introdurre la flat tax (percentuale di tasse fissa, indipendentemente dal reddito)
    Ridurre la libertà delle imprese di assumere e licenziare 53.55 Aumentare la libertà delle imprese di assumere e licenziare
    IMMIGRAZIONE
    Mantenere i porti chiusi per le navi che trasportano migranti 67.07 Aprire i porti per le navi che trasportano migranti
  • Verso le elezioni spagnole: il ritorno della polarizzazione ideologica

    Verso le elezioni spagnole: il ritorno della polarizzazione ideologica

    Traduzione a cura di Elisabetta Mannoni

    A pochi giorni dalle elezioni politiche in Spagna, il sondaggio preelettorale ICCP (Issue Competition Comparative Project) rivela un dato sorprendente: quello che potremmo chiamare un ritorno alla polarizzazione ideologica, lungo le classiche linee di conflitto che hanno caratterizzato il sistema partitico spagnolo nei decenni scorsi. In breve, questo si deve all’importanza di partiti relativamente nuovi, come Podemos e Vox, i cui elettori sembrano essere ideologicamente coerenti in termini di posizioni di sinistra o di destra su tutta una serie di tematiche. Questo colloca questi partiti spagnoli in una posizione diversa rispetto alle loro controparti in altri paesi europei, che sono soliti combinare posizioni di destra e posizioni di sinistra a seconda della tematica in questione. È dunque possibile che la Spagna stia seguendo un percorso diverso da quanto osservato in altri paesi. La sola eccezione in questo senso sembrerebbe essere Ciudadanos, che mostra un elettorato caratterizzato in misura decisamente minore da questa dimensione di conflitto ideologico destra-sinistra, mentre sia il PP che il PSOE confermano il loro profilo di partiti tipicamente mainstream. Ma andiamo ad analizzare questi risultati più nel dettaglio.

    Il panorama sullo sfondo: le recenti tendenze nella competizione partitica in Europa occidentale

    Le elezioni recenti nell’Europa occidentale hanno dimostrato il successo di nuovi partiti, cosiddetti “sfidanti”, e le difficoltà sempre maggiori incontrate dai partiti tradizionalmente mainstream. Ma non finisce qui: le ricerche condotte su diversi paesi europei nell’ambito del progetto ICCP guidato dal CISE (che presto appariranno in un numero speciale di West European Politics) hanno mostrato come il profilo del nuovo partito “sfidante” abbia una caratterizzazione relativamente chiara in termini di strategia rispetto alle proprie tematiche di interesse. Ciò consente di definirli in termini più ricchi e più informativi rispetto alla mera caratterizzazione di partiti “populisti”:

    1. In diversi paesi, i nuovi partiti sfidanti sembrano non fare affidamento su pacchetti ideologici coerenti, ma piuttosto combinare obiettivi che tradizionalmente appartengono sia alla sinistra sia alla destra. In un certo senso, la difficoltà di collocare tali partiti sull’asse destra-sinistra è stato uno dei motivi che ha spinto molti commentatori ad etichettarli come populisti. Un caso evidente è il PVV olandese (guidato da Geert Wilders) che combina posizioni progressiste sui diritti civili con atteggiamenti anti-islamici (Maggini, De Sio, van Ditmars 2018). Ma vi sono molti altri esempi (De Sio e Lachat in corso di pubblicazione) di partiti che spesso combinano posizioni di destra su tematiche di carattere culturale, come l’immigrazione, con posizioni relativamente a sinistra e filo-statali su tematiche di carattere economico.
    2. Allo stesso tempo, è emersa un’ulteriore dimensione distintiva. Mentre i partiti mainstream tendono ad enfatizzare tradizionalmente una visione dei processi di trasformazione contemporanei (come la globalizzazione, l’integrazione europea, i cambiamenti tecnologici) di carattere tecnico, non conflittuale, orientata al problem-solving e a soluzioni vincenti per tutti, i nuovi partiti sfidanti hanno invece riportato sulla scena una visione fortemente conflittuale della politica, sottolineando che i processi di cui sopra generano vincitori e vinti, e mirando a rappresentare proprio questi ultimi. Ancora una volta, questa caratteristica sembra essere un denominatore comune di quei partiti che sono stati generalmente definiti populisti.

    Ora, pochi giorni prima delle elezioni politiche spagnole, il nuovo sondaggio ICCP aggiunge la Spagna al nostro database, consentendo di valutare fino a che punto anche il sistema partitico spagnolo sia o meno caratterizzato da tali sviluppi. Cosa caratterizza i partiti spagnoli? Podemos è un partito populista o un partito di sinistra più tradizionale? Vox è veramente di destra o si tratta di un fenomeno più complesso? E il PSOE e il PP del 2019 riflettono ancora l’immagine dei partiti tradizionali mainstream, ideologicamente coerenti e orientati a strategie basate sul consenso?

    Analizzare il sostegno ai partiti attraverso gli innovativi parametri dell’issue yield

    A queste domande si può rispondere guardando a dei parametri innovativi sviluppati nell’ambito del progetto ICCP. Sulla base dei dati dell’opinione pubblica (raccogliendo le opinioni dei cittadini su più di 30 tematiche diverse e sulla credibilità dei diversi partiti nel conseguimento di determinati obiettivi), siamo in grado di ricostruire lo specifico pacchetto di tematiche che caratterizza ciascun partito. Questo pacchetto comprende, per ciascuno dei partiti, tutti quegli obiettivi politici e quelle tematiche che consentono di combinare un ampio consenso (idealmente unanime) all’interno dell’elettorato del partito con il consenso più generale dell’opinione pubblica nel suo complesso, unitamente ad una buona immagine del partito (anche al di fuori del suo elettorato). In breve, tale pacchetto identifica quegli obiettivi che meglio rappresentino gli elettori del partito e al contempo offrano anche la miglior immagine del partito al di fuori del bacino dei suoi sostenitori, offrendo così il potenziale per un’espansione elettorale. Ciò costituisce la reale identità politica del di partito, e i suoi ingredienti (ovvero le combinazioni specifiche degli obiettivi e delle tematiche selezionate) possono essere identificati attraverso un algoritmo (De Sio e Weber in uscita nel 2019) che produce un punteggio finale di rendimento elettorale (issue yield) per ogni tematica, rivelando il potenziale elettorale che ogni tematica costituisce per ciascun partito. Analizzando gli obiettivi di ogni partito in termini di issue yield, siamo in grado di cogliere le caratteristiche chiave della sua identità tematica. Questo consente di identificare le tematiche responsabili del successo (forse inaspettato) di un certo partito, o i punti di debolezza di un altro. Allo stesso tempo, un rapido sguardo alla struttura della configurazione tematica di ciascun partito consente anche di rispondere alle domande di cui sopra, mostrando se un partito è ideologicamente coerente o se invece è pluri-ideologico, e se sta investendo sulla mobilitazione di un conflitto politico piuttosto che abbracciare una strategia di risoluzione dei problemi e di decisione basata sul consenso.

    Il sondaggio ICCP: i parametri issue yield per i partiti spagnoli nel 2019

    Nella sezione seguente riportiamo la combinazione ottimale di tematiche ed obiettivi per i principali partiti politici spagnoli. Per ogni tematica, riportiamo (vedi le tabelle seguenti):

    • – l’obiettivo;
    • – il punteggio issue yield (IY), e in che modo il partito si classifica su tale obiettivo, rispetto agli altri partiti;
    • – se tale obiettivo è “consensuale” (in altre parole, se si tratta di un obiettivo non divisivo, come la crescita economica o la protezione dal terrorismo), basato quindi principalmente sulla competenza tecnica, o se è un obiettivo “divisivo” (che prevede la presenza di due posizioni rivali, come l’essere a favore o contrari ai matrimoni omosessuali), basato principalmente su valutazioni di carattere politico;
    • – riportiamo inoltre, per ogni obiettivo divisivo: se lo si possa considerare un classico obiettivo di sinistra o di destra; il consenso di cui gode all’interno del partito (livello di unanimità); il consenso di cui gode in generale (potenziale di espansione elettorale);
    • – infine, per tutti gli obiettivi: la percentuale di tutti gli elettori che ritengono il partito credibile su tale obiettivo (di nuovo, potenziale di espansione elettorale).

    Iniziamo col guardare ai due maggiori partiti mainstream del sistema partitico spagnolo, il PP e il PSOE.

    Partito Popolare

    Ciò che appare chiaro per il PP (Tabella 1) è che il partito detiene un vantaggio competitivo principalmente su questioni divisive (dato in parte sorprendente per un partito tradizionale). Di fatto, fra le dieci tematiche su cui il PP mostra il punteggio IY più alto, otto sono caratterizzate da una prospettiva di tipo conflittuale – il che significa che i suoi elettori e l’immagine del partito sono caratterizzati più da obiettivi divisivi che da obiettivi consensuali.

    Tab. 1 – Partito Popolare – Migliori 10 obiettivi, classificati in ordine di IY decrescenteTable_1_it

    Gli obiettivi divisivi più redditizi in termini di potenziale elettorale per questo partito sono imperniati su una dimensione culturale del conflitto politico, con la sola eccezione dell’appartenenza all’Euro. Tra queste tematiche, tre emergono come potenzialmente proficue per il PP: restare nell’UE, restare nell’Euro ed impedire un nuovo referendum in Catalogna. Questi tre obiettivi godono tutti di un alto sostegno all’interno del PP (88% per quanto riguarda l’ostilità al referendum catalano, 82% per l’appartenenza all’UE e 78% per l’adesione all’Euro) ed un sostegno relativamente diffuso (rispettivamente 65%, 78% e 72 %) nell’elettorato in generale. Ciò significa che il PP detiene, di fatto, un incentivo strategico a far leva esattamente su questi temi: questi aspetti unificano il partito, ma su una posizione che è ben condivisa anche al di fuori del partito – e anche in termini di credibilità del partito (rispettivamente il 30%, il 36% e il 33% dell’intero campione ritengono che il PP sia credibile nel raggiungimento di questi obiettivi). È importante notare che anche per gli altri obiettivi che presentano un alto IY, il PP gode di una robusta solidità interna e di un forte sostegno anche dell’elettorato esterno (la metà dell’elettorato è a favore degli obiettivi che vedono nel PP il partito col più alto IY).

    Per quanto riguarda gli obiettivi consensuali in cui viene generalmente premiata la competenza tecnica, due sono gli obiettivi potenzialmente vantaggiosi per il PP: sostegno alla crescita economica e lotta alla criminalità. La forza del partito su questi due temi risiede nel fatto che il PP appare come il più credibile nel perseguimento di questi obiettivi rispetto a tutti gli altri partiti in Spagna, indice del fatto che su questi temi il PP detiene un vantaggio strategico indiscutibile.

    Infine, guardando alla configurazione ideologica delle preferenze politiche (divisive) del PP, il posizionamento ideologico del partito è molto chiaro. In linea con il suo background storico, sulla maggior parte delle questioni divisive il partito è orientato su obiettivi conservatori, tradizionalmente associati ad un profilo ideologico di destra (rafforzare i valori tradizionali, ridurre l’accesso alle prestazioni sociali per gli immigrati, ecc.). L’unica eccezione è costituita dalle due tematiche europee (l’appartenenza all’UE e all’Euro), rispetto alle quali il partito è posizionato invece sul polo più progressista. Tuttavia, è bene notare che il conflitto politico sulla dimensione pro-anti UE può difficilmente essere ricondotto alla sola dimensione ideologica destra-sinistra, essendo in effetti una fonte semi-indipendente di conflitto politico. Inoltre, le posizioni pro-UE sono perfettamente in linea con il carattere mainstream del partito.

    PSOE

    A differenza del PP, il PSOE (Tabella 2) si caratterizza meno per la natura divisiva dei suoi obiettivi più remunerativi, presentando invece una maggiore rilevanza di obiettivi consensuali. Tra i dieci obiettivi con il più alto IY per questo partito, tre sono in realtà questioni consensuali su cui, idealmente, tutti gli spagnoli concordano: la lotta alla disoccupazione, il buon funzionamento del sistema sanitario e il miglioramento del finanziamento delle pensioni. Su questi tre obiettivi, il PSOE è valutato come credibile da un terzo dell’elettorato spagnolo, configurandosi quindi come il partito politico più credibile nel perseguimento di questi obiettivi.

    Tab. 2 – PSOE– Migliori 10 obiettivi, classificati in ordine di IY decrescenteTable 2Per quanto riguarda gli obiettivi divisivi, questi rientrano principalmente in una dimensione culturale di conflitto politico. In effetti, su dieci questioni chiave per il PSOE, ci sono solo due problemi economici in cui il partito potrebbe avere un vantaggio strategico sui suoi concorrenti (uno è rimanere nell’Euro e l’altro è aumentare le tasse e spendere di più per la sanità e l’istruzione). Gli altri obiettivi chiave per il PSOE appartengono tutti alla sfera culturale. Qui, il PSOE ha una posizione ideologica sempre coerente, con posizioni che tendono verso il polo progressista di sinistra. In altre parole, il profilo ideologico del partito è molto chiaro, incorporato nella tradizionale dimensione destra-sinistra del conflitto politico, e mostra come tali posizioni culturali progressiste siano spesso ampiamente condivise anche nell’elettorato generale (si veda ad esempio il sostegno del 77% degli spagnoli per il mantenimento della legislazione sulla violenza di genere). Tuttavia, ciò che emerge chiaramente dalla Tabella 2 è che, su questi obiettivi, il PSOE non è mai al primo posto in termini di IY. Questo rivela chiaramente la presenza di altri concorrenti di sinistra che sono caratterizzati in modo ancora più forte in termini conflittuali (vedi sotto), accaparrandosi probabilmente un vantaggio maggiore derivante da questi obiettivi.

    Podemos

    Guardando ai partiti “sfidanti”, l’immagine cambia leggermente, rivelando alcuni risultati interessanti. Diversamente da quanto visto per i partiti mainstream e coerentemente con la sua natura di partito sfidante, Podemos (Tabella 3) emerge come un “mobilitatore del conflitto” all’interno del sistema partitico spagnolo. Le dieci questioni su cui registriamo il più alto rendimento elettorale per questo partito, sono in realtà tutte di natura divisiva, rivelando così il profilo conflittuale di Podemos. Inoltre, tutte queste tematiche ruotano attorno a una dimensione culturale del conflitto politico, con la sola eccezione della difesa dei modelli attuali per l’assistenza sanitaria pubblica e per l’istruzione. Ciò significa che il partito è fortemente caratterizzato su una dimensione culturale (più che economica), e che le questioni culturali sono, quindi, in questo caso quelle potenzialmente più redditizie.

    Tab. 3 – Podemos – Migliori 10 obiettivi, classificati in ordine di IY decrescente[1]Table 3Tra questi obiettivi, quattro risultano particolarmente rilevanti per Podemos: la legalizzazione dell’eutanasia, il mantenimento dell’accesso all’aborto, il mantenimento della legislazione vigente in materia di violenza di genere e la difesa degli attuali modelli di assistenza sanitaria pubblica e istruzione. Su questi quattro temi, il consenso interno al partito è quasi unanime (il sostegno varia tra un minimo dell’88% per quanto riguarda la difesa dei modelli attuali di sanità pubblica ed istruzione fino al 94% circa quando si parla della salvaguardia della legislazione sulla violenza di genere). Dato forse ancora più importante, questi obiettivi sono ampiamente sostenuti dall’elettorato generale, anche al di fuori del partito, con un minimo del 68% a favore gli attuali modelli di sanità pubblica e istruzione ed un massimo del 77% a favore della legalizzazione dell’eutanasia e della conservazione della legislazione attuale sulla violenza di genere.

    Infine, la struttura degli incentivi derivante ​​da obiettivi divisivi, delinea chiaramente il profilo ideologico di Podemos. Malgrado la sua natura di sfidante, il partito è chiaramente e indubbiamente orientato verso il raggiungimento di obiettivi tradizionalmente progressisti di sinistra. Ciò sembra suggerire che, più che come un partito populista, Podemos si configuri come un partito di sinistra abbastanza tradizionale, mostrando preferenze politiche che sono in linea con le sue posizioni ideologiche.

    Vox

    Lo stesso profilo divisivo e di mobilitazione del conflitto emerge quando guardiamo a Vox (Tabella 4), i cui rappresentanti sono entrati in un parlamento regionale per la prima volta nelle ultime elezioni regionali andaluse. Le tematiche caratterizzanti per Vox sono, infatti, prevalentemente di natura divisiva, con l’unica eccezione della lotta alla criminalità. In particolare, l’identità del partito si struttura su pochi obiettivi chiave: l’applicazione di politiche repressive contro gli indipendentisti catalani e il divieto di un referendum in Catalogna; il rafforzamento dei valori tradizionali; la riduzione dell’accesso alle prestazioni sociali per i migranti. Queste questioni sono ampiamente sostenute all’interno del partito e anche gli elettori all’esterno sono fortemente favorevoli. Se il sostegno per questi obiettivi supera l’80% all’interno del partito, una percentuale superiore al 50% degli elettori si schiera a favore di essi. Non è una coincidenza, quindi, che per quanto riguarda l’applicazione delle politiche repressive contro gli indipendentisti catalani, il rafforzamento dei valori tradizionali e la riduzione dell’accesso ai sussidi di welfare per gli immigrati, Vox sia stato valutato come credibile da più del 20% degli spagnoli, rivelando un potenziale elettorale significativo per questo piccolo partito.

    Tab. 4 – Vox – Migliori 10 obiettivi, classificati in ordine di IY decrescenteTable 4

    Infine, analogamente a quanto osservato per Podemos, anche la caratterizzazione tematica di Vox rivela chiaramente una posizione ideologica coerente. Gli obiettivi che meglio caratterizzano il partito (principalmente su questioni culturali) possono essere infatti completamente riassorbiti all’interno della più tradizionale dimensione destra-sinistra, con Vox chiaramente posizionato sul polo destro dello spettro, configurandosi a tutti gli effetti, in termini di orientamento politico, come un partito di destra. Questo distingue Vox da altri partiti populisti in Europa che mostrano combinazioni più complesse e pluri-ideologiche.

    Ciudadanos

    Il profilo ampiamente polarizzato ed ideologizzato di Podemos e Vox, non sembra essere adatto ad un partito come Ciudadanos (Tabella 5). Sorprendentemente, e in contrasto con quanto ci si aspetterebbe data la natura sfidante di questo partito, Ciudadanos mostra un profilo prevalentemente consensuale, e si trova in una posizione relativamente migliore per trarre vantaggio dalla credibilità attribuitagli su obiettivi politici non divisivi e condivisi. Sulle questioni consensuali che caratterizzano maggiormente questo partito, i dati sulla credibilità per Ciudadanos mostrano che quasi il 30% dell’elettorato spagnolo considera Ciudadanos credibile nel perseguimento di obiettivi quali lotta alla criminalità (29%), crescita economica (28%) e miglioramento della qualità dell’istruzione (28%), solo per menzionare i temi consensuali su cui la credibilità del partito risulta essere maggiore. Tuttavia, il dato che rileviamo è che, su questi temi, Ciudadanos non è mai al primo posto in termini di IY.

    Tab. 5 – Ciudadanos – Migliori 10 obiettivi, classificati in ordine di IY decrescenteTable 5

    Al contrario, è su questioni divisive che il partito detiene un vantaggio competitivo rispetto ai suoi concorrenti. In particolare, la forza di Ciudadanos sta nella sua posizione pro-UE, che non solo è quasi unanime all’interno del partito, ma anche condivisa da quasi l’80% degli spagnoli. Inoltre, un terzo dell’elettorato ritiene che il partito sia credibile su questo obiettivo. Analogamente, l’appartenenza all’Euro ed il divieto di un nuovo referendum catalano sono obiettivi potenzialmente molto redditizi per il partito e sui quali Ciudadanos potrebbe essere ricompensato dagli elettori. In effetti, anche in questo caso il partito presenta una posizione interna molto coerente e solida, affiancata da un’ampia condivisione di questi obiettivi anche da parte dell’elettorato in generale.

    Conclusioni: polarizzazione ideologica, e qualche sorpresa

    Per riassumere, i dati sopra riportati testimoniano l’importanza di condurre un’analisi della competizione partitica che vada oltre le etichette generiche di “sinistra” e “destra”, ma entri nei dettagli di tematiche ed obiettivi specifici. Questo proprio perché diversi partiti mostrano chiaramente di possedere caratterizzazioni molto variegate, che si sostanziano nell’interesse rivolto a tematiche di natura diversa.

    Tuttavia, ci sono alcuni risultati chiave che fanno sì che la Spagna si distingua da altri paesi precedentemente coperti dal progetto ICCP (Emanuele e Paparo 2018). Innanzitutto, non vi è alcuna evidenza di partiti sfidanti dal profilo pluri-ideologico. Quando vengono analizzati in termini di posizioni su questioni divisive, Podemos, Vox e Ciudadanos mostrano tutti posizioni o di sinistra o di destra piuttosto chiare e coerenti.

    Inoltre, ci sono peculiarità riguardanti la caratterizzazione dei diversi partiti in termini di conflittualità o consensualità. In altri paesi europei abbiamo generalmente individuato un profilo consensuale per i partiti mainstream ed un profilo conflittuale per i partiti sfidanti, mobilitatori di conflitto (con le eccezioni parziali del PD e del M5S in Italia). Quello che invece osserviamo in Spagna è un quadro diverso: a sinistra c’è una differenza, in parte prevedibile, tra il PSOE, mainstream e più consensuale, e lo sfidante più radicale Podemos, molto più incline al conflitto. A destra il panorama è ben diverso e in parte inaspettato: a) il partito col profilo consensuale più visibile è il partito sfidante Ciudadanos; b) lo sfidante Vox ha un profilo molto conflittuale; c) il PP, tradizionale, si trova nel mezzo, ma con una caratterizzazione molto più conflittuale di quella di Ciudadanos, forse insolita per un partito mainstream. Ciò testimonia la crescente polarizzazione del sistema partitico spagnolo e suggerisce fin da subito la potenziale complessità dei negoziati per la formazione del nuovo governo all’indomani delle elezioni.

    Riferimenti bibliografici

    De Sio, L., e Lachat, R. (in corso di pubblicazione), ‘Making Sense of Party Strategy Innovation: Challenge to Ideology and Conflict Mobilisation as Dimensions of Party Competition’, West European Politics.

    Emanuele, V., e Paparo, A. (2018), Dall’Europa alla Sicilia. Elezioni e opinione pubblica nel 2017, Roma, Centro Italiano Studi Elettorali.

    De Sio, L., e Weber, T. (2014), ‘Issue Yield: A Model of Party Strategy in Multidimensional Space’, American Political Science Review, 108(04), pp. 870-885.

    De Sio, L., e Weber, T. (in corso di pubblicazione), ‘Issue Yield, Campaign Communication, and Electoral Performance: A Six-Country Comparative Analysis’, West European Politics.

    Maggini, N., De Sio, L., e van Ditmars, M. (2018), ‘Verso le elezioni in Olanda: la struttura delle issue opportunity per i partiti’, in Emanuele, V., e Paparo, A. (a cura di), Dall’Europa alla Sicilia. Elezioni e opinione pubblica nel 2017, Dossier CISE(10), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 41-55.


    [1] Podemos correrà in queste elezioni in coalizione con Izquierda Unida (IU) -coalizione Unidas Podemos. Di conseguenza, per identificare gli elettori di Podemos le semplici intenzioni di voto non sono sufficienti. In alternativa, abbiamo fatto ricorso all’identificazione partitica e alle propensioni di voto (PTV) degli intervistati. Nello specifico, abbiamo focalizzato la nostra analisi sui 126 rispondenti che hanno dichiarato la propria intenzione di votare la coalizione Unidas Podemos alle prossime elezioni politiche. Al fine di individuare gli elettori di Podemos e distinguerli dagli elettori di IU, abbiamo utilizzato innanzitutto l’identificazione partitica: gli 86 elettori di Unidas Podemos che hanno dichiarato di identificarsi con Podemos sono stati classificati come elettori di Podemos. Laddove l’identificazione partitica non abbia consentito di distinguere gli elettori di Podemos e di IU, abbiamo fatto affidamento sulla PTV dei rispondenti: i 15 intervistati con un valore della PTV più alto per Podemos che per IU sono stati classificati come elettori di Podemos.

     

  • Towards the Spanish general election: the return of ideological polarization

    Towards the Spanish general election: the return of ideological polarization

    Few days before the general election in Spain, some surprising evidence emerges from the ICCP (Issue Competition Comparative Project) pre-electoral survey: what we could call a return of ideological polarization; and along classic lines of conflict that have characterized the Spanish party system in past decades. In a nutshell, this is due to the relevance of relatively new parties such as Podemos and Vox, whose constituencies appear ideologically consistent in terms of left-wing or right-wing stances across multiple issues. This sets these Spanish parties apart from other recent challenger parties in other European countries, which mix and match both left- and right-wing stances on different issues; thus, Spain might be following a different path from what observed in other countries. The only exception to this pattern appears Ciudadanos’, which shows a much less conflict-characterized constituency, while both the PP and the PSOE confirm a typical mainstream issue profile. But let us see these findings in more detail.

    The landscape in the background: recent trends in party competition in Western Europe

    Recent elections in Western Europe have shown a success of new, challenger parties, and increasing difficulties for traditional mainstream parties. However, there is more to the picture. Research conducted on several European countries under the ICCP project led by the CISE (soon to appear in a special issue of West European Politics) has shown that the new challengers have a relatively clear characterization in terms of their issue strategy. This allows to characterize them in terms that are richer and more informative than a simple “populist” label:

    1. In several countries, new challenger parties appear to not rely on consistent ideological packages, but to rather mix and match issue goals that traditionally belong both to the left and to the right. In a way, the difficulty to place such parties on the left-right dimension is one of the reasons leading many commentators to dub them as populist A prominent example might be the Dutch PVV (led by Geert Wilders) that combines progressive stances on civil rights with anti-Islam attitudes (Maggini, De Sio, van Ditmars 2018), but there are many more examples (De Sio and Lachat forthcoming), often combining right-wing positions on cultural issues (such as immigration) with relatively left-wing, pro-state positions on the economy.
    2. At the same time, an additional dimension of distinction has emerged. While mainstream parties traditionally emphasize a problem-solving, technical, win-win, non-conflictual vision of contemporary transformation processes (such as globalization, EU integration, technological change), new parties have brought back a conflictual vision of politics, highlighting how the above processes in fact produce winners and losers, and aiming at representing these latter. Again, this characteristic appears a common denominator of what are dubbed populist parties.

    Now, few days before the general elections in Spain, our new ICCP survey adds Spain to the ICCP database, allowing to assess to what extent even the Spanish party system is (or is not) characterized by such developments. How are Spanish parties characterized? Is Podemos a populist party or a more classic left-wing party? Is Vox genuinely right-wing, or a more complex phenomenon? And do the PSOE and the PP of 2019 still correspond to an image of classic mainstream parties, both ideologically consistent and oriented towards consensual decision-making?

    Analysing party support through innovative issue yield metrics

    These questions can be answered by relying on innovative metrics developed within the ICCP project. Based on public opinion data (collecting citizens opinions on more than 30 different issues, and also asking goal-achievement credibility of different parties), we are able to reconstruct the specific issue package that characterizes each party. This is, for each party, the combination of issue goals that combine internal unanimity with general support (and good party reputation) even outside the party. In short, such package identifies those issue goals that both best represent the party constituency and at the same time best capture the reputation of the party outside its supporters, offering potential for electoral expansion. This constitutes in fact the political identity of the party: and its ingredients (the specific combinations of issue goals) can be identified through an algorithm that produces a summary Issue Yield score (De Sio and Weber 2014, forthcoming) for each issue, capturing the electoral opportunities that each issue goal offers to each party. By analysing, for each party, the issue goals with the top Issue Yield score, we in fact are able to capture the key characteristics of its issue identity. This allows to understand what issues drive the (perhaps unexpected) success of a party, or what are the weaknesses of another party. At the same time, a quick inspection at the structure of each party configuration allows to answer the above questions, by understanding whether a party is ideologically consistent (or rather cross-ideological), or whether is investing on the mobilization of political conflict (rather than embracing a problem-solving, consensual decision making strategy).

    The ICCP Survey: Issue Yield metrics for Spanish parties in 2019

    In the following section we report for the main Spanish political parties the optimal combination of issue goals. For each issue goal, we report (see the tables below):

    • – the issue goal;
    • – the Issue Yield index, and how the party ranks on that issue, compared to other parties;
    • – whether such goal is “consensual” (i.e. related to a non-divisive goal such as economic growth or protection from terrorism, thus based mostly on technical competence) or “divisive” (seeing two rival positions, such as for or against gay marriages, thus based mostly on political assessments);
    • – for divisive goals: whether it can be considered a classic left-wing or right-wing goal; the support it enjoys within the party (level of unanimity); the support it enjoys at large (potential for electoral outreach);
    • – for all goals: the percentage of all voters that considers the party credible on that goal (again, potential for electoral outreach).

    We start looking at the two largest, mainstream parties in the Spanish party system, the PP and the PSOE.

    PP

    What appears clear for the PP (Table 1) is that the party holds a competitive advantage mostly on divisive issues (partially surprising for a mainstream party). Indeed, of ten issues on which the PP displays its highest IY score, eight are characterized by a conflicting outlook, meaning that the party’s constituency and image are characterized more by divisive issues than by consensual issues.

    Table 1 – Partido Popular – Top 10 issue goals, ranked by decreasing issue yieldTabella 1_e

    The most profitable divisive issue goals for the party are organized along a cultural dimension of conflict, with the only exception of the Euro membership. Among these issues, three emerge as potentially rewarding for the PP: the EU and Euro membership, and the prohibition of a new referendum in Catalonia. These three goals all enjoy a high internal support within the PP (88% for what concerns hostility to the Catalan Referendum, 82% pro EU membership, and 78% for Euro membership) and relatively widespread support (respectively 65%, 78% and 72%) among the electorate at large. This means that the PP holds a strategic incentive to capitalize exactly on these issues: these issues unify the party, but on a position that is well shared outside the party, even in terms of considering the PP credible (respectively 30%, 36% and 33% of the whole sample believes the PP is credible on achieving these goals). However, one should notice that also for the other issue goals displaying a high issue yield, the PP enjoys a robust internal coherence and a strong support of the electorate (half of the electorate supports the issue goals whose issue yield is the highest for the PP).

    As for consensual issues where technical competence is rewarded, two objectives are potentially beneficial for the PP: support of the economic growth and fight against crime. The strength of the party on these two issues is that the PP appears as the most credible party in achieving these objectives as compared to all other parties in Spain, a clue that on these issues the PP holds an indisputable strategic advantage.

    Finally, looking at the ideological configuration of (divisive) policy preferences of the PP, the ideological positioning of the party is very clear. In line with its historical background, on most divisive issues the party leans towards conservative goals, traditionally associated with a right-wing posture (e.g. reinforce traditional values, reduce access to welfare benefits for immigrants, etc.). The only exception is represented by the two European issues (the EU and Euro membership), where the party is positioned on a progressive pole. However, one should notice that political conflict on a pro-anti EU dimension might be hardly subsumed under the left-right ideological dimension alone, being in fact a semi-independent source of political contestation Also, pro-European positions are consistent with the mainstream nature of the party.

    PSOE

    Differently from the PP, the PSOE (Table 2) is less strongly characterized in divisive terms, seeing a larger relevance of consensual goals. Among the ten issues with the highest issue yield for this party, three are in fact consensual issues on which, ideally, all Spaniards agree upon: fight against unemployment, the well-functioning of healthcare, and the improvement of the funding of pensions. On these three issue goals, the PSOE is rated as credible by one third of the Spanish electorate, thus configuring it as the most credible political party in achieving these objectives.

    Table 2 – PSOE – Top 10 issue goals, ranked by decreasing issue yieldTable 2

    As for divisive goals, these are mainly organized along a cultural dimension of political conflict. Indeed, out of ten issues which characterize the PSOE, there are just two economic issues on which the party might hold a strategic advantage over its competitors (i.e. stay in the Euro and raise taxes and spend more on health and education). The other key issues for the PSOE are all in the cultural domain. Here, the PSOE holds a consistent ideological posture, with its stances all leaning towards traditional progressive, leftist positions. In other words, the ideological profile of the party is clear, embedded in the traditional left-right dimension of political conflict, and showing how such progressive cultural positions are often widely shared also in the general electorate (see e.g. the 77% support of Spaniards for retaining regulations on gender violence). However, what clearly emerges from Table 2 is that, on these goals, the PSOE never ranks first in terms of issue yield. This clearly shows the presence of other left-wing competitors that are more strongly characterized in conflictual terms (see below), thus perhaps gaining more advantage from these issues.

    Podemos

    Looking at challenger parties, the picture slightly changes, revealing some interesting results. Differently from mainstream parties and coherently with its challenger nature, Podemos (Table 3) emerges as a conflict mobilizing actor within the Spanish party system. The ten issues on which we record the highest issue yield for this party, are in fact all divisive in their nature, thus revealing the conflictual profile of Podemos. Moreover, all these issues revolve around a cultural dimension of political conflict, with the only exception of the defence of current models for public healthcare and education. This means that the party is strongly characterized on a cultural dimension rather than an economic one, so that cultural issues are potentially the most profitable ones.

    Table 3 – Podemos – Top 10 issue goals, ranked by decreasing issue yield[1]Table 3 Among these issue goals, four emerge as particularly relevant for Podemos: the legalization of euthanasia, the maintenance of access to abortion, the preservation of current legislation on gender violence, and the defence of the current models for public healthcare and education. On these four issues, within party support is almost unanimous (support ranges between a minimum of 88% for what concerns the defence of current models for public health and education to a maximum of 94% regarding the preservation of legislation on gender violence). Most importantly, these goals are widely supported by the general electorate, with a minimum of 68% of the electorate supporting the current models for public health and education and a maximum of 77% of the electorate supporting the legalisation of euthanasia and preservation of current legislation on gender violence.

    Finally, and interestingly enough, the structure of incentives derived from divisive issues, clearly demonstrates the ideological profile of Podemos. Despite its challenger nature, the party is clearly and undoubtfully oriented towards the achievement of traditionally progressive, left-wing goals. This seems to suggest that – more than a populist party – Podemos configures as a quite traditional left-wing party, displaying policy preferences that are in line with its ideological stances.

    Vox

    The same divisive, conflict-mobilizing profile emerges when we look at Vox (Table 4), whose representatives entered a regional parliament for the first time in the last Andalusian Regional Election. The characterizing issues for Vox are prevalently divisive, with the only exception of the fight against crime. In particular, the issue identity of the party is anchored on few key issue goals: the application of repressive policies against Catalan independentists and the prohibition of a referendum in Catalonia; the reinforcement of traditional values; the reduction of access to welfare benefits for migrants. These issues are coherently endorsed by the party, and voters are strongly supportive as well. If support for these issue goals exceeds 80% within the party, among the electorate a proportion that is higher than 50% support the same policy goals. It is no coincidence, therefore, that in the application of repressive policies against Catalan Independentists, the reinforcement of traditional values, and the reduction of access to welfare benefits for immigrants, Vox has been rated as credible by more than 20% of Spaniards, thus testifying a significant electoral potential for this small party.

    Table 4 – Vox – Top 10 issue goals, ranked by decreasing issue yieldTable 4 Finally, and in line with what we observed for Podemos, Vox’s issue characterization clearly reveals a consistent ideological posture. The issue goals that best characterize the party (mostly on cultural issues) can be in fact entirely reabsorbed within the more traditional left-right dimension, with Vox clearly positioned on the right pole of the spectrum and configuring, in terms of policy orientations, as a right-wing party. This sets Vox apart from other populist parties in Europe that offer more complex and cross-ideological combinations.

    Ciudadanos

    Finally, the highly ideologized and polarized profiles we observed for Podemos and Vox are not found for Ciudadanos (Table 5). Surprisingly enough, and contradicting the expectations related to the challenger nature of this party, Ciudadanos displays a prevalently consensual profile, being in a relatively better position to take advantage of its rated credibility on non-divisive, commonly shared policy objectives. On the consensual issues mostly characterizing this party, credibility figures for C’s show that around 29% and 28% of the Spanish electorate consider Ciudadanos to be credible in fighting crime, supporting economic growth, and improving the quality of education, just to mention the items on which party credibility results relatively higher as compared to other consensual issues. However, on these issues C’s never ranks first.

    Table 5 – Ciudadanos – Top 10 issue goals, ranked by decreasing issue yieldTable 5

    Quite the contrary, it is on divisive issues that the party holds a competitive advantage over its competitors. In particular, Ciudadanos’ strength is that its pro-EU stance is not only almost unanimous within the party, but also shared by almost 80% of Spaniards. Furthermore, one third of the electorate deems the party to be credible on this issue goal. Not dissimilarly, the Euro membership and the prohibition of a new Catalan referendum are issue goals that are potentially profitable for the party and on which Ciudadanos might be rewarded by voters. Indeed, also in this case the party displays a highly coherent position, backed by a broad sharing of these objectives by the electorate at large.

    Conclusions: ideological polarization, and some surprises

    To sum up, the above patterns testify for the relevance of analyzing party competition going beyond generic labels, such as “left” and “right”, and delving into the details about specific issues. This is because different parties clearly show to hold different characterizations, also articulated into issues of different nature.

    However, there are some key findings that differentiate Spain from other countries previously covered by the ICCP project (see De Sio and Paparo 2018). First and foremost, there is no clear evidence of challenger parties that employ a cross-ideological appeal. When analyzed in terms of their stances on divisive issues, Podemos, Vox and Ciudadanos all show pretty clear and consistent left- or right-wing issue stances.

    Also, there are peculiarities regarding the consensual vs. conflictual characterization of different parties. In other countries we usually observed mainstream parties characterized by consensual appeals, and challengers by conflict mobilization (with the partial exceptions of the Pd and M5s in Italy). What we see in Spain is a bit different. In the left-wing camp, there is a to some extent predictable difference between the mainstream PSOE (more consensual) and the more radical challenger Podemos (much more conflictual). However, the right-wing camp show a partially unexpected panorama, where: a) the one with the most consensual characterization is the new challenger Ciudadanos; b) the Vox challenger has a very conflictual profile; c) the mainstream PP sits in the middle, but with a much more conflictual characterization than C’s, perhaps unusual for a mainstream party. This testifies for the increased polarization of the Spanish party systems, and already suggests the potential complexity of the post-electoral government negotiations.

    References

    De Sio, L., and Lachat, R. (forthcoming), ‘Making Sense of Party Strategy Innovation: Challenge to Ideology and Conflict Mobilisation as Dimensions of Party Competition’, West European Politics.

    De Sio, L., and Paparo, A. (2018), ‘The year of challengers? Issues, public opinion, and elections in Western Europe in 2017’, Rome, CISE.

    De Sio, L., and Weber, T. (2014), ‘Issue Yield: A Model of Party Strategy in Multidimensional Space’, American Political Science Review, 108(04), pp. 870-885.

    De Sio, L., and Weber, T. (forthcoming), ‘Issue Yield, Campaign Communication, and Electoral Performance: A Six-Country Comparative Analysis’, West European Politics.

    Maggini, N., De Sio, L., and van Ditmars, M. (2018), ‘Towards the next Dutch general election: the issue opportunity structure for parties’, in De Sio, L., and Paparo, A. (eds.), The year of challengers? Issues, public opinion, and elections in Western Europe in 2017, Rome, CISE, pp. 37-52.


    [1] In this election Podemos will run in a coalition with Izquierda Unida (IU), named Unidas Podemos. Therefore, to identify voters of Podemos, mere vote intentions are not sufficient. To that end, we use party identification and propensities to vote (PTV). To be precise, the procedure we employ is as follows. We focus on the 126 respodents who declare their intention to vote for the Unidas Podemos coalition in the next general election. In order to extract voters of Podemos, we first use party identification: the 86 respondents identifying with Podemos are classified as voters of Podemos. When party identification does not allow to distinguish between Podemos and IU, we ultimately rely on PTV scores: the 15 respondents with a PTV for Podemos higher than the PTV for IU are classified as voters of Podemos.

  • PD confinato nelle élite, M5S prevalente nelle classi più basse: e dietro c’è il disagio economico

    PD confinato nelle élite, M5S prevalente nelle classi più basse: e dietro c’è il disagio economico

    Pochi mesi fa, all’indomani del voto del 4 marzo, avevamo identificato un risultato inaspettato per la politica italiana: la comparsa di una sorta di voto di classe rovesciato (De Sio 2018). Il PD infatti risultava l’unico partito a presentare un’influenza della classe sociale sul voto, ma in una direzione inaspettata: la propensione a votare PD cresceva infatti al crescere della classe sociale di appartenenza, configurando il PD come “partito delle élite”.

    A nove mesi da quell’elezione, vale la pena ripetere quell’analisi sui dati appena raccolti dall’Osservatorio Politico CISE[1] . È vero che la strategia del PD in questi mesi è rimasta complessivamente invariata rispetto a quella della campagna elettorale: da un lato con una scelta che, partendo dalle accuse di incompetenza al governo, è sostanzialmente di opposizione di principio sui contenuti di tutti suoi provvedimenti; dall’altro in termini di strategia complessiva, in cui ancora stenta ad avviarsi, in linea con i tempi del congresso, una riflessione sulle scelte strategiche degli ultimi anni. Per questi motivi non avevamo attese di un cambiamento sostanziale nella caratterizzazione dell’elettorato del PD. Tuttavia ripetiamo quest’analisi anche per un altro motivo: da un lato di offrire un breve confronto con gli altri partiti; dall’altro di cercare di approfondire i contenuti più specifici che stanno dietro a una differenziazione tra cittadini che dichiarano di appartenere a una particolare classe.

    La prima domanda è quindi quella di nove mesi fa: esistono effetti di classe nella propensione a votare i principali partiti? In base a come gli intervistati si autodefiniscono, cambia la loro disponibilità a considerare diverse scelte di voto? I quattro grafici della Figura 1 riportano, per i vari partiti, l’effetto sulla propensione al voto del dichiararsi appartenenti a una specifica “classe sociale”. Si tratta di un costrutto rilevato tramite una domanda che menziona esplicitamente il termine (usata anche in varie indagini internazionali): “Se Le chiedessero di scegliere uno di questi cinque nomi per la sua classe sociale, a quale direbbe di appartenere?”. Di conseguenza la risposta non è legata a una definizione precisa basate sull’occupazione o sulla condizione occupazionale dell’intervistato, ma rileva semplicemente l’autopercezione dell’intervistato (vedi più oltre un breve confronto con altre variabili).

    Fig. 1 – Propensione a votare i diversi partiti in base alla classe socialeall_classeIl grafico riporta, per ogni partito e per ogni classe, il punteggio medio previsto per gli intervistati di quel gruppo (al netto dell’effetto di sesso, età, titolo di studio, zona geografica e condizione professionale) rispetto alla possibilità di votare in futuro per quel partito, su una scala da 0 a 10. Ogni barra (che esprime il punteggio medio) riporta anche un margine di incertezza statistica in più o in meno.

    Come si può vedere, l’effetto per il PD che avevamo rilevato a marzo appare pressoché invariato oggi. Esiste una differenza statisticamente significativa (ovvero gli intervalli di incertezza sono nettamente distinti) sia tra classe medio-bassa e classe “bassa” che tra classe “medio-alta” (dove abbiamo inserito anche i pochi intervistati che riportano “alta”) e classe operaia. In altre parole, come a marzo, il profilo di questo partito appare ancora confinato ad avere punteggi PTV rilevanti (intorno a 4) soltanto nella classe medio-alta, e punteggi chiaramente decrescenti nelle classi più basse. È interessante notare invece il pattern speculare del M5S, dove la propensione scende all’aumentare della classe sociale, di nuovo con differenze significative tra quasi tutte le classi. Inoltre va tenuto conto che, in ogni caso, nella classe medio-alta – dove il M5S registra la propensione più bassa – si registrano comunque valori analoghi a quelli del PD. Potremmo quindi dire che è il PD a non riuscire ad attrarre le classi più basse, mentre il M5S attrae comunque le classi più alte, anche se la sua penetrazione sale molto nelle classi più basse. È infine interessante notare come non ci siano, invece, differenze significative né per la Lega né per Forza Italia. Se si tiene conto dei margini di incertezza statistica, non esiste nessuna classe che sia diversa dalle altre in misura statisticamente significativa; in altre parole, questi due partiti appaiono entrambi complessivamente interclassisti; e per questo motivo per certi versi hanno elettorati più sovrapponibili e compatibili. Ovviamente sapendo che la Lega ha in questo momento valori di PTV complessivamente ben più alti di Forza Italia, tali da farla risultare con il PTV medio più alto di tutti i partiti sia nella classe medio-alta che in quella più bassa. Un aspetto interessante, che per certi versi testimonia della capacità di questo partito di combinare in questo momento elettorati diversi; lasciando al M5S il punteggio più alto nelle classi medie.

    Infine, vale la pena di accennare a una domanda importante: cosa c’è, nella mente degli intervistati, dentro questo concetto di classe? Quali altre variabili permettono di ottenere effetti simili? Alcune analisi ulteriori che abbiamo svolto puntano chiaramente nella condizione delle diverse condizioni economiche – a prescindere dalla collocazione professionale. Abbiamo infatti replicato le analisi sostituendo alla classe sociale rispettivamente il reddito dichiarato (per fasce), le condizioni di vita (se si dichiara di vivere in condizioni agiate, con tranquillità, con qualche difficoltà, o non riuscendo ad arrivare a fine mese) e infine una classificazione innovativa per classi sociali proposta dallo studioso svizzero Oesch (2006a, 2006b) in base alla collocazione professionale. I risultati ci dicono sostanzialmente che lo schema di classi sociali di Oesch non fa emergere differenze molto rilevanti, a conferma della struttura ormai fluida della nostra società, in cui la condizione occupazionale non necessariamente produce effetti chiari nelle condizioni di vita. Viceversa, effetti molto simili a quelli della classe autodichiarata emergono sia per il reddito che per le condizioni di vita, a testimonianza di una rilevanza della crisi economica (e delle condizioni di difficoltà economica di una parte rilevante dell’elettorato) per le scelte di voto.

    Riferimenti bilbiografici

    De Sio, L. (2018), ‘Il ritorno del voto di classe, ma al contrario (ovvero: se il PD è il partito delle élite)’, in Emanuele, V. e Paparo, A. (a cura di), Gli sfidanti al governo. Disincanto, nuovi conflitti e diverse strategie dietro il voto del 4 marzo 2018, Dossier CISE(11), Roma, LUISS University Press e Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 133-137.

    Oesch, D. (2006a), ‘Coming to grips with a changing class structure’, International Sociology, 21(2), pp. 263-288.

    Oesch, D. (2006b), Redrawing the Class Map. Stratification and Institutions in Britain, Germany, Sweden and Switzerland, Basingstoke, Palgrave Macmillan.


    [1] Il sondaggio è stato realizzato con metodo CAWI (Computer-Assisted Web Interviewing) da Demetra opinioni.net S.r.l. nel periodo 10-19 dicembre. Il campione ha una numerosità di 1.113 rispondenti ed è rappresentativo della popolazione elettorale italiana per genere, classe di età, titolo di studio, zona geografica di residenza, e classe demografica del comune di residenza. Le stime qui riportate sono state ponderate in funzione del ricordo del voto alle politiche e di alcune variabili socio-demografiche. L’intervallo di confidenza al 95% per un campione probabilistico di pari numerosità in riferimento alla popolazione elettorale italiana è ±2,9%.

  • Dove va l’Italia? Dietro l’agenda del governo c’è il risultato del 4 marzo

    Dove va l’Italia? Dietro l’agenda del governo c’è il risultato del 4 marzo

    CoverUna cosa è certa: il risultato del 4 marzo ha aperto una stagione complessa della politica italiana, caratterizzata da grandi cambiamenti e da potenti tensioni che stanno caratterizzando questi mesi: ad esempio quella tra il “governo del cambiamento” e l’Unione Europea, e – in queste ultime settimane – quella tra i due partner di governo Lega e M5S.

    Ma da dove viene il risultato del 4 marzo? Quali diverse caratteristiche hanno i successi dei due vincitori? E perché i perdenti sono stati sconfitti così duramente? E cosa c’è nel risultato del PD da far capire da dove dovrebbe ripartire, e perché oggi non recupera consensi, anche di fronte alle difficoltà del governo?

    Risposte a queste domande – e ulteriori dati perché ogni lettore possa ragionare sugli scenari futuri – sono contenute nel nuovo Dossier CISE ‘Gli sfidanti al governo. Disincanto, nuovi conflitti e diverse strategie dietro il voto del 4 marzo 2018‘. Curato da Vincenzo Emanuele e Aldo Paparo per LUISS University Press[1], il volume (in quasi 300 pagine) raccoglie un gran numero di analisi – basate su dati aggregati, sondaggi esclusivi e stime dei flussi elettorali – sul voto del 4 marzo e sugli avvenimenti successivi (comprese le elezioni regionali), pubblicate sul sito web del CISE nel corso degli ultimi mesi.

    Ma c’è di più. Per celebrare l’uscita del volume (scaricabile gratuitamente in formato PDF, ma da oggi anche disponibile in cartaceo sul sito LUISS University Press), abbiamo deciso di inserirvi anche un’analisi inedita. Si tratta di un’analisi innovativa che combina i flussi elettorali con i dati di un innovativo sondaggio CISE, che permette di spiegare i flussi elettorali in base alle specifiche posizioni e credibilità dei partiti su alcuni temi d’attualità (vedi i dettagli nell’articolo dedicato: De Sio e Paparo 2018). Al di là dello scontro di potere tra leader e della retorica delle ‘fake news’, la nostra idea è infatti che dietro al risultato del 4 marzo ci siano domande abbastanza intelligibili espresse dall’elettorato. Domande che emergono dalla presenza di meccanismi di issue voting, che di fatto ci permettono di identificare una sorta di mandato del 4 marzo: alcuni obiettivi tematici che hanno spinto il successo di Lega e M5S (e la sconfitta di PD e FI), che stanno orientando l’azione del governo (compreso il confronto con l’Europa), e che gli sconfitti del 4 marzo (in particolare il PD che si appresta al congresso) dovranno comprendere con attenzione, per capire da dove cominciare a costruire un’alternativa all’attuale governo.

    Ma qual è il contenuto di questo “mandato”? La tabella di seguito mostra i punti forti e punti deboli di ciascun partito. Per i vincenti (Lega e M5S), i segni più (verdi) corrispondono agli obiettivi tematici che, secondo la nostra analisi, hanno avuto un effetto significativo di espansione elettorale; per i perdenti (PD e FI), i segni meno (rossi) sono i temi maggiormente associati all’uscita di voti, mentre i (pochi) segni più sono i temi che hanno permesso di trattenere voti, e quindi di limitare perdite che avrebbero potuto essere anche peggiori. Il numero di segni meno o più per un tema corrisponde alla significatività statistica dell’effetto.

    ModelloMaggiori dettagli sui risultati sono nell’articolo dedicato (De Sio e Paparo 2018): qui il punto chiave è di vedere come, se si guarda bene, da questa analisi emerge che nel successo del 4 marzo c’è già sostanzialmente l’agenda del nuovo governo. Lega e M5S, nella successiva attività di governo hanno sostanzialmente iniziato a mettere in atto le potenziali politiche legate ai motivi del loro successo, in questo accentuando – per usare la distinzione chiave suggerita da Peter Mair (2014) – l’aspetto della responsiveness (il requisito democratico per cui il governo dovrebbe essere rispondente alle preferenze dei cittadini) rispetto a quello della responsibility (responsabilità verso i vincoli costituzionali e internazionali, e attenzione alla sostenibilità di lungo termine delle decisioni). La nostra analisi dice infatti che i flussi verso il M5S sono associati alla sua credibilità per riformare la riforma Fornero, combattere la disoccupazione e rinnovare la politica italiana; e che quelli verso la Lega vengono viceversa dalla limitazione della globalizzazione economica, dall’ostilità verso l’Euro, dal desiderio di avere meno rifugiati e dal tema della sicurezza. In questo senso l’attività del governo (pur complessa e controversa, anzi forse proprio per questo motivo) sembra però essere stata studiata chirurgicamente per mettere in atto quello che abbiamo chiamato il mandato del 4 marzo.

    Ma i risultati ci dicono ovviamente aspetti importantissimi anche per gli sconfitti. Anzitutto Forza Italia (che è riuscita a trattenere voti tra chi intendeva restare nell’Euro e/o limitare il numero di rifugiati) ha patito l’appannamento della leadership di Berlusconi (ad esempio sul terrorismo) e la percezione come un partito delle élite economiche (maggiori flussi in uscita tra chi vuole ridurre le differenze di reddito). Ma soprattutto gli effetti relativi al PD appaiono chiaramente leggibili: a fronte del salario minimo orario come unica misura in grado di attenuare i flussi in uscita, i punti deboli del partito di Renzi e Gentiloni sono stati la scarsa credibilità nel combattere la disoccupazione, nel gestire efficacemente la sanità pubblica (un tema indice di una percezione come non in grado di proteggere il welfare), ma soprattutto la perdita di credibilità (confermata anche da altri dati che qui non mostriamo) nel rinnovare la politica italiana. Aspetto tra l’altro che è stato invece proprio il punto di forza del M5S. In altre parole, nell’analisi che il PD si appresta a compiere dovrà trovare spazio una ricostruzione degli effetti degli ultimi anni di governo: dal Jobs Act (che ha tagliato molti ponti con il mondo del lavoro, senza peraltro produrre effetti importanti sull’occupazione) alle vicende di Banca Etruria e alla gestione politica del referendum, che sembrano aver compromesso la credibilità del PD nel rappresentare una possibilità di rinnovamento per la politica italiana.

    In una fase estemamente delicata per il ‘governo del cambiamento’, tuttavia il più grande problema è quindi se e come agli italiani saranno offerte delle alternative credibili. Il PD (e FI?) saranno capaci di elaborare una nuova proposta politica in grado di riconnettersi con gli elettori che li hanno abbandonati? E basandosi su quali analisi? Da Gli sfidanti al governo (Emanuele e Paparo 2018) emerge un quadro di due elementi: da un lato il disincanto di un Paese che sembra non solo essere rimasto deluso da promesse di rinnovamento della politica e di sviluppo economico che non ha ritenuto mantenute, ma anche più in generale da una narrazione ottimistica, ‘win-win’ dei grandi processi di trasformazione del nostro tempo (aspetto per certi versi confermato dalla protesta dei ‘gilets jaunes’ in Francia contro il governo Macron). E in secondo luogo l’emersione di nuovi conflitti legati proprio a queste grandi trasformazioni: con la scoperta che queste trasformazioni producono vincenti e perdenti, e che quindi il conflitto politico su temi specifici come il welfare e l’immigrazione non può essere annacquato facilmente da visioni tecnocratiche e ottimistiche. Staremo a vedere.

    Riferimenti bibliografici

    De Sio, L., e Paparo, A. (2018), ‘Il mandato del 4 marzo. Dietro vittorie e sconfitte, la domanda di affrontare vecchi
    problemi e nuovi conflitti’. https://cise.luiss.it/cise/2018/11/26/il-mandato-del-4-marzo-dietro-vittorie-e-sconfitte-la-domanda-di-affrontare-vecchi-problemi-e-nuovi-conflitti

    Emanuele, V., e Paparo, A. (a cura di) (2018), Gli sfidanti al governo. Disincanto, nuovi conflitti e diverse strategie dietro il voto del 4 marzo 2018, Dossier CISE(11), Roma, LUISS University Press e Centro Italiano Studi Elettorali.

    Mair, Peter. 2014. «Representative versus responsible government». In On parties, party systems and democracy, a c. di Peter Mair. Colchester: ECPR Press, 581–96.

    [1] Il volume, presentato anche su LUISS Open, è disponibile per il download anche presso il sito web della LUISS University Press, oltre che sul sito del CISE.