Autore: Redazione CISE

  • Ad Ancona il centrosinistra tiene i suoi voti e si conferma al comune

    Ad Ancona il centrosinistra tiene i suoi voti e si conferma al comune

    Il ballottaggio ad Ancona ha registrato una delle poche note liete per il centrosinistra nella Zona Rossa (dove sono state perse Siena, Massa, Pisa e Imola, per citarne solo alcune cadute ieri).

    Grazie all’analisi dei flussi emerge che il sindaco uscente del centrosinistra (Mancinelli) è riuscita fondamentalmente a tenere i quasi tutti suoi voti del primo turno (l’86% complessivamente). Ciò le ha permesse di mantenere il comune grazie anche al vantaggio accumulato al primo turno. Infatti, lo sfidante di centrodestra (Tombolini) ha avuto tassi di fedeltà fra primo e secondo turno analoghi anche se un po’ inferiori (il 76% nel complesso), e ha potuto contare su una certa preferenza degli elettori del M5S, ma ciò non è bastato a chiudere anche solo parzialmente il distacco del primo turno.

    In particolare, il 40% degli elettori del M5S al primo turno ha scelto Tombolini, che da qui prende un quarto dei suoi voti al ballottaggio, mentre il 20% ha votato Mancinelli. Ad Ancona, infine, gli elettori del candidato di sinistra (Filogna Rubini) hanno in maggioranza scelto il candidato di centrosinistra al ballottaggio (il 56%).

    Fig. 1 – Flussi elettorali a Ancona fra primo turno (sinistra) e secondo turno (destra) delle comunali 2018, percentuali sull’intero elettorato (clicca per ingrandire)ancona_sankey

    Riferimenti bibliografici

    Goodman, L. A. (1953), ‘Ecological regression and behavior of individual’, American Sociological Review, 18, pp. 663-664.

    Schadee, H.M.A., e Corbetta, P., (1984), Metodi e modelli di analisi dei dati elettorali, Bologna, Il Mulino.


    NOTA METODOLOGICA

    I flussi presentati sono stati calcolati applicando il modello di Goodman (1953) alle 100 sezioni elettorali del comune di Ancona. Seguendo Schadee e Corbetta (1984), abbiamo eliminato le sezioni con meno di 100 elettori (in ognuna delle due elezioni considerate nell’analisi), nonché quelle che hanno registrato un tasso di variazione superiore al 15% nel numero di elettori iscritti (sia in aumento che in diminuzione). Si tratta di 3 unità in tutto. (Clonazepam) Il valore dell’indice VR è pari a 1,8.

  • A Imola gli elettori del centrodestra si riversano in massa sulla candidata del M5S

    A Imola gli elettori del centrodestra si riversano in massa sulla candidata del M5S

    Il ballottaggio di Imola ha segnato, come Siena, una storica sconfitta per il centrosinistra. Qui a spuntarla è stata la candidata del M5S (Sangiorgi), che, pur partendo da un ritardo di quasi 13 punti dal candidato del centrosinistra al primo turno, è riuscita a vincere largamente, con oltre 10 punti di margine.

    Grazie alla stima dei flussi elettorali rappresentati dal diagramma di Sankey riportato sotto (Fig. 1), possiamo comprendere come tale risultato si sia determinato. Il diagramma mostra chiaramente la grande banda blu che va dal bacino elettorale del centrodestra al primo turno verso la candidata del M5S al secondo. Il 75% degli elettori di Palazzolo, infatti, ha scelto la Sangiorgi al ballottaggio. Questo flusso pesa il 10% dell’elettorato totale, un terzo dei voti con cui la candidata del M5S si è laureata prima cittadina.

    Fig. 1 – Flussi elettorali a Imola fra primo turno (sinistra) e secondo turno (destra) delle comunali 2018, percentuali sull’intero elettorato (clicca per ingrandire)imola_sankey

    Riferimenti bibliografici

    Goodman, L. A. (1953), ‘Ecological regression and behavior of individual’, American Sociological Review, 18, pp. 663-664.

    Schadee, H.M.A., e Corbetta, P., (1984), Metodi e modelli di analisi dei dati elettorali, Bologna, Il Mulino.


    NOTA METODOLOGICA

    I flussi presentati sono stati calcolati applicando il modello di Goodman (1953) alle 61 sezioni elettorali del comune di Imola. Seguendo Schadee e Corbetta (1984), abbiamo eliminato le sezioni con meno di 100 elettori (in ognuna delle due elezioni considerate nell’analisi), nonché quelle che hanno registrato un tasso di variazione superiore al 15% nel numero di elettori iscritti (sia in aumento che in diminuzione). Si tratta di 1 unità in tutto. Il valore dell’indice VR è pari a 0,8.

  • L’apparentamento non basta: a Siena gli elettori di Piccini non lo seguono e fanno vincere il centrodestra

    L’apparentamento non basta: a Siena gli elettori di Piccini non lo seguono e fanno vincere il centrodestra

    Il ballottaggio a Siena ha regalato uno dei risultati più sorprendenti di questa tornata di elezioni comunali. Nonostante la storia elettorale del comune del palio, il risultato del primo turno, che ancora vedeva largamente in testa il candidato del centrosinistra, e l’apparentamento di questi con il primo degli esclusi dal ballottaggio (il candidato giunto terzo, l’ex sindaco Piccini), a spuntarla è stato, clamorosamente, il centrodestra.

    Come è stato possibile? Le nostre stime dei flussi elettorali mostrano che decisivi per il successo di De Mossi sono stati i voti arrivati da quanti al primo turno avevano votato Sportelli (il 50% del suo elettorato del primo turno, pari a un sesto di quello al ballottaggio del vincitore), e, Piccini. (Zolpidem) Infatti, nonostante l’apparentamento cui abbiamo accennato sopra, un terzo ha scelto De Mossi: un flusso che pesa il 4% dell’elettorato senese, e contribuisce per il 15% al successo del candidato di centrodestra.

    Infine il diagramma di Sankey mostra anche che i (pochi) elettori che hanno votato al secondo turn dopo essersi astenuti al primo (il 2% dei senesi) hanno tutti scelto De Mossi. Interessante, infine, rilevare come nessuno degli elettori del candidato a sinistra di Valentini abbia votato per quest’ultimo al ballottaggio. Si sono infatti divisi fra astensione (due terzi) e De Mossi (il restante terzo).

    Fig. 1 – Flussi elettorali a Siena fra primo turno (sinistra) e secondo turno (destra) delle comunali 2018, percentuali sull’intero elettorato (clicca per ingrandire)siena_sankey

    Riferimenti bibliografici

    Goodman, L. A. (1953), ‘Ecological regression and behavior of individual’, American Sociological Review, 18, pp. 663-664.

    Schadee, H.M.A., e Corbetta, P., (1984), Metodi e modelli di analisi dei dati elettorali, Bologna, Il Mulino.


    NOTA METODOLOGICA

    I flussi presentati sono stati calcolati applicando il modello di Goodman (1953) alle 50 sezioni elettorali del comune di Siena. Seguendo Schadee e Corbetta (1984), abbiamo eliminato le sezioni con meno di 100 elettori (in ognuna delle due elezioni considerate nell’analisi), nonché quelle che hanno registrato un tasso di variazione superiore al 15% nel numero di elettori iscritti (sia in aumento che in diminuzione). Si tratta di 2 unità in tutto. Il valore dell’indice VR è pari a 6,2.

  • Incarico a Di Maio? In Italia il partito più votato ha sempre governato. Ma in altri paesi europei accade anche il contrario

    Incarico a Di Maio? In Italia il partito più votato ha sempre governato. Ma in altri paesi europei accade anche il contrario

    Adesso che lo spoglio diventa definitivo le considerazioni sui risultati elettorali lasciano via via spazio agli scenari sulla formazione del governo. Nessun partito o coalizione ha ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi e dunque per il Presidente della Repubblica si apre il rebus dell’incarico. Mattarella dovrà dare l’incarico alla prima coalizione (il centrodestra) o al primo partito (il Movimento Cinque Stelle)? La storia della Repubblica italiana ci dice che non è mai accaduto che il primo partito rimanesse fuori dal governo che inaugura la legislatura. E’ accaduto che non abbia espresso il Presidente del Consiglio (ad esempio nei casi dei governi Craxi e Amato) ma è comunque sempre stato al governo, con due sole parziali eccezioni di governi tecnici nati nel corso della legislatura (Dini e Monti). Da questi dati l’incarico a Di Maio nelle prossime settimane sembrerebbe l’ipotesi più accreditata.

    Allargando la prospettiva di indagine, cosa accade solitamente in Europa? Il CISE ha effettuato una ricerca su 368 elezioni legislative avvenute dal 1945 a oggi in 19 paesi dell’Europa occidentale. Il caso di un governo post-elettorale che non includa il partito più votato non è un così insolito. Si è infatti verificato 62 volte (ossia nel 16.8% dei casi). Se poi includiamo anche tutti i governi della legislatura, saliamo a 93 volte (25.3%). I casi più diffusi sono i paesi scandinavi, dove regolarmente il partito socialdemocratico, quasi sempre il più votato, viene messo in minoranza dalle cosiddette coalizioni borghesi, comprendenti i partiti liberali, agrari, cristiano-democratici e conservatori.

    Tabella 1 – Casi in cui il partito che ottiene più voti alle elezioni non va al governo, Europa occidentale (1945-2018)

    primo partito fuori dal governo

  • L’Italia unica tra le democrazie: maggioranza assoluta a partiti anti-establishment

    L’Italia unica tra le democrazie: maggioranza assoluta a partiti anti-establishment

    Il voto del 4 marzo rappresenta uno spartiacque, con la massima affermazione di partiti anti-establishment nel panorama dell’Europa occidentale dal dopoguerra. Questo risultato è unico per almeno tre motivi [vedi analisi linkate di seguito].

    1. l’affermazione del M5S è unica nel panorama dell’Europa occidentale: tra i partiti col miglior debutto elettorale (25,6% nel 2013), mai nessuno era riuscito a fare meglio (e notevolmente: quasi 7 punti in più) nella sua seconda prova.
    2. Sono chiaramente visibili i risultati delle strategie dei partiti:
      1. quella di Salvini, di trasformazione della vecchia Lega Nord in una nuova Lega nazionale di destra radicale, ha avuto pieno successo, quadruplicando i voti e arrivando praticamente ai livelli del PD;
      2. al contrario, la strategia del PD di Renzi, mirata alla conquista del centro e incardinata su Europa e diritti civili, ha portato al peggior risultato della sinistra nella storia repubblicana.
      3. È qui che si è innestata l’efficacia della strategia del M5S, non puntata su caratterizzazioni ideologiche, ma su una credibilità sui singoli temi, attribuitagli da cittadini sempre più ostili ai partiti tradizionali.
    3. Dietro al successo o al fallimento di queste strategie appaiono chiaramente le condizioni di precarietà economica e le paure identitarie di gran parte del paese, che i dati ci mostrano avere avuto un forte impatto sul successo del M5S e della Lega praticamente in tutta Italia.
      E in questo senso, l’Italia, seppure su scala maggiore, non è un caso isolato rispetto ad altri paesi europei. In sempre più casi nazionali le inquietudini prodotte dai processi di trasformazione economici e sociali degli ultimi anni hanno alimentato il successo di partiti anti-establishment, tuttavia sempre tenuti ai margini del governo (ad esempio in Olanda o in Germania) o integrati in coalizioni più moderate con partiti tradizionali (come in Austria).
      L’unicità dell’Italia sta dunque nel fatto che nelle elezioni italiane del 2018 questo impatto e stato così forte da produrre un vero e proprio tsunami, con una maggioranza assoluta di voti a partiti anti-establishment, e perciò con un condizionamento decisivo sulla formazione del governo.
  • L’avanzata del M5S: un unicum tra i nuovi partiti nella storia europea

    L’avanzata del M5S: un unicum tra i nuovi partiti nella storia europea

    Il boom del M5S che ha ottenuto il 32,3% dei voti divenendo la prima forza politica del paese e accrescendo di quasi 7 punti il risultato del 2013 è un unicum nella storia elettorale europea. Nella tabella 1 abbiamo riportato le performance dei nuovi partiti che al loro esordio elettorale hanno ottenuto i migliori risultati di sempre nella storia dell’Europa occidentale (su un totale di quasi 400 elezioni politiche tenutesi in 20 paesi dal 1945 a oggi). La tabella mostra chiaramente che il M5S, oltre ad essere stato, nel 2013, il partito con il miglior debutto elettorale di sempre, è anche l’unico che è riuscito, alla seconda prova elettorale, ad accrescere il proprio bottino di voti. Infatti, tutti gli altri nuovi partiti hanno subito un arretramento alla prova della riconferma. In alcuni casi si è trattato di un vero e proprio crollo, come nel caso del Partito Renovator Democratico in Portogallo (-13,5 punti) e della lista Pim Fortuyn in Olanda (-11,3 punti). In altri casi si è trattato di un lieve arretramento, come nel caso di Forza Italia (-0,4 punti).

    Il M5S, invece, non solo non è arretrato, ma registra una significativa avanzata (+6,7 punti) pur partendo dal livello più alto di tutti (il 25,6% del 2013).

    Tabella 1 – La seconda elezione dei partiti con il miglior debutto elettorale in elezioni non fondative del regime democratico (20 paesi dell’Europa occidentale, 1945-2018)seconda prova elettorale m5s

  • Disoccupazione e immigrazione dietro i vincitori del 4 marzo

    Disoccupazione e immigrazione dietro i vincitori del 4 marzo

    Un paese pervaso da due inquietudini: quella economica che spinge a dismisura il M5S; quella culturale che moltiplica i voti della Lega. Non si tratta solo di una interpretazione suggestiva, ma di un dato che emerge in modo statisticamente significativo da un’analisi basata su molte variabili.

    Questa l’impressione che scaturisce dalle prime analisi della geografia elettorale che abbiamo effettuato con un insieme di indicatori socio-economici a livello provinciale. Il risultato in sintesi è questo:

    La crescita del M5S appare nettamente associata alle province italiane che presentano un più alto tasso di disoccupazione. Si tratta di un effetto che regge anche tenendo conto di vari indicatori socio-economici (variabili legate alla prosperità economica e all’immigrazione) nonché della zona geografica.

     Il voto alla Lega è più alto nelle province dove più è cresciuto il tasso di stranieri. Anche in questo caso si tratta di un effetto che regge anche tenendo conto di vari indicatori socio-economici (variabili legate alla prosperità economica e all’immigrazione) nonché della zona geografica.

  • Una geografia elettorale rivoluzionata

    Una geografia elettorale rivoluzionata

    I dati che stanno arrivando mostrano una vera e propria rivoluzione della geografia elettorale italiana.

    Nelle regioni meridionali il Movimento Cinque Stelle ha sfondato, superando in molti casi il 40% e addirittura raggiungendo la maggioranza assoluta dei consensi in Campania. Sempre nel Sud, il centrosinistra arretra sensibilmente ed è il terzo polo in tutte le regioni, compresa la Basilicata, sua area di tradizionale insediamento.

    Il dato forse più eclatante arriva dalle cosiddette regioni rosse, cioè Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Marche, dove il centrosinistra per la prima volta nella storia della Seconda Repubblica non sarebbe la coalizione più votata. Scendendo nel dettaglio, la coalizione a guida Pd sarebbe prima solo in Toscana, mentre in Emilia-Romagna e in Umbria sarebbe avanti il centrodestra e nelle Marche il M5S sarebbe primo. Non solo, ma il Pd sarebbe sopra il 30% solo in Toscana. In questo contesto, l’avanzata del centrodestra nelle regioni rosse sembra dovuta esclusivamente alla grande avanzata della Lega che si attesta attorno al 20% nelle 4 regioni dell’area.

    Infine, nel Nord il centrodestra è largamente in vantaggio. Pare essersi rafforzato rispetto al 2013, mentre il centrosinistra e i cinquestelle sembrano confermare le stesse quote di consenso di 5 anni fa. L’unica eccezione qui è il Trentino-Alto Adige, dove, grazie al contributo degli autonomisti della SVP, il centrosinistra risulta di gran lunga primo.

    Interessanti sono anche i rapporti di forza interni alla coalizione di centrodestra: la Lega ottiene più consensi di Forza Italia in tutte le regioni del Nord e della Zona rossa. In particolare in Veneto il partito di Salvini ha il triplo dei voti di Forza Italia (30% a 10%) e in Lombardia il doppio (28% a 14%). Nel Sud invece Forza Italia mantiene la leadership intra-coalizionale.

     

  • La sorprendente tenuta dell’affluenza

    La sorprendente tenuta dell’affluenza

    Il dato ancora non definitivo dell’affluenza è attualmente intorno al 72,9%. Si tratta sì di un calo di 2,3 punti, come si osserva dal grafico in basso: ma il calo, che era stato nettamente più marcato nelle ultime elezioni, è fortemente rallentato, fino al semplice calo fisiologico dovuto al ricambio generazionale. E oltretutto colloca l’Italia in posizione molto favorevole rispetto agli altri grandi paesi europei: la nostra affluenza sarebbe inferiore solo a quella della Germania. Il grafico (Figura 1) mostra infatti che l’affluenza nel nostro paese è in calo dal 1979 ad un tasso medio di 0,5 punti all’anno; questa affluenza era caduta più velocemente nelle elezioni del 2008 e 2013, mentre la diminuzione osservata tra 2013 e 2018 (-2 punti e un calo del 3%) è di gran lunga inferiore a quella registrata in precedenza (-5,3 punti, ovvero un calo del 6,6%).

    Figura 1 – Il trend dell’affluenza in Italia (1948-2018)

    trend affluenza

    Allargando lo sguardo agli altri 19 paesi dell’Europa occidentale (Figura 2), il dato dell’affluenza del 2018, per quanto in calo rispetto al passato, si colloca in una posizione mediana rispetto alle ultime elezioni avvenute negli altri paesi, risultando, come già detto, inferiore solo alla Germania (76,2%) tra i cinque grandi paesi dell’Europa.

    Figura 2 – L’affluenza al voto nelle ultime elezioni politiche in 20 paesi dell’Europa occidentale

    affluenza europa

  • Prime analisi: si vota di meno dove c’è più disoccupazione, non solo al Sud

    Prime analisi: si vota di meno dove c’è più disoccupazione, non solo al Sud

    I dati dell’affluenza delle ore 12 e ancor più quelli delle 19 ci hanno già permesso di effettuare alcune analisi. Il primo dato che emerge, confrontando le province italiane e costruendo un modello che tiene conto di numerose variabili socio-economiche e dell’affluenza del 2013, è che:

    le province con un tasso più alto di disoccupazione presentano un livello di astensione chiaramente più alto

    Questo dato non è banale, perché nel nostro modello abbiamo tenuto conto delle seguenti variabili di controllo a livello provinciale:

    • affluenza nel 2013
    • PIL pro capite
    • differenza PIL 2016-2013
    • tasso di stranieri residenti nel 2017
    • tasso flussi di immigrati tra il 2017 e 2013
    • differenza di disoccupazione tra il 2016 e il 2013
    • zona geografica

    In sintesi, considerando due province della stessa zona geografica, con lo stesso livello di sviluppo economico, stesso impatto dell’immigrazione e stessa affluenza nel 2013, un maggior tasso di disoccupazione in una delle due corrisponde a un’astensione più alta, in modo statisticamente significativo