Autore: Aldo Paparo

  • A Venezia nuovo massimo per il flusso dal M5S alla Lega: un elettore su 17

    A Venezia nuovo massimo per il flusso dal M5S alla Lega: un elettore su 17

    I risultati delle elezioni del 4 marzo a Venezia sono molto simili a quelli osservati in altri grandi centri nel Nord del paese. In particolare, il quadro del capoluogo veneto appare estremamente somigliante a quello emerso a Genova: il centrodestra prima coalizione, avanzando di 13 punti, con il M5S stabile, e il centrosinistra in calo di 7 punti e terzo, dopo essere stato primo nel 2013. Sia a Torino che a Padova, invece, il centrosinistra era riuscito a mantenersi stabile rispetto al 2013, con nel primo caso una avanzata più contenuta del centrodestra (circa 10 punti), e mantenendo il ruolo di prima e seconda coalizione, rispettivamente. A Venezia, poi, rimane da segnalare la grande avanzata della Lega, che quadruplica i propri voti, arrivando vicina a raccoglierne un quarto del totale; cui fa da contraltare il calo di FI, che dimezza i voti rispetto al PDL 2013.

    Tab. 1 – Risultati elettorali a Venezia, 2013 e 2018risultati

    Per comprendere come si sia venuto determinando questo risultato nel capoluogo veneto, abbiamo stimato i flussi elettorati fra politiche 2013 e quelle del 2018. La Tabella 2 mostra come si sono divisi percentualmente, fra le diverse opzioni di voto disponibili lo scorso 4 marzo, gli elettorati 2013 delle diverse forze politiche. Una metà degli elettori che nel 2013 avevano votato Bersani ha confermato la propria preferenza al centrosinistra. Un quinto ha invece scelto stavolta il M5S: questo flusso vale il 5,2% dell’elettorato veneziano, cioè oltre un elettore su 20. Due quote uguali, ciascuna pesanti circa un decimo del totale degli elettori 2013 del centrosinistra, hanno invece optato il 4 marzo per LeU e il non voto.

    L’elettorato 2013 del M5S ha confermato la propria scelta in misura dei due terzi. Praticamente tutti gli altri (il 28%) ha votato la Lega. Nessun altro coefficiente risulta significativo, neanche quello verso il non voto (0,6% dell’elettorato). Il flusso dal bacino 2013 del Movimento a quello 2018 della Lega vale il 5,8% del totale dell’elettorato veneziano. Ciò significa che ogni 17 elettori, ce n’è uno che ha votato la Lega il 4 marzo e aveva votato M5S nel 2013. Si tratta della massima consistenza numerica di questo flusso, che pure abbiamo osservato dappertutto (specialmente al Nord), superiore anche a quello registrato a Prato e Rimini (dove sfiorava il 5% dell’elettorato cittadino).

    Gli elettori del centrodestra sono stati i più fedeli di tutti: l’80% ha scelto nuovamente una delle forze della coalizione. Da sottolineare come la metà abbia votato Lega, mentre meno di un quarto FI. L’unica defezione significativa è quella verso l’astensione, che vale poco meno di un decimo. Questo significa che il capoluogo veneto è il secondo caso fra quelli che abbiamo analizzato in cui non si registra un flusso significativo, pari almeno a un elettore su 100, dal centrodestra ’13 al centrosinistra ’18. L’unica altra città in cui ciò si sia verificato è la vicina Padova, dove il coefficiente ha raggiunto lo 0,5%. Sembrerebbe, quindi, che questi passaggi da centrodestra a centrosinistra, osservati nel Nord-Ovest, nella Zona Rossa e al Sud, siano stati poco rilevanti nel Nord-Est. Anche a Venezia, comunque, la stima del relativo flusso non è nulla, ma corrisponde allo 0,7% soltanto dell’elettorato veneziano.

    Venendo, infine, a quanti nel 2013 avevano accordato la propria preferenza alla coalizione guidata da Mario Monti, una metà ha votato il centrosinistra, mentre un terzo ha scelto il centrodestra. Particolarmente premiati i partiti mainstream delle due coalizioni, con il PD che raccoglie il voto del 36% dell’elettorato di Monti, mentre FI un quinto. Nulli, invece, gli spostamenti verso la Lega – così come il M5S.

    Tab. 2 – Flussi elettorali a Venezia fra politiche 2013 e 2018, destinazioni (clicca per ingrandire)[1]dest

    In considerazione di questo quadro di spostamenti di elettori, è davvero interessante analizzare come siano formati gli elettorati 2018 delle diverse forze politiche. Per indagare questo aspetto, riportiamo la Tabella 3, che mostra, appunto, la composizione percentuale, in termini di bacini elettorali del 2013, dei diversi elettorati del 4 marzo.

    Quello del M5S è per il 70% formato da suoi elettori di cinque anni fa, mentre un quarto votarono la coalizione allora guidata da Bersani. Il PD presenta il consueto pattern settentrionale con il 70% circa da elettori di centrosinistra, un quinto da Monti, e il resto dal centrodestra – già evidenziato a Torino, Genova, Padova e Rimini.

    L’elettorato della Lega proviene per una metà abbondante dal centrodestra 2013, con quasi il 40% dal M5S. Anche questo non è un elemento di novità, quanto una costante, almeno nelle grandi città che abbiamo analizzato. Venendo, infine, agli elettori 2018 di FI, emerge come quasi i due terzi avessero votato il centrodestra già nel 2013, mentre il 30% proviene dalla coalizione centrista di Monti.

    Tab. 3 – Flussi elettorali a Venezia fra politiche 2013 e 2018, provenienze (clicca per ingrandire)prov

    Il diagramma di Sankey visibile sotto (Figura 1) mostra in forma grafica le nostre stime dei flussi elettorali a Venezia. A sinistra sono riportati bacini elettorali del 2013, a sinistra quelli del 2018. Le diverse bande, colorate in base al bacino 2013 di provenienza, mostrano le transizioni dai bacini 2013 a quelli 2018. L’altezza di ciascuna banda, così come quella dei rettangoli dei diversi bacini elettorali all’estrema sinistra e destra, è proporzionale al relativo peso sul totale degli elettori. Osservando il diagramma, si nota immediatamente la banda gialla che porta dal M5S ’13 alla Lega ’18, che genera la composizione mista giallo-blu dell’attuale elettorato leghista. Si apprezza, inoltre, come questo flusso sia un po’ di più grande di quello da Bersani ’13 al M5S ’18, flusso che mantiene il M5S stabile rispetto al 2013 come voti, e che ne determina una composizione che, seppur in maggioranza gialla, vede una quota rilevante di rosso.

    Fig. 1 – Flussi elettorali a Venezia fra politiche 2013 (sinistra) e 2018 (destra), percentuali sull’intero elettorato (clicca per ingrandire)sankey

    Ricapitolando i punti principali emersi dalla nostra indagine dei risultati e dei flussi elettorali a Venezia, dobbiamo sottolineare come nel capoluogo veneto si registri il massimo valore del coefficiente per il flusso da M5S 2013 alla Lega di Salvini nel 2018, che sfiora il 6%. Inoltre, è questo il primo caso, insieme alla limitrofa Padova, in cui il centrosinistra non ottenga una quota significativa di elettori dal centrodestra 2013.

    Riferimenti bibliografici

    Draghi, S. (1987). L’analisi dei flussi elettorali tra metodo scientifico e dibattito politico, «Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica», 17(3), pp. 433-455.

    Goodman, L. A. (1953), Ecological regression and behavior of individual, «American Sociological Review», 18, pp. 663-664.

    Plescia, C., e De Sio, L. (2017). An evaluation of the performance and suitability of R× C methods for ecological inference with known true values, «Quality & Quantity», pp. 1-15.

    Schadee, H.M.A., e Corbetta, P.G., (1984), Metodi e modelli di analisi dei dati elettorali, Bologna, Il Mulino


    NOTA METODOLOGICA

    I flussi presentati sono stati calcolati applicando il modello di Goodman alle 256 sezioni elettorali del comune di Venezia. Abbiamo eliminato le sezioni con meno di 100 elettori (in ognuna delle due elezioni considerate nell’analisi), nonché quelle che hanno registrato un tasso di variazione superiore al 15% nel numero di elettori iscritti (sia in aumento che in diminuzione). Si tratta di 9 unità in tutto. Il valore dell’indice VR è pari a 15,3.


    [1] Ringraziamo l’Ufficio Elettorale del comune di Venezia per averci messo a disposizione i dati elettorali delle politiche 2018 per sezione.

  • A Genova storica vittoria del centrodestra con i passaggi dal M5S alla Lega

    A Genova storica vittoria del centrodestra con i passaggi dal M5S alla Lega

    Continuando la nostra indagine sui risultati del voto del 4 marzo nelle principali città italiane, analizziamo qui il risultato osservato a Genova. Il capoluogo ligure, seppur costantemente in calo per numero di abitanti dopo il picco di inizio anni ’70 (quando superava le 800.000 unità), ed estromessa da Palermo a partire dal censimento ’81 dal novero delle cinque città più popolose del paese, si mantiene comunque al sesto posto, ampiamente sopra il mezzo milione di abitanti. Inoltre è l’unico caso, oltre a quello torinese già analizzato, per cui abbiamo potuto reperire i dati a livello di sezione, necessari per stimare i flussi elettorali[1].

    Rispetto al 2013, i risultati del 4 marzo a Genova confermano il M5S primo partito (Tab. 1), stabile anche nel risultato, come del resto nel Nord in genere. Il lieve calo costa però al Movimento la palma di prima coalizione del capoluogo, conquistata dal centrodestra (in crescita di 13 punti dal 2013), per una manciata di voti – circa 300. Nella coalizione vincente, esplode la Lega che moltiplica di 8 volte i propri voti assoluti, e, complice il calo di 4 punti della partecipazione, di 9 volte il proprio risultato percentuale.

    Solo terzo il centrosinistra, che arretra di quasi 8 punti, fermandosi al 27,5%, a circa 4 punti dalle due forze principali. Si tratta di una vera e propria rivoluzione copernicana se guardiamo alla storia elettorale della Seconda Repubblica a Genova. A partire dal 1994, infatti, il centrosinistra aveva sempre raccolto più voti di tutti i rivali. Fino al 4 marzo.

    Tab. 1 – Risultati elettorali a Genova, 2013 e 2018risultati

    Tuttavia, questo risultato appare in linea con la più recente storia elettorale del capoluogo ligure. Dopo le europee del 2014, quando il PD toccò il proprio massimo (raccogliendo il 44,6%), e le tre forze del centrodestra insieme non raggiungevano il 17% (peraltro in elezioni con affluenza bassa, e quindi con un totale di voti raccolti di poco superiore a 45.000), si è assistito a un progressivo smottamento dell’elettorato di centrosinistra, e a una parallela crescita delle forze di centrodestra. Già l’anno successivo, le elezioni regionali vinte da Toti su Paita, dopo la sconfitta di Cofferati alle primarie e la candidatura di Pastorino a sinistra della Paita, segnarono un primo, forte campanello d’allarme per la tenuta del consenso di Renzi, e il successo della sua strategia politica di conquista del centro nella convinzione che “lì si vincano le elezioni”.  Nel capoluogo, il centrosinistra perdeva 15 punti rispetto alle europee, il centrodestra riusciva a più che raddoppiare i propri voti, conquistando oltre un terzo delle preferenze. Così, la Paita si ritrovava oltre 5 punti dietro Toti a Genova: addirittura terza, dietro anche al M5S, che si manteneva stabile rispetto alle Europee (attorno al 28%), qualche punto sotto il risultato delle politiche.

    L’anno scorso, poi, a cadere è stato il comune di Genova stesso, che per tutta la Seconda Repubblica era stato governato da amministrazioni di centrosinistra. Il candidato del centrodestra, Bucci, con il 38,8%, era davanti di 4 punti sul rivale di centrosinistra già al primo turno, e aveva poi vinto con 10 punti di margine al ballottaggio. Insomma, il risultato del 2018 si inquadra perfettamente con quanto avvenuto nel corso della XVII legislatura, e non può essere, per quanto storico, considerato inatteso. Per capire meglio cosa sia avvenuto nell’elettorato nel corso di questi cinque anni, abbiamo stimato i flussi elettorali a Genova fra politiche 2013 e 2018.

    Poco meno della metà degli elettori di Bersani nel ’13 hanno rivotato centrosinistra quest’anno (Tab. 2). Un ottavo ha scelto LeU: si tratta della più alta capacità di attrazione esercitata sull’elettorato bersaniano 2013 da LeU fra tutti i casi analizzati (esattamente pari a quello padovano): ogni 33 elettori genovesi ve ne è uno che ha votato LeU dopo avere votato centrosinistra nel 2013. La presenza di candidati uninominali particolarmente noti (quali Cofferati e Pastorino), così come la più antica nascita di una sinistra ex PD a sinistra del PD di Renzi (che, come detto, in Liguria ha ormai tre anni di età, essendo nata alle regionali 2015), possono avere influito su questo relativamente buon risultato di LeU. Tuttavia, si segnalano due flussi in uscita dal centrosinistra 2013 che sono numericamente più rilevanti: quello verso il non voto (13%) e, ancor di più, quello verso il M5S (17% dei voti 2013 di Bersani, il 4,3% dell’elettorato, ovvero un genovese su 23). Vi è poi una ulteriore fuoriuscita che risulta statisticamente significativa: quella verso la Lega, pari a un elettore ogni 77.

    L’elettorato 2013 del M5S è stato molto più compatto: il 72% del totale ha confermato la propria scelta; il 18%, ha invece defezionato, preferendo la Lega. Questo flusso è esattamente tanto numeroso quanto quello da Bersani al Movimento: un elettore ogni 23. Un genovese su 80 si è invece astenuto nel ’18 dopo avere votato M5S nel ’13.

    Il quadro del centrodestra è straordinariamente simile a quello osservato in altri casi che abbiamo analizzato. Appare sostanzialmente spaccato a metà fra Lega e Fi, ciascuna scelta dal 44% del totale; con poi i consueti flussi significativi verso il non voto, e quello sorprendente verso il centrosinistra 2018 (emerso in tutte le città analizzate fin qui). Quest’ultimo flusso vale un genovese su 98.

    A Genova, infine, quasi il 60% dell’elettorato di Monti ha votato per le forze di centrosinistra il 4 marzo, mentre poco più di un terzo ha scelto i partiti del centrodestra. Ovvero, per ogni elettore montiano che ha votato a destra, ce n’è uno e mezzo che ha scelto il centrosinistra.

    Tab. 2 – Flussi elettorali a Genova fra politiche 2013 e 2018, destinazioni (clicca per ingrandire)dest

    Alla luce di questi spostamenti di elettori, come sono formati oggi gli elettorati dei diversi partiti? La risposta è mostrata nella Tabella 3. La composizione del centrosinistra 2018 appare di nuovo molto simile a quella evidenziata a Rimini, Padova e Torino: circa il 70% da Bersani ’13, tra un quarto e un quinto da Monti, e una piccola ma non irrilevante quota dal centrodestra 2013 (qui il 7%). Solo a Reggio Calabria e Prato gli ingressi da Monti pesano significativamente meno (un decimo circa), e gli elettori fedeli di più (attorno all’80%).

    A Genova il M5S mostra un tasso di ricambio interno al proprio elettorato piuttosto basso se comparato con gli altri casi fin qui analizzati: oltre i tre quarti dei suoi elettori ’18 lo erano già nel ’13. Il resto erano elettori di Bersani. Solo a Rimini la quota di elettori fedeli era ancora più pesante sul totale (l’80%).

    Meno dei due terzi dell’elettorato di Forza Italia aveva già votato Berlusconi cinque anni fa. Il resto, nonostante l’arretramento del partito guidato da Berlusconi, sono nuovi elettori. Vengono, in parti uguali, da Monti e dal non voto. Questa è l’unica rimobilitazione di astenuti 2013 statisticamente significativa in tutta Genova. Anche il bacino 2018 della Lega mette insieme elettori con tre diverse provenienze. Il 40% circa aveva votato Berlusconi nel’13, una quota identica aveva invece scelto il M5S, infine oltre un decimo erano elettori di Bersani. Di nuovo, si tratta di una composizione che abbiamo già visto: a Torino e Rimini, anche se in nel primo caso gli elettori moderati erano un po’ di più (il 50%), e nel secondo la quota di elettori bersaniani era più rilevante (un quinto).

    Tab. 3 – Flussi elettorali a Genova fra politiche 2013 e 2018, provenienze (clicca per ingrandire)prov

    Il diagramma di Sankey visibile sotto (Figura 1) mostra in forma grafica le nostre stime dei flussi elettorali a Genova. A sinistra sono riportati bacini elettorali del 2013, a sinistra quelli del 2018. Le diverse bande, colorate in base al bacino 2013 di provenienza, mostrano le transizioni dai bacini 2013 a quelli 2018. L’altezza di ciascuna banda, così come quella dei rettangoli dei diversi bacini elettorali all’estrema sinistra e destra, è proporzionale al relativo peso sul totale degli elettori. (https://www.jonesaroundtheworld.com) La Figura 1 permette di mettere in evidenza quattro flussi che, curiosamente, sono esattamente di pari consistenza (ovvero un elettore su 23): i due rami blu in cui si divide il bacino 2013 di Berlusconi, la banda rossa da Bersani al M5S ’18, e quella gialla dal M5S ’13 alla Lega di Salvini.

    Fig. 1 – Flussi elettorali a Genova fra politiche 2013 (sinistra) e 2018 (destra), percentuali sull’intero elettorato (clicca per ingrandire)sankey

    Riferimenti bibliografici

    Carrieri, L. (2017), ‘Scosse telluriche a Genova: lo storico sorpasso del centrodestra sul centrosinistra. I risultati e i flussi elettorali’, in Paparo, A. (a cura di), La rinascita del centrodestra? Le elezioni comunali 2017, Dossier CISE(9), Roma, Centro Italiano di Studi Elettorali, pp. 141-148.

    Carrieri, L. , e Paparo, A. (2017), ‘I flussi elettorali a Genova: Bucci vince grazie ai voti 2013 del M5s’, in Paparo, A. (a cura di), La rinascita del centrodestra? Le elezioni comunali 2017, Dossier CISE(9), Roma, Centro Italiano di Studi Elettorali, pp. 231-236.

    De Sio, L. (2015), ‘Il Renzi che vince e il Renzi che “non vince”’, in Paparo, A., e Cataldi, M. (a cura di), Dopo la luna di miele: Le elezioni comunali e regionali fra autunno 2014 e primavera 2015, Dossier CISE(7), Roma, Centro Italiano di Studi Elettorali, pp. 309-312.

    Goodman, L. A. (1953), Ecological regression and behavior of individual, «American Sociological Review», 18, pp. 663-664.

    Marino, B.  (2015), ‘Sorpresa Toti, la Liguria torna a destra dopo 10 anni’, in Paparo, A., e Cataldi, M. (a cura di), Dopo la luna di miele: Le elezioni comunali e regionali fra autunno 2014 e primavera 2015, Dossier CISE(7), Roma, Centro Italiano di Studi Elettorali, pp. 253-258.

    Paparo, A., e Cataldi, M. (2015), ‘Conclusioni’, in Paparo, A., e Cataldi, M. (a cura di), Dopo la luna di miele: Le elezioni comunali e regionali fra autunno 2014 e primavera 2015, Dossier CISE(7), Roma, Centro Italiano di Studi Elettorali, pp. 313-316.

    Schadee, H.M.A., e Corbetta, P.G., (1984), Metodi e modelli di analisi dei dati elettorali, Bologna, Il Mulino


    NOTA METODOLOGICA

    I flussi presentati sono stati calcolati applicando il modello di Goodman alle 653 sezioni elettorali del comune di Genova. Abbiamo eliminato le sezioni con meno di 100 elettori (in ognuna delle due elezioni considerate nell’analisi), nonché quelle che hanno registrato un tasso di variazione superiore al 15% nel numero di elettori iscritti (sia in aumento che in diminuzione). Si tratta di 19 unità in tutto. Abbiamo effettuato stime separate in ciascuno dei tre collegi uninominali della Camera in cui è diviso il comune di Genova, poi riaggregate nelle matrici cittadine presentate qui. Il valore medio dell’indice VR nelle tre analisi è pari a 13,3.


    [1] Ringraziamo l’Ufficio Elettorale del comune di Genova per averci messo a disposizione i dati in questione.

  • Anche a Padova la Lega ruba a Berlusconi e M5S (stabile con gli ingressi da Bersani)

    Anche a Padova la Lega ruba a Berlusconi e M5S (stabile con gli ingressi da Bersani)

    I risultati del voto del 4 marzo a Padova (Tabella 1) messi a confronto con quelli di cinque anni prima ci mostrano la decisa avanzata del centrodestra che dal 25% del 2013 balza al 37,3% attuale. Una crescita in gran parte dovuta al risultato della Lega che raggiunge il proprio massimo storico in una elezione nazionale migliorando di gran lunga il 15,7% ottenuto nella città patavina nel 2008. Assieme a quello di Giorgia Meloni, la Lega è l’unico partito di quelli già presenti nel 2013 ad accrescere i propri voti anche in termini assoluti. Restando nel centrodestra Forza Italia dimezza i consensi in termini assoluti e passa in percentuale dal 17 al 10%.

    Va un po’ meglio al PD che scende dal 28 al 24,5% lasciando sul terreno poco più di 8.000 voti. Ma la coalizione di centrosinistra, grazie al buon risultato degli alleati del maggior partito della coalizione, mantiene la quota peraltro non entusiasmante di consensi raggiunta cinque anni prima. Il Movimento 5 stelle subisce solo una lieve flessione restando un paio di decimali sotto il 20% (3.000 voti in meno).

    A prima vista sembrerebbe di essere di fronte ad una situazione di eccezionale stabilità con i voti che furono appannaggio della coalizione di Mario Monti convergere sul centrodestra. Ma lo sguardo ai semplici saldi di voto, analogamente a quanto osservato a Torino ci condurrebbe fuori strada. L’analisi dei flussi effettuati utilizzando il modello di Goodman ci rivela una situazione diversa caratterizzata da una ben più alta mobilità.

    Tab. 1 – Risultati elettorali a Padova, 2013 e 2018risultati

    Iniziamo dal centrosinistra. Ancora l’anno scorso, in occasione delle comunali, l’elettorato 2013 di questo schieramento si era dimostrato davvero molto fedele. Al primo turno si era diviso fra i due candidati di area (con una porzione significativa verso il non voto, ma senza defezioni in altre direzioni); per poi votare compattamente Giordani al ballottaggio, garantendogli i voti per conquistare il mandato da sindaco. Quest’anno il quadro è assai diverso. La fedeltà degli elettori della coalizione di Bersani alla lista del PD e ai suoi alleati raggiunge a malapena il 60% (Tab. 2). E il flusso più consistente in uscita è quello che muove in direzione del Movimento cinque stelle a cui cede quasi un quinto dei voti del 2013. Un’altra perdita significativa, superiore al 10% dei voti 2013, è quella verso gli scissionisti di LeU (12%). D’altra parte il centrosinistra beneficia in ingresso della maggior parte dei voti degli elettori orfani dell’ex premier Monti: il 60% dei quali sceglie il centrosinistra e in particolare il PD (43%). In conclusione il centrosinistra si conferma sullo stesso livello di consensi del 2013 pur cedendo quasi un terzo dei voti di allora, essenzialmente grazie ai voti che sono giunti dall’ex polo centrista.

    Nel centrodestra invece la fedeltà di voto degli elettori del 2013 è stata molto più alta: oltre l’85% ha confermato questa scelta premiando in modo particolare il partito di Salvini che in quattro anni, analogamente a quanto accaduto a livello nazionale, più che quadruplica i propri voti. La Lega, inoltre, è l’unico partito che beneficia di un significativo flusso di voti, pari a poco meno di un terzo (Tab. 3), in entrata da elettori del M5S del 2013.

    Il Movimento guidato da Di Maio mantiene grosso modo gli stessi voti del 2013 perdendo circa un punto percentuale (dal 21,7 al 20,8%) ma cambiando in parte la sua composizione interna. Rispetto a cinque anni fa, abbiamo detto cede il 30% degli elettori alla Lega guadagnando un percentuale quasi del tutto analoga da elettori in uscita dalla colazione di Bersani.

    Infine, per quanto riguarda l’interscambio con il bacino del non voto rileviamo, per quanto attiene alla rimobilitazione, flussi tutto sommato trascurabili mentre sul versante opposto si osserva come tutte le forze abbiano ceduto qualcosa all’astensione: si va dal 10% della coalizione di Monti al 4% di quella di Bersani.

    Tab. 2 – Flussi elettorali a Padova fra politiche 2013 e 2018, destinazioni (clicca per ingrandire)dest

    Tab. 3 – Flussi elettorali a Padova fra politiche 2013 e 2018, provenienze (clicca per ingrandire)prov

    Il diagramma di Sankey visibile sotto (Figura 1) mostra in forma grafica le nostre stime dei flussi elettorali a Padova. A sinistra sono riportati bacini elettorali del 2013, a sinistra quelli del 2018. Le diverse bande, colorate in base al bacino 2013 di provenienza, mostrano le transizioni dai bacini 2013 a quelli 2018. L’altezza di ciascuna banda, così come quella dei rettangoli dei diversi bacini elettorali all’estrema sinistra e destra, è proporzionale al relativo peso sul totale degli elettori. Dal grafico possiamo ben notare la dispersione dei voti della coalizione di Bersani in svariate direzioni, la principale delle quali conduce al Movimento fondato da Beppe Grillo. Sono inoltre ben visibili altri due flussi già descritti in precedenza: quello in uscita dal M5S che va a premiare la Lega e quello che da Monti finisce nelle fila del PD. Infine si osserva il notevole movimento intra-coalizionale nel centrodestra che ha condotta al ribaltamento dei rapporti di forza tra Lega e FI. Nel 2013 il PDL raccoglieva infatti i due terzi dei voti della coalizione, oggi è il partito di Salvini ad avere un peso analogo.

    Fig. 1 – Flussi elettorali a Padova fra politiche 2013 (sinistra) e 2018 (destra), percentuali sull’intero elettorato (clicca per ingrandire)sankey

    Riferimenti bibliografici

    Cataldi, M. (2017), ‘A Padova sfida aperta per il ballottaggio: i risultati e i flussi elettorali’, in Paparo, A. (a cura di), La rinascita del centrodestra? Le elezioni comunali 2017, Dossier CISE(9), Roma, Centro Italiano di Studi Elettorali, pp. 119-124.

    Cataldi, M., e Paparo, A. (2017), ‘I flussi elettorali a Padova: Giordani ricompatta il centrosinistra e conquista il comune’, in Paparo, A. (a cura di), La rinascita del centrodestra? Le elezioni comunali 2017, Dossier CISE(9), Roma, Centro Italiano di Studi Elettorali, pp. 219-224.

    Goodman, L. A. (1953), Ecological regression and behavior of individual, «American Sociological Review», 18, pp. 663-664.

    Schadee, H.M.A., e Corbetta, P.G. (1984), Metodi e modelli di analisi dei dati elettorali, Bologna, Il Mulino.


    NOTA METODOLOGICA

    I flussi presentati sono stati calcolati applicando il modello di Goodman alle 206 sezioni elettorali del comune di Padova. Abbiamo eliminato le sezioni con meno di 100 elettori (in ognuna delle due elezioni considerate nell’analisi), nonché quelle che hanno registrato un tasso di variazione superiore al 15% nel numero di elettori iscritti (sia in aumento che in diminuzione). Si tratta di 8 unità in tutto. Il valore dell’indice VR è risultato pari a 17,6.

  • A Reggio Calabria il M5S avanza di 10 punti grazie a rimobilitazione-record dal non voto

    A Reggio Calabria il M5S avanza di 10 punti grazie a rimobilitazione-record dal non voto

    Come abbiamo visto, il M5S ha fatto segnare una vera e propria esplosione al Sud, crescendo di 15 punti e vincendo quasi tutti i collegi. In questo articolo analizziamo i risultati elettorali in uno dei più popolosi comuni meridionali: Reggio Calabria. Il caso reggino non fa eccezione rispetto al resto del Sud, anche se l’avanzata del M5S è limitata a soli 10 punti percentuali. Si tratta comunque di una crescita di un terzo dei propri voti assoluti (Tab. 1). Simmetrico alla crescita del M5S è l’arretramento del centrosinistra, che ha perso un numero di voti pari a un terzo dei propri voti totali nel 2013. Il centrodestra guadagna circa 4 punti percentuali, conquistando un terzo dei voti totali, segnando una crescita sui voti assoluti pari a poco più del 10%.

    Quali movimenti di elettori hanno generato questo risultato? Al centronord, abbiamo osservato forti ingressi verso il M5S dal bacino di Bersani 2013, con un parallelo esodo dal Movimento verso la Lega. Basterebbe ipotizzare che sia venuto meno quest’ultimo flusso, e accentuare il tasso di defezione da Bersani a M5S, perché si ottenga, partendo dal risultato del 2013, quello del 2018.

    Tab. 1 – Risultati elettorali a Reggio Calabria, 2013 e 2018risultati

    Ma sarà andata davvero così? Per verificarlo, abbiamo stimato i flussi elettorali fra politiche 2013 e 2018. Come possiamo notare già dalla Tabella 2, che riporta le scelte in queste elezioni dei diversi elettorati del 2013, in realtà i movimenti di elettori sono stati ben più numerosi e rilevanti.

    Il centrosinistra ha smarrito per strada un terzo dei suoi voti 2013 verso l’astensione, mentre un decimo ha seguito l’allora leader Bersani, votando per LeU. Una metà è invece rimasta fedele. Sorprendentemente, e contrariamente a quanto osservato nei comuni centrosettentrionali analizzati, non si registra alcun flusso verso il M5S.

    Fedeltà un po’ più alta per il centrodestra, comunque inferiore complessivamente ai due terzi, con una forte defezione verso il non voto: circa un quarto dell’elettorato della coalizione nel 2013. Come a Torino e Prato, si segnala un flusso davvero esiguo, ma statisticamente significativo, verso il centrosinistra (un elettore reggino su 70).

    Il M5S è la forza politica con il tasso di fedeltà più elevato: oltre l’80% dei suoi elettori 2013 lo ha rivotato. Si registrano lievi fuoriuscite verso i partiti non mainstream del centrodestra, che però appaiono numericamente davvero modeste (un elettore ogni 65), specie se comparate con quelle osservate verso la Lega sia al Nord che nella Zona Rossa.

    L’elettorato centrista che nel 2013 votò Monti appare sparso in molteplici direzioni, con flussi significativi verso il PD, FDI, e formazioni minori. Complessivamente, comunque, qui sono più quelli che hanno scelto il centrodestra (oltre un terzo), che non il centrosinistra (circa un quarto).

    L’ultimo elemento della Tabella 2 che dobbiamo evidenziare riguarda il comportamento di quanti non si erano recati alle urne nel 2013. Si osserva infatti una straordinaria rimobilitazione, pari a poco di più di un quarto degli astenuti totali, ovvero un oltre un decimo dell’elettorato complessivo. In particolare, ad avvantaggiarsene sono stati il M5S, scelto da un sesto degli astenuti 2013 (ovvero un elettore ogni 14), e FI, con un elettore reggino su 33 che si è astenuto nel ’13 e ha votato il partito di Berlusconi il 4 marzo.

    Tab. 2 – Flussi elettorali a Reggio Calabria fra politiche 2013 e 2018, destinazioni (clicca per ingrandire)dest

    Si tratta peraltro di un fenomeno già osservato alle comunali di 4 anni fa, quando addirittura oltre un terzo degli astenuti delle politiche non disertò nuovamente le urne. In particolare, i 70% di questi scelsero allora il candidato sindaco del centrosinistra Falcomatà, risultando decisivi per la sua vittoria al primo turno. Sembra proprio che a Reggio Calabria si verifichino molto forti fenomeni di astensionismo intermittente (in un contesto in cui la capacità di mobilitazione dei partiti è evidentemente piuttosto modesta), con una quota notevole di elettori che valuta di volta in volta se votare o meno, premiando e punendo, asimmetricamente, i diversi attori in campo. Basti rilevare come nelle due elezioni considerate in questa analisi l’astensione si sia mantenuta sostanzialmente invariata, pari in entrambe le occasioni al 37% circa; ma solo il 27% degli elettori si sia astenuto in entrambe, mentre l’astensionismo intermittente fra politiche ’13 e ’18 abbia coinvolto il 10% dell’elettorato reggino, come accennato sopra.

    Veniamo ora all’analisi delle provenienze, ovvero a come sono composti oggi, in termini di bacini elettorali 2013, gli elettorati delle diverse forze politiche (Tab. 3). Cominciamo da quello più numeroso, nonché quello per la cui composizione maggiore è l’interesse di ricerca: il M5S. Ebbene, anche a Reggio Calabria, si osserva un notevole ricambio della base elettorale del Movimento, come inevitabile quando si cresce di oltre il 30%. Nel complesso, la quota di nuovi elettori sul totale vale il 40%, con un terzo in entrata dal bacino degli astenuti 2013, e un flusso significativo anche dalle forze minori di cinque anni fa. Nessun ingresso, invece, dal centrosinistra 2013.

    Il pattern è molto simile per FI, che, seppur in netto calo rispetto al PDL ’13, prende da lì solo il 60% dei propri voti odierni, con poco meno di un terzo in entrata dal non voto, e un decimo da forze minori del 2013.

    Il PD di oggi ottiene l’80% dei suoi voti dal bacino 2013 di Bersani, con un decimo in entrata da Monti, e una quota leggermente inferiore, ma non irrilevante, dall’elettorato 2013 del centrodestra. Quadro esattamente identico per LeU.

    La Lega, che anche a Reggio è avanzata molto, ma assai meno che altrove (e comunque al di sotto della media del Sud), prende la metà dei propri voti dal bacino 2013 del centrodestra, un quarto dal M5S, un sesto dal non voto, e un ottavo addirittura da Monti. FDI presenta una composizione simile, ma prende meno dal centrodestra ’13 (un terzo), niente dal non voto, e di più da Monti (36%).

    Tab. 3 – Flussi elettorali a Reggio Calabria fra politiche 2013 e 2018, provenienze (clicca per ingrandire)prov

    Il diagramma di Sankey visibile sotto (Figura 1) mostra in forma grafica le nostre stime dei flussi elettorali a Reggio Calabria. A sinistra sono riportati bacini elettorali del 2013, a sinistra quelli del 2018. Le diverse bande, colorate in base al bacino 2013 di provenienza, mostrano le transizioni dai bacini 2013 a quelli 2018. L’altezza di ciascuna banda, così come quella dei rettangoli dei diversi bacini elettorali all’estrema sinistra e destra, è proporzionale al relativo peso sul totale degli elettori. Osservando il diagramma, si può facilmente accorgersi dei forti flussi dalle coalizioni principali del ’13 verso il non voto, così come della rilevantissima rimobilitazione di astenuti del ’13 da parte del M5S e, in misura minore, di FI.

    Fig. 1 – Flussi elettorali a Reggio Calabria fra politiche 2013 (sinistra) e 2018 (destra), percentuali sull’intero elettorato (clicca per ingrandire)sankey

    Sintetizzando le principali evidenze emerse dalla nostra analisi dei flussi elettorali a Reggio Calabria, dobbiamo evidenziare come l’avanzata di 10 punti del M5S sia originata da una fortissima rimobilitazione di astenuti di cinque anni fa, mentre, sorprendentemente, non si registra alcuna entrata dal centrosinistra.

    Riferimenti bibliografici

    Cataldi, M., e Marino, B. (2015), ‘L’analisi dei flussi elettorali alle comunali di Reggio Calabria’, in Paparo, A., e Cataldi, M. (a cura di), Dopo la luna di miele: Le elezioni comunali e regionali fra autunno 2014 e primavera 2015, Dossier CISE(7), Roma, Centro Italiano di Studi Elettorali, pp. 17-22.

    Goodman, L. A. (1953), Ecological regression and behavior of individual, «American Sociological Review», 18, pp. 663-664.

    Schadee, H.M.A., e Corbetta, P.G. (1984), Metodi e modelli di analisi dei dati elettorali, Bologna, Il Mulino.


    NOTA METODOLOGICA

    I flussi presentati sono stati calcolati applicando il modello di Goodman alle 218 sezioni elettorali del comune di Reggio Calabria. Abbiamo eliminato le sezioni con meno di 100 elettori (in ognuna delle due elezioni considerate nell’analisi), nonché quelle che hanno registrato un tasso di variazione superiore al 15% nel numero di elettori iscritti (sia in aumento che in diminuzione). Si tratta di 25 unità in tutto. Il valore dell’indice VR è risultato pari a 8,8.

  • A Prato i voti di Monti non premiano Renzi, e il centrosinistra cede al centrodestra

    A Prato i voti di Monti non premiano Renzi, e il centrosinistra cede al centrodestra

    E così il centrodestra ha conquistato Prato. Poco più di un terzo dei voti è stato sufficiente ai suoi candidati nei collegi uninominali per risultare vincitori sia alla Camera che al Senato. Certo, i risultati elettorali osservati in questi anni avevano ormai lasciato pochi dubbi circa la scarsa tenuta del centrosinistra nelle regioni rosse, e che dunque nessun risultato apparisse scontato. In particolare, pensiamo alle sconfitte del centrosinistra a marchio PD nelle comunali di Sesto Fiorentino e Pistoia. Tuttavia, a Sesto a spuntarla era stato un candidato di sinistra, alternativo al partito di Renzi, mentre a Pistoia il centrodestra aveva festeggiato una vittoria storica, ma solo in virtù del ballottaggio, mentre al primo turno il centrosinistra era stata comunque la coalizione di maggioranza relativa, con 10 punti di vantaggio.

    Eppure, al momento fatidico delle elezioni politiche, in cui inevitabilmente si precipitano i fenomeni, qui come in molti altri collegi della Zona Rossa (e come nel suo aggregato complessivo, del resto), il centrosinistra si ritrova dietro al centrodestra. La caduta di uno collegio così prossimo alla capitale del Renzismo non può non meritare un approfondimento specifico. È precisamente quanto facciamo in questo articolo.

    Per comprendere il risultato del 4 marzo, è necessario collocarlo nella storia elettorale del comune di Prato. Le forze progressiste hanno sempre avuto almeno la maggioranza relativa dei voti, spesso quella assoluta. Il solo PCI si è mantenuto fra il 43 e il 52% dei voti dall’inaugurazione del centrosinistra (1963), fino al suo scioglimento alla Bolognina. E nella Seconda Repubblica, le coalizioni di centrosinistra hanno sempre raccolto la maggioranza assoluta dei voti, fino al 2013, quando Bersani si fermò al 40,8% (Tab. 1), comunque primo con un margine di 17 punti sulla seconda coalizione (il M5S), e oltre 22 su quella che lo avrebbe invece sconfitto cinque anni dopo – il centrodestra. Oggi, la coalizione di centrosinistra è scesa sotto un terzo dei voti validi totali, avendo raccolto il 33,2% (Tab. 1).

    Solo nel 1992, l’allora PDS guidato da Occhetto ottenne un risultato simile a quello del centrosinistra quest’anno: il 31,7%, che comunque valeva per essere il primo partito, con oltre 10 punti di margine sul secondo. Inoltre, c’erano i voti di un partito indiscutibilmente amico, l’allora Rifondazione Comunista (7,5%).

    La Tabella 1 mostra anche che il M5S si è mantenuto stabile come risultato percentuale sui voti validi (poco meno del 25%); mentre la Lega è letteralmente esplosa, passando da meno dell’1% a oltre un sesto dei voti validi, con una parallela, ma assai meno rilevante numericamente, contrazione per il partito di Berlusconi. Così, il centrodestra nel suo complesso avanza di oltre 13 punti, aumentando del 60% i voti raccolti in percentuale sui validi, ma anche del 54% sui voti assoluti.

    Tab. 1 – Risultati elettorali a Prato, 2013 e 2018risultati

    Per comprendere che cosa sia avvenuto nell’elettorato pratese in questi cinque anni, e come si sia venuto determinando il risultato osservato il 4 marzo, abbiamo stimato i flussi elettorali fra politiche 2013 e quelle di quest’anno.

    Cominciamo dal vedere che scelte abbiano effettuato quest’anno i diversi bacini del 2013. Il più numeroso, quello che aveva votato Bersani, ha confermato la propria scelta di centrosinistra in misura di 6 su 10. Quasi un quinto hanno invece scelto il M5S, cioè un elettore pratese su 17. Questo è il più grosso flusso non fedele di tutta la nostra analisi. Vi è poi una quota pari alla metà circa di quest’ultima che ha disertato le urne. Appena uno su 16 ha votato LeU: comunque si tratta di un flusso significativo, che vale un elettore pratese ogni 50.

    Il M5S, che pure abbiamo visto stabile come risultato percentuale, conferma anche a Prato la propria natura camaleontica già evidenziata a Torino. Infatti, la nostra analisi evidenzia come appena la metà degli elettori 2013 del Movimento gli sia stato fedele cinque anni dopo. Un quarto ha defezionato in direzione della Lega di Salvini, ovvero un pratese ogni 21;mentre un ottavo ha preferito non votare. Nessuna altra fuoriuscita è statisticamente significativa.

    La coalizione di centrodestra, comprensibilmente alla luce della sua avanzata, fa segnare tassi di fedeltà assai più alti degli altri due poli. Complessivamente, oltre il 90% degli elettori 2013 di Berlusconi hanno scelto uno dei quattro partiti del centrodestra di quest’anno. Guardando al derby interno fra FI e Lega, proprio come a Torino, gli elettori 2013 del centrodestra hanno subito il richiamo delle due sirene in misura eguale. Così, i partiti di Salvini e Berlusconi raccolgono ciascuno il 40% dei voti 2013 del centrodestra, con il 10% verso FDI, anch’esso in forte espansione. Se teniamo conto che a Prato nel 2013 l’85% dei voti di centrodestra erano voti del PDL, questa divisione a metà dell’elettorato moderato fra Lega e FI comporta un notevole travaso di voti dal partito di Berlusconi a quello di Salvini – che vale un elettore su 18. Interessante rilevare come si registri un flusso significativo, pari a un elettore pratese ogni 100, in uscita dal centrodestra 2013 verso il centrosinistra 2018.

    Quanto a quel 7% di elettorato pratese che nel 2013 aveva scelto Monti, quest’anno hanno scelto centrodestra e centrosinistra in misura pari: poco più del 40% verso entrambi. Questa è una grossa differenza rispetto al caso torinese, in cui invece gli elettori centristi avevano preferito il centrosinistra in ragione di due e mezzo a uno.

    Tab. 2 – Flussi elettorali a Prato fra politiche 2013 e 2018, destinazioni (clicca per ingrandire)dest

    Guardando alla composizione in termini di elettorati 2013 delle diverse forze politiche in queste elezioni (Tab. 3), abbiamo una riprova della volatilità elettorale emersa a Prato. Che però non è stata omogenea per i diversi attori. I due partiti mainstream, PD e FI, ottengono infatti entrambi circa l’80% dei propri voti dai propri elettori 2013. Entrambi, poi, raccolgono attorno a un decimo dal bacino 2013 di Monti. Il PD fa infine registrare un ingresso significativo, ma tutt’altro che decisivo, dal centrodestra.

    Ben più marcata la volatilità per il M5S, che ha cambiato pelle a Prato ancor più che a Torino. Lì, infatti, la quota di nuovi elettori sul totale dei voti 2018 al Movimento valeva circa un terzo. Qui cresce di un ulteriore 50%, arrivando alla metà dei voti complessivi. Identiche sono invece le provenienze: da Bersani, e in misura minore dall’astensione. A Prato, un elettore pentastellato di oggi su tre aveva votato Bersani nel 2013; uno su sei si era astenuto. Questa è l’unica rimobilitazione di astenuti del 2013 fatta segnare a Prato da tutti i partiti, e ha un peso rilevante – un elettore ogni 37.

    La Lega ha moltiplicato per 20 i propri voti, quindi inevitabilmente ha oggi una base elettorale del tutto inedita. La Tabella 3 ci consente di comprendere come sia composta. Per una metà si tratta di elettori 2013 di Berlusconi, per il 40% di elettori 2013 del M5S. Si tratta di proporzioni straordinariamente simili a quelle osservate nell’analisi del caso torinese.

    Tab. 3 – Flussi elettorali a Prato fra politiche 2013 e 2018, provenienze (clicca per ingrandire)prov

    Il diagramma di Sankey visibile sotto (Figura 1) mostra in forma grafica le nostre stime dei flussi elettorali a Prato. A sinistra sono riportati bacini elettorali del 2013, a sinistra quelli del 2018. Le diverse bande, colorate in base al bacino 2013 di provenienza, mostrano le transizioni dai bacini 2013 a quelli 2018. L’altezza di ciascuna banda, così come quella dei rettangoli dei diversi bacini elettorali all’estrema sinistra e destra, è proporzionale al relativo peso sul totale degli elettori. Guardando l’immagine, è possibile immediatamente apprezzare come la Lega di Salvini appaia gialla blu, ovvero formata da elettori 2013 di Berlusconi e Grillo; così come il forte ricambio della base elettorale del M5S, con gli ingressi da Bersani e astenuti.

    Fig. 1 – Flussi elettorali a Prato fra politiche 2013 (sinistra) e 2018 (destra), percentuali sull’intero elettorato (clicca per ingrandire)sankey

    Anche a Prato, quindi, si osserva un forte flusso dal centrosinistra verso il M5S, che a sua volta cede in maniera rilevante a vantaggio della Lega. Anche qui, l’elettorato 2013 del centrodestra, quasi in toto berlusconiano allora, si è spaccato a metà fra Lega e FI. Da rilevare, infine, come anche l’elettorato di Monti si sia diviso in due parti uguali, verso centrodestra e centrosinistra.

    Riferimenti bibliografici

    Goodman, L. A. (1953), Ecological regression and behavior of individual, «American Sociological Review», 18, pp. 663-664.

    Maggini, N., e Paparo, A. (2017), ‘I flussi elettorali a Pistoia: il candidato di centrodestra vince con i voti 2013 di Bersani’, in Paparo, A. (a cura di), La rinascita del centrodestra? Le elezioni comunali 2017, Dossier CISE(9), Roma, Centro Italiano di Studi Elettorali, pp. 243-247.

    Schadee, H.M.A., e Corbetta, P.G. (1984), Metodi e modelli di analisi dei dati elettorali, Bologna, Il Mulino.


    NOTA METODOLOGICA

    I flussi presentati sono stati calcolati applicando il modello di Goodman alle 179 sezioni elettorali del comune di Prato. Abbiamo eliminato le sezioni con meno di 100 elettori (in ognuna delle due elezioni considerate nell’analisi), nonché quelle che hanno registrato un tasso di variazione superiore al 15% nel numero di elettori iscritti (sia in aumento che in diminuzione). Si tratta di 4 unità in tutto. Il valore dell’indice VR è risultato pari a 15,3.

  • I flussi a Torino svelano l’enorme volatilità dietro l’apparente stabilità dei risultati

    I flussi a Torino svelano l’enorme volatilità dietro l’apparente stabilità dei risultati

    Nel contesto del rivoluzionario esito elettorale del 4 marzo, i risultati osservati a Torino si segnalano, in controtendenza, per la loro straordinaria stabilità.

    Come si può osservare nella Tabella 1, il centrosinistra ha mantenuto la palma di prima coalizione, sostanzialmente stabile rispetto a cinque anni fa (-0,5%). Il PD era il primo partito, ed è ancora il primo partito. Certo, in calo di 4 punti, ma nel frattempo c’è stata la scissione dell’allora candidato premier Bersani, tra gli altri. Nel capoluogo piemontese, poi, è stabile anche il M5S, che arretra di un punto e mezzo. Il centrodestra è l’unico dei tre poli a mostrare un netto scostamento rispetto al 2013, facendo segnare una crescita di 10 punti.

    Per ottenere il risultato registrato il 4 marzo, in pratica, è sufficiente ipotizzare che gli elettori di Monti abbiano scelto massicciamente il centrodestra (cinque su sei, con la quota rimanente verso il centrosinistra), insieme a una piccola fuoriuscita dal centrosinistra 2013 verso LeU (pari a due punti e mezzo), e che ogni altro elettore abbia confermato il proprio voto.

    Tab. 1 – Risultati elettorali a Torino, 2013 e 2018risultati

    Ma nel caso torinese, davvero la spiegazione più semplice è da preferirsi? O sotto la cenere si celano dinamiche più complesse, manifestazione di una più profonda instabilità politica nascosta dalla stabilità dei saldi netti?

    Non possiamo dimenticare come a Torino negli ultimi anni si sia verificata una vera a propria trasformazione della base elettorale del PD sotto la segreteria di Renzi, sfociata in una inaspettata crisi elettorale del centrosinistra (De Sio e Cataldi 2016, Paparo e Cataldi 2016). Per continuare a monitorare l’evoluzione della competizione elettorale nel capoluogo piemontese, e rispondere alle domande di ricerca emerse sopra, abbiamo deciso di stimare i flussi elettorali fra politiche 2013 e le elezioni del 4 marzo a Torino. In effetti, la nostra analisi rivela come l’elettorato torinese sia stato molto più volatile di quanto il mero confronto dei risultati aggregati non mostrasse.

    La Tabella 2 mostra come si sono divisi quest’anno, fra le diverse scelte di voto, i bacini elettorali delle scorse politiche. Iniziamo dall’osservare come i tassi di fedeltà, ovvero quegli elettori che confermano la stessa scelta, sono piuttosto bassi. Attorno al 60% per M5S e centrosinistra, una decina di punti più alto per il piuttosto ristretto bacino del centrodestra 2013.

    Dove sono andati a finire questi voti in uscita? Il centrosinistra ha prevedibilmente perso una fetta del proprio elettorato verso gli scissionisti di LeU (un ottavo, ovvero un torinese su trenta), ma una fetta ancor più grande ha scelto di votare il M5S della sindaca Appennino (quasi un sesto, pari a un elettore ogni 26). Ancora una vota ha invece tenuto il muro di Arcore: infatti non si segnalano defezioni particolarmente rilevanti verso il centrodestra. Tuttavia, occorre evidenziare come un torinese su 100 avvia votato Lega quest’anno dopo avere votato Bersani nel ’13.

    Venendo quindi alla coalizione rivale, questa cede poco più di un voto su dieci l’astensione, mentre, sorprendentemente, si registra una defezione significativa, appena poco inferiore, verso il PD di Renzi. Un elettore torinese ogni 64 ha votato centrodestra nel 2013 e PD oggi.

    L’altro dato interessante che si può apprezzare guardando alle destinazioni dell’elettorato di centrodestra riguarda la scelta fra i due principali partiti della coalizione, Lega e FI. Ebbene, i dati mostrano come la scelta abbia spaccato il centrodestra 2013 esattamente a metà, con un terzo verso FI e un terzo verso la Lega, cui si aggiunge l’8% che ha preferito FDI. Considerato come l’elettorato 2013 del centrodestra torinese fosse formato per i tre quarti da elettori dell’allora PDL, ciò significa che si è registrato un forte flusso di voti dal partito di Berlusconi a quello di Salvini, stimabile in un torinese ogni 25.

    Il M5S perde un decimo del proprio elettorato verso l’astensione. La defezione più significativa è però quella verso la Lega: pari a quasi un quarto dell’elettorato pentastellato 2013, cioè un torinese ogni 22. Questo è il più grande flusso in registrato a Torino, ancor più grande di quello da Forza Italia verso il partito di Salvini.

    Vediamo infine come si è comportato il 4 marzo l’elettorato 2013 della coalizione centrista guidata da Monti. Abbiamo aperto questo articolo osservando come i dati aggregati sembrassero indicare un travaso verso il centrodestra. I flussi rivelano che così non è stato, tutt’altro. Nel complesso, due su tre hanno infatti votato centrosinistra, quasi la metà il solo PD; mentre solo un quarto ha votato per partiti del centrodestra. Insomma, il dato che emerge è che il PD di oggi è tanto appetibile per gli elettori 2013 di Bersani quanto lo è per quelli che votarono Monti. Addirittura, se guardiamo al centrosinistra nel suo complesso, questi ultimi lo hanno scelto in misura maggiore (66% contro il 57%). Curioso.

    Tab. 2 – Flussi elettorali a Torino fra politiche 2013 e 2018, destinazioni (clicca per ingrandire)destinazioni

    Se guardiamo alla composizione in termini di bacini 2013 degli odierni elettorati dei diversi partiti (Tab. 3), possiamo ancora una volta notare la grande mobilità elettorale intercorsa in questi cinque anni a Torino. Procedendo in ordine di voti raccolti, il PD, pur arretrando, è fatto per appena i due terzi da elettori 2013 di Bersani. Il resto sono nuovi elettori, provenienti dalle coalizioni di Monti (un quarto circa) e addirittura Berlusconi (poco meno di un decimo). La strategia di avanzata al centro(-destra) perseguita da Renzi sembra quindi avere anche avuto un certo successo. Il problema è che nell’attuarla ha perso quasi la metà dei voti che aveva. A Torino il saldo finale è stato sostanzialmente pari. Altrove, evidentemente, no.

    Anche il M5S è formato per i due terzi da elettori fedeli, mentre quasi un quarto aveva votato Bersani. Una quota significativa proviene poi dal bacino del non voto 2013 (il 7%, ovvero un torinese ogni 100). Pure il Movimento, quindi, sembra avere cambiato pelle, parzialmente ma significativamente, fra 2013 e 2018 – pur avendo mantenuto sostanzialmente stabile il proprio risultato elettorale. Ha infatti subito un ricambio della propria base elettorale quantificabile in un terzo del totale, con uscite verso la Lega di Salvini, e ingressi dal centrosinistra di Bersani e (in misura minore) dal non voto.

    Quanto alla Lega, il suo attuale elettorato a Torino è composto per metà di elettori del centrodestra 2013, due su cinque avevano invece votato per il M5S, mentre poco meno di un decimo il centrosinistra. Venendo infine a Forza Italia, si osserva innanzitutto come, anche per il terzo partito più votato del 2013, la quota di elettori stabili valga i due terzi totale. Un sesto sono elettori 2013 di Monti. Completa il quadro degli ingressi l’altra rimobilitazione significativa dal non voto, oltre quella targata M5S citata sopra.

    Tab. 3 – Flussi elettorali a Torino fra politiche 2013 e 2018, provenienze (clicca per ingrandire)provenienze

    Il diagramma di Sankey visibile sotto (Figura 1) mostra in forma grafica le nostre stime dei flussi elettorali a Torino. A sinistra sono riportati bacini elettorali del 2013, a sinistra quelli del 2018. Le diverse bande, colorate in base al bacino 2013 di provenienza, mostrano le transizioni dai bacini 2013 a quelli 2018. L’altezza di ciascuna banda, così come quella dei rettangoli dei diversi bacini elettorali all’estrema sinistra e destra, è proporzionale al relativo peso sul totale degli elettori. Osservando il grafico, si può, ad esempio, vedere come la Lega di Salvini sia formata da due flussi pressochè identici: quello blu degli elettori 2013 della coalizione di centrodestra, e quello giallo degli elettori 2013 del M5S.

    Fig. 1 – Flussi elettorali a Torino fra politiche 2013 (sinistra) e 2018 (destra), percentuali sull’intero elettorato (clicca per ingrandire)flussi_TO

    Riassumendo in conclusione i principali risultati della nostra indagine qui presentata, possiamo dire come dai flussi elettorali a Torino emergano dei chiari spostamenti di elettori dal centrosinistra 2013 verso il M5S, che però ha perso ancor di più verso la Lega, la quale è anche avanzata molto a scapito di Forza Italia. Infine, l’elettorato di Monti ha preferito nettamente il centrosinistra.

    Riferimenti bibliografici

    Cataldi, M., Emanuele, V., e Paparo, A. (2012). Elettori in movimento nelle Comunali 2011 a Milano, Torino e Napoli. «Quaderni dell’Osservatorio elettorale», 5-43.

    De Sio, L., e Cataldi, M. (2016), ‘Radiografia di una mutazione genetica: i flussi elettorali a Torino’, in Emanuele, V., Maggini, N., e Paparo, A. (a cura di), Cosa succede in città? Le elezioni comunali 2016, Dossier CISE(8), Roma, Centro Italiano di Studi Elettorali, pp. 61-64.

    Goodman, L. A. (1953), Ecological regression and behavior of individual, «American Sociological Review», 18, pp. 663-664.

    Paparo, A., e Cataldi, M. (2016), ‘La mutazione genetica porta all’estinzione? I flussi elettorali fra primo e secondo turno a Torino’, in Emanuele, V., Maggini, N., e Paparo, A. (a cura di), Cosa succede in città? Le elezioni comunali 2016, Dossier CISE(8), Roma, Centro Italiano di Studi Elettorali, pp. 155-158.

    Schadee, H.M.A., e Corbetta, P.G. (1984), Metodi e modelli di analisi dei dati elettorali, Bologna, Il Mulino.


    NOTA METODOLOGICA

    I flussi presentati sono stati calcolati applicando il modello di Goodman alle 919 sezioni elettorali del comune di Torino. Abbiamo eliminato le sezioni con meno di 100 elettori (in ognuna delle due elezioni considerate nell’analisi), nonché quelle che hanno registrato un tasso di variazione superiore al 15% nel numero di elettori iscritti (sia in aumento che in diminuzione). Si tratta di 62 unità in tutto. Abbiamo effettuato analisi separate in ciascuno dei quattro collegi uninominali della Camera, poi riaggregate nelle stime cittadine qui mostrate. Il valore medio dell’indice VR per le quattro analisi è pari a 14,4.

  • E il Senato? Le intenzioni di voto degli over 25

    E il Senato? Le intenzioni di voto degli over 25

    Tutte le analisi effettuate sui dati del maxisondaggio CISE/LUISS/Sole24Ore mostrate finora si concentrano sui possibili esiti elettorali alla Camera. Non possiamo tuttavia dimenticare come, in virtù della vittoria del No il 4 dicembre 2016, continuiamo ad avere un sistema parlamentare con bicameralismo perfetto, in cui il governo deve godere della fiducia di entrambe le Camere – e riceverne una esplicita approvazione in avvio.

    Certo, il legislatore è riuscito quantomeno ad approvare un sistema elettorale omogeneo tra le due Camere. Tuttavia, le possibilità di risultati diversi, se non addirittura maggioranze diverse, non sono state azzerate. Vi sono almeno due ordini di ragioni per le quali è possibile che ciò accada. In primo luogo il fatto che i corpi elettorali per le due assemblee non coincidano. Al Senato, infatti, votano i cittadini con almeno 25 anni di età. Ciò significa che quasi quattro milioni di elettori della Camera non votano al Senato (oltre l’8% del totale).

    Per tutte queste ragioni è interessante indagare le intenzioni di voto, certo alla Camera, ma per i soli rispondenti almeno venticinquenni, che dunque votano al Senato. I risultati sono riportati nella Tabella 1, che riporta anche le intenzioni di voto di tutto il campione (ovvero il possibile esito alla Camera). Come possiamo osservare, non si registrano grandi scostamenti fra le due distribuzioni. Solo la Lega fa segnare un certo, comunque marginale, avanzamento fra gli elettori del Senato: un +0,4, che la porta al 15,1%, appaiata a Forza Italia per la leadership nella coalizione – anche se comunque indietro per uno 0,03%.

    Il Pd fa segnare un lieve aumento (+0,2%), che però sarebbe più che compensato dal calo degli alleati minori di coalizione. Così il centrosinistra segnerebbe nel complesso un leggerissimo calo (-0,1%), esattamente come il M5s. Il centrodestra, al contrario, avanzerebbe di uno 0,3%. Non si rileva alcuna altra variazione. Insomma si segnala una straordinaria somiglianza fra i possibili esiti elettorali fra Camera e Senato.

    Tabella 1 – Le intenzioni di voto di chi vota anche al Senato, confrontate con quelle di tutto l’elettorato (della Camera)senato

    I dati qui mostrati possono apparire abbastanza consolanti: alle molte ragioni per dubitare della governabilità nella prossima legislatura, non sembra aggiungersi quella dovuta ai diversi corpi elettorali fra i due rami del Parlamento.

    Come accennavamo all’inizio, però, vi è (almeno) una seconda possibile fonte di divergenza fra i risultati di Camera e Senato. Questa risiede nella competizione uninominale nei collegi. Come abbiamo visto, ci sono 232 collegi alla Camera. Sono 116 al Senato. Ora, sarebbe azzardato ipotizzare quanto sarà forte l’effetto candidati, che però abbiamo visto essere potenzialmente piuttosto esteso. Quel che ci preme sottolineare, in conclusione, è che quell’effetto dei candidati che in effetti si registrerà sarà separato fra Camera e Senato. Infatti diversi sono, ovviamente, i candidati che gli elettori si troveranno sulle due schede. Quindi, tanto più sarà grande l’effetto candidati, tanto più i risultati fra i due rami del Parlamento potranno differire. In ogni caso, se tale effetto non sarà nullo, rimarrà come una possibile fonte di distonie. Ormai poco più di due settimane ci separano dal fatidico 4 marzo, quando saranno i risultati delle urne a dare le risposte.

    Riferimenti bibliografici

    D’Alimonte, R. (2018), ‘Il maxi-sondaggio CISE-Sole 24 Ore: la maggioranza resta un miraggio’

    De Sio, L. (2018),’Maggioranza lontana alla Camera, e un rischio di effetto-collegi: il maxisondaggio CISE/LUISS/Sole24Ore’

    Emanuele, A. e Paparo, A. (2018), ‘La mappa dei collegi: Sud in bilico con il M5s avanti’

    Maggini, N. (2018), ‘Oltre il voto ai partiti: le insidie dei collegi uninominali’

    Paparo, A. e Cataldi, M. (2016), ‘Il referendum costituzionale 2016: Il fallimento dell’agenda Renzi’, Quaderni dell’Osservatorio Elettorale, 76, pp. 165-190.


    NOTA METODOLOGICA

    Il sondaggio è stato condotto da Demetra nel periodo dal 5 al 14 febbraio 2018. Sono state realizzate 3.889 interviste con metodo CATI (telefonia fissa) e CAMI (telefonia mobile), e 2.107 interviste con metodo CAWI (via internet), per un totale di 6.006 interviste. Il campione, rappresentativo della popolazione elettorale in ciascuna delle tre zone geografiche, è stato stratificato per genere, età e collegio uninominale di residenza. Il margine di errore (a livello fiduciario del 95%) per un campione probabilistico di pari numerosità in riferimento alla popolazione elettorale italiana è di +/- 1,17 punti percentuali. Il campione è stato ponderato per alcune variabili socio-demografiche.

  • Alla ricerca della stabilità perduta: a livello locale domina la volatilità

    Alla ricerca della stabilità perduta: a livello locale domina la volatilità

    Le elezioni comunali del 2017 sono state estremamente rilevanti. Abbiamo già ampiamente presentato e discusso i risultati di coalizioni e partiti, sia in riferimento alle amministrazioni conquistate, che ai voti complessivi ricevuti, con particolare dettaglio per alcune importanti città.

    C’è ancora un tema che rimane da affrontare: la stabilità (o meno) del colore politico delle amministrazioni locali. Come sappiamo, sono stati 160 i comuni superiori al voto, e 159 hanno eletto un sindaco[1]. Per 11 comuni, però, queste comunali 2017 erano le prime in cui erano superiori e quindi svolte con relativo sistema elettorale. Eliminando questi 11 casi, abbiamo un campione di 148 comuni che ha votato nel 2017, era superiore già alle precedenti comunali, ed ha eletto un sindaco. Per questi comuni è dunque possibile confrontare la coalizione a sostegno del sindaco eletto quest’anno con quella della passata legislatura comunale[2].

    Come possiamo osservare nella Tabella 1, quasi i due terzi dei comuni ha cambiato il colore politico della propria amministrazione cittadina. Si tratta di un valore straordinariamente simile a quello riscontrato cinque anni fa, quando si svolsero le precedenti comunali per la stragrande maggioranza dei comuni considerati.

    Per la precisione, sono 52 i comuni con una continuità nella coalizione a sostengo del sindaco eletto, contro i 96 che invece hanno cambiato coalizione al governo. La grande instabilità è confermata nelle tre zone geopolitiche del nostro paese, anche se si segnala una certa differenza fra centro-nord e sud. Nelle regioni a sud della Zona Rossa, la percentuale di comuni stabili politicamente scende al 30%, mentre al nord e nelle quattro regioni rosse si attesta attorno al 40%.

    Tab. 1 – Stabilità delle amministrazioni comunali per zona geopolitica nei comuni superiori da almeno due elezioni comunalistab_by_zona

    Guardiamo ora alla stabilità in base al diverso colore politico delle amministrazioni uscenti (Tabella 2). Iniziando dai due ex poli del bipolarismo italiano (il centrodestra targato Berlusconi e il centrosinistra del Pd), possiamo osservare come entrambi abbiano mantenuto poco meno del 40% delle amministrazioni uscenti.

    In particolare, coalizioni contenenti il Pd avevano vinto 76 dei 148 comuni considerati e ne hanno mantenuti 30 (ovvero il 39,5%). Sono addirittura meno dei 31 conquistati da coalizioni di destra (con o senza Fi, 27 e 4 rispettivamente). Ve ne sono poi 5 passati al M5s, 8 a coalizioni civiche, mentre solo 2, equamente divisi, sono andati ai due poli più prossimi, il centro e la sinistra alternativa al Pd (Tricase e Melito di Napoli rispettivamente).

    Coalizioni contenenti il partito di Berlusconi (Pdl o Fi, nei diversi anni) avevano invece conquistato 39 amministrazioni. Ne mantengono 15, il 38,5%. A Cerea a strappare il comune è stata una coalizione di destra senza Fi (Lega). I comuni passati al Pd sono stati 9, cui si sommano i 2 in cui il Pd fa ora parte della “grande” coalizione che governa la città, mentre ad Arzano a vincere stavolta è stata una coalizione di sinistra senza il Pd. Oltre un quinto dei comuni con un’amministrazione uscente appoggiata da Fi (8) sono stati vinti da coalizioni civiche, mentre 3 sono stati conquistati dal M5s – che quindi si è dimostrato ancora una volta trasversale, strappando il 6/7% delle amministrazioni sia al centrodestra che al centrosinistra.

    Gli altri formati coalizionali amministravano pochi comuni ciascuno, per cui è poco sensato ragionare in termini percentuali. Tuttavia è interessante notare come il M5s non abbia confermato nessuno dei propri 3 comuni: a Parma e Comacchio hanno vinto i sindaci uscenti ma senza più il simbolo del Movimento a sostenerli, mentre a Mira ha vinto la coalizione contenente il Pd. Lo stesso vale per i tre comuni vinti la volta scorsa da coalizioni di destra senza Berlusconi: oggi in due casi Fi fa parte della coalizione vincente, mentre a Sabaudia la ricomposizione dell’alleanza fra Fi e Fdi non ha avuto lo stesso esito e a vincere è stato un candidato civico.

    Coalizioni di sinistra senza il Pd amministravano 9 comuni, ne hanno mantenuti 2: Belluno e Cerveteri. In 3 casi il Pd fa oggi parte della coalizione che esprime il sindaco, 2 sono passati al centrodestra e 2 a coalizioni civiche. Coalizioni di centro (l’allora Terzo Polo) avevano in 7 comuni: mantengono solo Acerra. Tre sono stati vinti dalle coalizioni con il Pd, uno a testa per sinistra, centrodestra e altri.

    Coalizioni civiche avevano 10 comuni, 7 sono oggi amministrati da coalizioni con il Pd (5) o con Fi (2), mentre solo 3 saranno ancora retti da coalizioni senza partiti. L’unico formato coalizionale che ha mantenuto tutti i suoi comuni è la grande coalizione fra Pd e Fi: certo, governava un solo comune (Jesolo) ma comunque è riuscita a mantenerlo.

    Tab. 2 – Coalizione uscente e coalizione vincente  nei comuni superiori da almeno due elezioni comunalivincente_by_uscente

    Vi è un altro aspetto inerente la stabilità del governo comunale che possiamo indagare: la riconferma dei sindaci uscenti. Sui 148 casi analizzati, in oltre la metà (78) si ripresentava a caccia di un secondo mandato da primo cittadino l’incumbent. Guardando in maggior dettaglio, possiamo notare come sia al nord che al sud l’uscente fosse in corsa nella metà scarsa dei comuni, mentre nelle regioni della Zona Rossa la percentuale fosse assai più alta (16 su 19, ovvero oltre l’80%).

    Concentrandoci ora sui tassi di riconferma di questi sindaci uscenti,  possiamo osservare come il 60% (47) siano stati premiati dai propri concittadini con un secondo mandato, mentre 31 sono stati sconfitti. Guardando al dato disaggregato per zona geografica, il sud è fa segnare un tasso leggermente superiore a quello nazionale, mentre al nord è circa 10 punti più basso, esattamente pari al 50%. Nella Zona Rossa i più frequenti sindaci uscenti sono stati anche più frequentemente confermati. Ciò è accaduto nel 70% scarso dei casi in cui erano presenti (11 su 16).

    Tab. 3 – Sindaci uscenti, riconfermati e non, per zona geopolitica  nei comuni superiori da almeno due elezioni comunalirieletti_by_zona

    La stabilità personale dei sindaci uscenti è dunque assai più alta di quella per coalizioni. Questo è dovuto anche alla rielezione di sindaci uscenti che hanno cambiato, rispetto alle elezioni precedenti, il formato della coalizione a proprio sostegno. Oltre ai due già citati casi dei sindaci ex M5s a Parma e Comacchio, vi sono altri due casi rilevanti in quanto avvenuti in comuni capoluogo: Orlando a Palermo era un sindaco di sinistra alternativa al Pd cinque anni fa, mentre oggi ha vinto per il centrosinistra targato Pd. Lo stesso per Borgna a Cuneo, che vinse per il Terzo Polo contro il Pd nel 2012 e invece è stato appoggiato dal Pd quest’anno. In tutto sono 14 i comuni che hanno confermato il proprio sindaco uscente ma con una coalizione a sostegno di tipo diverso: ovvero il 10% dei comuni totali e il 30% dei sindaci uscenti rieletti. Nonostante ciò, i comuni con l’incumbent in corsa hanno mantenuto stabile il colore politico dell’amministrazione cittadina nel 43,6% dei casi (34 su 78); mentre nei comuni “aperti” (senza l’uscente sulla scheda) l’amministrazione ha cambiato colore nel 75% dei casi (52 su 70).

    Riassumendo, il quadro del governo locale che emerge dai dati che abbiamo mostrato appare estremamente instabile. Solo il 35% dei comuni conferma il formato coalizionale che l’ha governato nella passata legislatura. Guardando al ruolo dei sindaci uscenti, il 60% di questi viene confermato, indicando una chiara prevalenza della figura del sindaco sul sistema partitico, che si conferma estremamente sfilacciato e poco capace di orientare le scelte degli elettori a livello locale, come segnalato anche dalla grande capacità degli uscenti di vincere contro la coalizione che li aveva eletti la volta precedente, e dalla notevole differenza nella stabilità del colore politico fra comuni in cui l’uscente correva (44%) o meno (26%).

    In chiave comparata, tuttavia, emerge una certa debolezza dell’incumbency factor al livello del comune italiano. Infatti, anche tralasciando la questione di uscenti che si presentano sotto nuove insegne (tutt’altro che marginale sia analiticamente che numericamente in queste elezioni), i nostri dati come il 40% degli uscenti non ottenga una riconferma. Facendo un confronto con il caso americano, per cui più abbondanti e datati sono gli studi sull’incumbency, ci accorgiamo come oltreoceano più dell’80% degli uscenti viene confermato, e spesso il 90% o più (Jacobson e Carson 2015, in riferimento alle elezioni per la Camera e il Senato). Certo, il limite a due mandati consecutivi per i sindaci, può parzialmente spiegare la maggiore difficoltà degli uscenti nostrani nello strutturare il proprio vantaggio competitivo, ma questo elemento istituzionale non può essere questa la sola ragione di una così netta differenza. In conclusione, quindi, i dati qui presentati sembrano sollevare una interessante domanda di ricerca, ovvero indagare le classiche fonti dell’incumbency advantage (quali la personalizzazione della politica, il venir meno del ruolo tradizionale dei partiti, la possibilità di rendersi visibile e risolvere specifici problemi per i cittadini, l’aumento dei costi delle campagne elettorali) per comprendere come mai non dispieghino efficacemente i loro effetti nel caso del comune italiano.

    Riferimenti bibliografici

    D’Alimonte, R. (2017). Renzi, Berlusconi, Grillo: chi ha vinto e chi ha perso /cise/2017/06/13/renzi-berlusconi-grillo-chi-ha-vinto-e-chi-ha-perso/

    Emanuele, V. and Marino, B. (2016). Follow the candidates, not the parties? Personal vote in a regional de-institutionalised party system, Regional and Federal Studies

    Emanuele, V. e A. Paparo (2017). Il centrodestra avanza, il Pd arretra: è pareggio. I numeri finali delle comunali /cise/2017/06/26/il-centrodestra-avanza-il-pd-arretra-e-pareggio-i-numeri-finali-delle-comunali/

    Jacobson, G. C., e Carson, J. L. (2015). The politics of congressional elections. Rowman & Littlefield.

    Paparo, A. (2012).  La stabilità perduta: in due comuni su tre cambia il colore politico del governo cittadino in De Sio, L. e A. Paparo (a cura di) Le Elezioni Comunali 2012, CISE, Dossier CISE 1, 147-148.  /cise/wp-content/uploads/2012/07/DCISE1_148-149.pdf 

    Paparo, A. (2017). I risultati complessivi dei partiti: il Pd ancora primo, il M5s sotto il 10%, avanza la Lega ma Fi difende il primato nel centrodestra /cise/2017/06/14/i-risultati-complessivi-dei-partiti-il-pd-ancora-primo-il-m5s-sotto-il-10-avanza-la-lega-ma-fi-difende-il-primato-nel-centrodestra/


    [1] A Trapani la città sarà commissariata a seguito del ritiro di Fazio (Centro) dal ballottaggio e per il mancato raggiungimento del quorum di votanti.

    [2] Criteri per l’assegnazione di un candidato a un polo: se un candidato è sostenuto dal Pd o dal Pdl (o Fi) è attribuito al centro-sinistra e al centro-destra rispettivamente, a prescindere da quali altre liste facciano parte della coalizione a suo sostegno e dalla specifica appartenenza partitica del candidato. Se un candidato è sostenuto solo da liste civiche è un candidato civico. Se una coalizione è mista civiche-partiti, questi trascinano il candidato nel loro proprio polo se valgono almeno il 10% della coalizione, altrimenti il candidato resta civico. Se un candidato è sostenuto da partiti appartenenti a diverse aree (escludendo Pd e Pdl che hanno la priorità), si valuta il relativo contributo dei diversi poli alla coalizione del candidato per determinarne l’assegnazione (al polo che pesa di più).

  • I risultati complessivi dei partiti: il Pd ancora primo, il M5s sotto il 10%, avanza la Lega ma Fi difende il primato nel centrodestra

    I risultati complessivi dei partiti: il Pd ancora primo, il M5s sotto il 10%, avanza la Lega ma Fi difende il primato nel centrodestra

    Nell’aggregato formato da tutti i comuni superiori al voto, il Pd è primo partito (con il 14,4% dei voti), ma è in calo nella Zona Rossa. Segue il M5s, che raccoglie però appena il 9,3%. La Lega avanza e insidia Forza Italia (ferma al 7%), ma fallisce ancora una volta la penetrazione al Sud. Buoni risultati per le liste di sinistra alternative al Pd, mentre Ap e Fdi registrano risultati magri. Oltre un sesto dei voti sono andati a liste non partitiche a sostegno di candidati senza alcun partito rilevante nella propria coalizione.

     

    Il primo turno delle elezioni comunali è ormai in archivio. Come abbiamo avuto modo di sottolineare, occorrerà aspettare ancora una decina di giorni per trarre le conclusioni definitive e capire chi ha vinto e chi ha perso. Infatti, la stragrande maggioranza delle amministrazioni comunali sarà assegnata al ballottaggio il 25 giugno. Solo allora potremo capire se a cantare vittoria potrà essere il centrosinistra o il centrodestra, al netto del chiaro insuccesso del M5s.

    Tuttavia, i dati del primo turno contengono alcune preziose informazioni circa lo stato di salute dei partiti politici che non saranno aggiornate ai ballottaggi: infatti solo al primo turno si vota anche al proporzionale per indicare i consiglieri comunali. E’ proprio a questi interessanti dati che guardiamo in questo articolo, cercando di comprendere come siano andati i diversi partiti, concentrandoci in particolare su quelli principali. (ncal.com)

    Come avevamo avuto modo di sottolineare prima delle elezioni, infatti, l’aggregato dei 149 comuni superiori al voto (che superiori lo erano già in occasione delle precedenti elezioni comunali) rappresenta un campione in cui i principali partiti hanno fatto registrare risultati incredibilmente simili a quelli ottenuti a livello nazionali sia alle politiche 2013 che alle europee 2014. Unica eccezione la Lega, il cui risultati nei 149 comuni considerati è stato in entrambe le occasioni circa 80% di quello nazionale – e anche, seppur con minore scarto, il M5s (che invece raccoglie nel 149 un po’ di più che non nell’Italia intera). Per queste ragioni è possibile utilizzare i risultati delle comunali come test dello stato di salute elettorale dei partiti.

    Iniziamo quindi dalla Tabella 1, che mostra i risultati di queste comunali 2017 aggregati nell’insieme di tutti i 149 comuni su tutto il territorio nazionale, a confronto con quelli registrati nelle europee 2014, politiche 2013 e precedenti comunali. Cominciamo a guardare i risultati del M5s, il partito per cui il risultato ottenuto dalle liste con il relativo simbolo è una perfetta rappresentazione del suo risultato. Infatti, a differenza degli altri principali partiti, corre sempre con il proprio simbolo e senza fare alleanze[2]. Inoltre, come abbiamo documentato, liste del Movimento erano presenti in oltre l’80% dei comuni, un dato in linea con quello degli altri grandi partiti, a dimostrazione del fatto che il partito di Grillo ha sviluppato un radicamento territoriale paragonabile a quello dei suoi competitors. La somma dei voti raccolti da queste liste vale il 9,3% dei voti validamente espressi al proporzionale nell’aggregato dei 149 comuni considerati. Ciò significa un aumento del 50% rispetto all’analogo risultato conseguito in occasione delle precedenti elezioni comunali, quando però solo liste del M5s erano state presenti solo in 83 comuni, ovvero il 56% dei casi. L’aumento percentuale registrato appare quindi più dovuto alla più capillare presenza del Movimento nelle elezioni comunali che non ad una effettiva crescita dei consensi. Il confronto con i risultati raccolti dal partito di Grillo in questi comuni alle politiche ed alle europee rivela un drastico calo: infatti, aveva ricevuto il 27,3% dei voti nel 2013 e il 22,8% l’anno successivo. Ovvero il M5s di oggi vale il 40% delle europee e appena più di un terzo delle politiche. Se poi consideriamo che sia alle europee che alle politiche il M5s era stato leggermente sovrarappresentato in questi comuni rispetto all’Italia intera, le indicazioni che si possono trarre dai risultati delle comunali circa un possibile risultato “nazionale” del Movimento lo collocano appena al 9%. Certo, anche i due ex pivot del bipolarismo italiano (Pd e Fi), fanno anch’essi segnare una netta contrazione, ma, come vedremo, questa è mitigata dai voti raccolti dalle liste civiche alleate.

    In particolare, le liste con il marchio Pd hanno raccolto il 14,4% dei voti complessivi, risultato che vale al partito di Renzi la palma di primo partito, ma che significa pur sempre un calo del 15% rispetto alle precedenti comunali (-2,6 punti percentuali). Ancor più impietoso il confronto con le elezioni nazionali. Il calo è di 10 punti dal 2013 (-40%) e addirittura supera i 25 punti rispetto all’ottimo risultato delle europee. Ovvero il Pd di oggi vale appena il 35% di quello del 2014. Però, come accennato, per avere un dato più realistico dello stato di forma del Pd occorre guardare anche al risultato delle liste alleate del Pd. Sono queste le liste civiche che fanno parte della coalizione che sostiene il candidato sostenuto anche dal Pd. Liste civiche, non quelle dei partiti nazionali che, ove presenti e coalizzati con il Pd, sono sommate nelle proprie righe (Mdp, Sel, etc., o Psi, Verdi, etc., o Area Popolare e così via). Sono quindi voti che seppur non espressi per le liste del Pd, possono comunque ragionevolmente essere sommati a quelle ufficiali di partito per avere una stima più utile del risultato “nazionale” del partito di Renzi. Così facendo il “blocco Pd” supera il 30% (30,5 per l’esattezza), ovvero fa segnare una crescita di oltre il 10% rispetto al comparabile dato delle precedenti comunali (27,1%).

    Le liste targate Forza Italia[3] si sono fermate al 7% del totale dei voti proporzionali nell’aggregato del 149 comuni analizzati, una percentuale pressoché identica a quella fatta segnare alle comunali l’anno scorso (7,2). Alle precedenti comunali nei 149, quando però esisteva ancora il Pdl, le liste del partito di Berlusconi avevano raccolto il 12%. Il calo è comunque netto: pari al 40%. Il Pdl del 2013 valeva oltre 3 volte la Fi di oggi. L’unico dato fatto registrare dall’attuale Forza Italia a nostra disposizione è quello delle europee: il 16,6%. Ovvero fa segnare alle comunali un calo che sfiora il 60%. Anche guardando alle liste minori alleate, il quadro non cambia: Forza Italia è in calo. Il “blocco Fi” vale oggi 6 punti in meno delle precedenti comunali: il 20,4%, contro il 26,4%, un calo pari quasi al 25%. Inoltre, se cinque anni or sono era ragionevole ipotizzare che le liste minori a sostegno di candidati con il Pdl in coalizione avessero raccolto voti per la gran parte attribuibili all’area berlusconiana, oggi che i rapporti di forza con la Lega sono ben diversi, tale ipotesi sembra chiaramente sovrastimare il risultato di Fi.

    L’unico partito le cui liste fanno segnare un risultato in crescita è la Lega Nord. Certo, non si tratta di un dato percentuale roboante: il 5,5% di tutti i voti proporzionali espressi nell’aggregato di riferimento. Però, questo significa avere raddoppiato i voti raccolti alle precedenti comunali, un aumento del 70% rispetto alle politiche e del 10% rispetto alle europee – l’unico dato a nostra disposizione relativo alla Lega guidata da Salvini. Aumenti fatti segnare nonostante la presenza alle comunali di numerose liste civiche, cosa che chiaramente comporta in una contrazione dei voti raccolti dalle liste ufficiali di partito. Se poi consideriamo la sottorappresentazione fatta osservare dalla Lega nell’aggregato del 149 comuni sia alle politiche che alle europee, e quindi applichiamo un tasso di correzione (del 25%) per avere stima più accurata del dato “nazionale” della Lega sulla base dei risultati delle comunali, la Lega arriverebbe a sfiorare il 7%, appena al di sotto del risultato di Fi, che quindi sembra essere ancora il primo partito del centrodestra.

    Le liste di sinistra alternative al Pd (prescindendo dalle coalizioni di cui facessero parte) hanno raccolto totali di voti a prima vista lusinghieri ma che in realtà non devono lasciare troppo sereni i relativi leader. Le liste in qualche modo riconducibili all’ex Pci (insieme alle civiche che sostenevano gli stessi candidati), hanno raccolto il 5,4% dei voti proporzionali. In ottica nazionale, ciò basterebbe a superare la più alta delle realistiche soglie di sbarramento che la prossima legge elettorale potrebbe contenere – se fossero capaci di correre sotto un unico simbolo e non smarrire alcuno dei voti di ciascuno. Tuttavia, alle precedenti comunali le stesse liste avevano raccolto il 7,6%, e Mdp e Si neanche esistevano. Si ha quindi un calo che sfiora il 30%. Quando poi arrivarono le elezioni nazionali, sia politiche che europee, le stesse liste raccolsero molto meno. Se una analoga contrazione dovesse ripersi alle prossime politiche, ecco che il dato nazionale di queste liste sarebbe appena al di sopra del 4%. Lo stesso vale per le liste di sinistra alternative al Pd ma non riconducibili all’ex Pci. Hanno oggi raccolto il 2,9%, ma valevano oltre il 5% alle precedenti comunali.

    Fratelli D’Italia si è fermato al 2,4%. La comparazione con le precedenti comunali è impossibile dal momento che nella primavera del 2012, quando si sono svolte le precedenti elezioni comunali in oltre l’80% dei comuni analizzati, il partito guidato da Giorgia Meloni non esisteva ancora. Il dato delle comunali 2017 significa un aumento di un terzo dalle politiche 2013, ma un calo del 30% rispetto alle europee dell’anno successivo. Anche includendo un tasso di correzione per via della sottorappresentazione di Fdi nel 2013 e 2014 nell’insieme comuni analizzati, la stima “nazionale” del partito sulla base dei risultati delle comunali si ferma al di sotto del 3%.

    Area popolare, e in generale il centro, fanno segnare risultati piuttosto magri. La somma delle liste di Udc, Ncd, Area Popolare o comunque riconducibili a questi partiti, si ferma al 2,5%, ovvero in calo del 44% rispetto al risultato delle europee. Anche il centro nel suo insieme è in calo. Sommando al risultato di Ap le liste minori e civiche alleate, tutto il centro vale il 4,4%. Alle precedenti comunali e alle politiche 2013 (l’epoca d’oro del terzo polo), il centro nel suo insieme valeva oltre il 10%. Ma anche alle europee pesava il 5,3%. Ovvero fa segnare un calo dei due terzi dalle precedenti comunali e di un sesto dalle europee.

    Ultimo dato da sottolineare, quello delle liste civiche, ovvero quelle liste che sostenevano candidati non aventi in coalizione nessuno dei partiti nazionali considerati nelle righe superiori della tabella. Queste hanno più che raddoppiato i propri voti rispetto alle precedenti comunali, passando dall’8,4% a quasi il 18% di quest’anno. Ovvero queste hanno ricevuto il voto di oltre un elettore su sei fra quelli che sono andati a votare ed hanno espresso un voto valido al proporzionale.

    Tab. 1 – Risultati aggregati nei 149 comuni superiori al voto, confronto con le recenti elezioni[1] (clicca per ingrandire)tableu PR ITA

    Veniamo ora all’analisi disaggregata per zona geografica, iniziando con il Nord. Qui il Pd è primo con il 18,1%, in leggero calo dalle precedenti comunali (20,5), ma sostanzialmente compensato dall’aumento delle civiche alleate (all’11,3 contro il 10,4%). La Lega sfiora il 12% (11,8) ed è il secondo partito. Il partito di Salvini fa segnare una netta crescita sia rispetto a precedenti comunali e politiche (+70%), ma anche rispetto alle europee (+30%). Segue il M5s, in terza posizione con il 10,8% dei voti proporzionali raccolti dalle proprie liste, in leggera crescita rispetto alle comunali precedenti (+12%), ma dimezzato rispetto alle politiche ed alle europee. Forza Italia si ferma all’8,3%, rispetto al 12% delle precedenti amministrativi: il calo è del 30%, inferiore quindi a quello medio nazionale.

    Tab. 2 – Risultati aggregati nei 53 comuni superiori al voto al Nord, confronto con le recenti elezioni (clicca per ingrandire)tableu PR NORD

    Anche nelle 4 regioni della cintura rossa il Pd è primo partito, ma qui il calo rispetto alle precedenti comunali è più marcato: -6 punti percentuali (dal 26,8% al 20,9), oltre il 22% in meno. Inoltre nella Zona Rossa la contrazione è compensata dall’aumento dei voti alle liste minore alleate in maniera molto inferiore (solo 2,5 punti circa). Nel complesso il “blocco Pd” scende di quasi il 10%, dal 36,4% al 33,2%. Al secondo posto, molto staccato, il M5s, che si ferma al 9,4%: addirittura in calo rispetto alle precedenti comunali, quando aveva raccolto l’11,7%. Certo il caso Parma/Pizzarotti può da solo spiegare questa contrazione, che comunque rimane eclatante visto il confronto con il 2012, quando il M5s era appena agli albori. La Lega mantiene qui il primato nel fronte di centrodestra, avendo raccolto il 7,3% contro il 5,9% delle liste con il marchio Fi. Ciò significa che il Carroccio ha quasi triplicato i propri voti delle precedenti comunali, ed è cresciuto di quasi il 70% rispetto alle europee dei tre anni fa. Al contrario, il partito di Berlusconi vale la metà delle precedenti comunali (quando però era ancora il Pdl), ma non raggiunge neppure il 50% del risultato raccolto da Fi alle europee. Infine, occorre evidenziare l’incredibile risultato degli altri partiti, cioè quelle liste a sostegno di candidati non aventi in coalizione nessuno dei partiti da noi considerati: nelle regioni della Zona Rossa queste hanno raccolto quasi un quarto dei voti validi proporzionali (il 23,4% per l’esattezza).

    Tab. 3 – Risultati aggregati nei 19 comuni superiori al voto nella Zona Rossa, confronto con le recenti elezioni (clicca per ingrandire)tableu PR ZR

    Venendo infine al Sud, ancora una volta il Pd è il primo partito. Qui, però, il partito di Renzi vale appena poco più del 10% (10,4), a dimostrazione della straordinaria frammentazione che si registra nel proporzionale alle comunali nelle regioni meridionali. Il partito di Renzi è in calo di un paio di punti abbondanti dalle precedenti comunali, ma questo è più che compensato dall’aumento dei voti alle liste minori alleate, che sono raddoppiati, passando dal 10 al 20%, sostanzialmente. In pratica le coalizioni del Pd hanno perso alleati partitici di sinistra, ma sono state in grado di mantenere la maggior parte dei voti degli ex alleati di centrosinistra, grazie proprio alle liste civiche. Ciò è confermato dal drastico calo dei voti alle liste di partiti di sinistra, che hanno più che dimezzato il proprio risultato complessivo di cinque anni fa uscendo dalle coalizioni principali di area. Il “blocco Pd” nel suo complesso è in crescita di quasi il 30% al Sud.

    Il M5s raccoglie qui il proprio risultato più magro, appena l’8,3%. Ciò è in antitesi sia rispetto alle politiche 2013 che alle europee 2014, quando invece il Movimento aveva raccolto nei comuni superiori chiamati quest’anno al voto e collocati al Sud i risultati migliori. Certo, la maggiore frammentazione registrata in queste elezioni può spiegare parzialmente questo fenomeno. Tuttavia, non possiamo non rilevare come il Meridione sia quindi la zona d’Italia dove il calo del Movimento è più marcato: attorno al 70% sia rispetto alle politiche che alle europee. Certo, questi sono anche i comuni in cui la crescita del risultato percentuale complessivo del M5s rispetto alle precedenti comunali è più evidente (oltre tre volte tanto), ma ciò è ancora una volta dovuto all’aumento della presenza delle liste del Movimento, che è molto maggiore al Sud – dove nelle precedenti comunali il partito di Grillo era presente in meno del 40% dei casi).

    Fi si riprende qui lo scettro di partito più votato del centrodestra, avendo tuttavia raccolto con le proprie liste ufficiali appena il 6,5% dei voti. D’altronde il rivale d’area, la Lega, fallisce ancora una volta lo sfondamento a sud della Zona Rossa. Il risultato complessivo delle liste Lega Nord e Noi con Salvini si ferma allo 0,6%, addirittura in calo rispetto alle elezioni europee (quando pure non aveva raggiunto l’1%).

    Tab. 4 – Risultati aggregati nei 77 comuni superiori al voto al Sud, confronto con le recenti elezioni (clicca per ingrandire)tableu PR SUD

     

    Bibliografia

    D’Alimonte, R. (2017). Test su divisioni a sinistra e tenuta M5S. /cise/2017/06/11/test-su-divisioni-a-sinistra-e-tenuta-m5s/

    Emanuele, V. e A. Paparo (2017). Tutti i numeri delle comunali: scompare il M5S, il centrodestra torna competitivo, i civici sono il terzo polo. /cise/2017/06/12/tutti-i-numeri-delle-comunali-scompare-il-m5s-il-centrodestra-torna-competitivo-i-civici-sono-il-terzo-polo/

    Paparo, A. (2016). “I risultati complessivi del primo turno” in Emanuele, V., N. Maggini e A. Paparo, (a cura di). Cosa succede in città? Le elezioni comunali 2016. Dossier Cise (8), Rome, Cise: 105-120. /cise/wp-content/uploads/2016/07/DCISE8_105-120.pdf


    [1] Sono esclusi 11 comuni oggi superiori che però nelle precedenti comunali risultavano ancora inferiori ai 15.000 abitanti, e i cui risultati non sono pertanto comparabili (si votata in un turno unico e con un sistema elettorale diverso, senza le liste dei partiti).

    [2] L’unica eccezione si ha nel comune di Rivalta di Torino, in cui il M5s sostiene il candidato Mauro Marinari, la cui coalizione è formata da 4 liste civiche senza quella del M5s. I voti ottenuti da queste liste sono stati sommati e costituiscono il totale di voti del M5s a Rivalta di Torino ai fini dei nostri calcoli.

    [3] Per i nostri calcoli, abbiamo considerato come liste ufficiali di Forza Italia anche le liste Forza “Comune” che sono risultate chiaramente riconducibili al partito di Berlusconi e che correvano in comuni dove non era presente la lista ufficiale.

  • Conservatori e Laburisti: partiti mainstream che cavalcano il conflitto

    Conservatori e Laburisti: partiti mainstream che cavalcano il conflitto

    Traduzione in italiano di Elisbetta Mannoni

    Nella nostra analisi dello stato attuale del dibattito politico in Gran Bretagna – basata sui dati raccolti dal CISE nell’ambito del progetto comparato ICCP – abbiamo notato che tra gli elettori britannici c’è un grande interesse verso obiettivi condivisi, malgrado le politiche economiche divisive siano anch’esse piuttosto rilevanti – con le posizioni tradizionali di sinistra in testa.

    Guardiamo ora ai partiti politici. Abbiamo già visto tanto in Francia quanto in Olanda due diverse strategie emergano per i partiti. Da una parte, possono rivolgere agli elettori un profilo consensuale, tralasciando i conflitti e basando la campagna elettorale sulla loro credibilità nel risolvere problemi comuni a tutti. Questa è la strategia recentemente adottata sia da Macron sia da Rutte e, più in generale, dai partiti mainstream. Dall’altro lato, una seconda strategia consiste nel porre enfasi sui conflitti attuali (come quello che sta emergendo tra i vincitori e i perdenti della globalizzazione), prendere posizioni e fare una campagna feroce su di essi. Questa è la strategia usata da Le Pen in Francia e Wilders in Olanda. I partiti cosiddetti challenger e anti-establishment tendono a preferire questa seconda opzione.

    Concentrandoci ora al caso britannico, l’ipotesi che vogliamo verificare è se anche nel Regno Unito i partiti tradizionali trovano nelle questioni imperative e nei relativi obiettivi condivisi i terreni più fertili per la loro campagna, dato che la loro competenza nel risolvere le problematiche può essere premiata, mentre al contrario i partiti challenger vedono prospettive più favorevoli su obiettivi di tipo divisivo, ossia quelli che emergono dal conflitto tra due visioni opposte (i temi posizionali).

    Per verificare tale ipotesi, riportiamo la Tabella 1, che mostra i quattro partiti più credibili per i diversi obiettivi (condivisi o divisivi). La tabella mostra anche le frazioni dell’elettorato che considerano i vari partiti credibili per raggiungere un dato obiettivo, assieme al livello di consenso e di priorità degli obiettivi stessi.

    Possiamo vedere chiaramente che, rispetto agli obiettivi condivisi (quelli che hanno di default il 100% di consenso, riportati in cima alla tabella) i due partiti tradizionali sono evidentemente i più credibili. Di 10 obiettivi comuni, in 8 Tories e Labour sono classificati come i due partiti più credibili – e tra l’altro sono gli 8 obiettivi col più alto tasso di priorità. Solo per quel che riguarda il controllo dell’immigrazione UKIP è (leggermente) più credibile dei Laburisti, che si posizionano terzi; e sulla protezione dell’ambiente i Verdi sono (di gran lunga) più credibili sia dei Laburisti che dei Conservatori, sostanzialmente appaiati al secondo posto.

    Prima di procedere ad analizzare gli obiettivi divisivi, è opportuno sottolineare il chiaro vantaggio che emerge per i Conservatori sulle tematiche imperative. Viene infatti ritenuto il partito più credibile nel raggiungimento di ben 7 obiettivi condivisi su 10, i 6 aventi la priorità più alta, tra cui obiettivi di ordine pubblico, obiettivi economici, e anche qualche obiettivo legato al welfare (come la qualità delle scuole). Inoltre, i Conservatori godono di una differenza media in credibilità pari a 14 punti percentuali dal secondo partito più credibile; questo gap è spesso più ampio del valore medio – ad esempio, sale a 25 punti sulla tematica più saliente (la protezione dal terrorismo). Solo sul miglioramento della qualità delle scuole e la riduzione della disoccupazione i Conservatori sono virtualmente pari ai Laburisti; tuttavia, restano sempre al primo posto. I Laburisti sono il partito più credibile solo sulla protezione delle pensioni e del sistema sanitario, con un margine sui Tories che in entrambi i casi e di poco superiore a 10 punti percentuali. Il secondo tema è particolarmente importante, dal momento che per gli elettori del Regno Unito è quasi saliente quanto il terrorismo.

    Lo schema di una maggiore credibilità sulle tematiche imperative e gli obiettivi comuni per i partiti mainstream è, dunque, evidente anche in Regno Unito. Tuttavia, se scorriamo la tabella e guardiamo agli obiettivi divisivi, notiamo un fatto eclatante: i partiti tradizionali sono ancora una volta i più credibili. Concentrandoci prima sui 18 obiettivi maggioritari (quelli indicati come preferiti rispetto ai loro opposti dalla maggioranza degli elettori), troviamo che i Laburisti sono considerati il partito più credibile 9 volte, mentre i Tories 8. Solo sul divieto di indossare il velo islamico negli spazi pubblici, obiettivo sostenuto dal 63% degli elettori nell’UK ma con una priorità piuttosto bassa, l’UKIP è il partito più credibile – e comunque con un margine esiguo sui Conservatori.

    Il Labour si dimostra un classico partito socialdemocratico (regolazione del mercato del lavoro, welfare, redistribuzione del reddito) con un pizzico di diritti civili (matrimoni gay). Dobbiamo sottolineare come tutti questi obiettivi siano preferiti da maggioranze significative dell’elettorato; persino la nazionalizzazione delle ferrovie è indicata come desiderata dai due terzi degli intervistati. Dall’altro lato, il partito Conservative è in grado di catturare la fiducia degli elettori su tematiche demarcazioniste: abbandonare l’UE e Schengen (supportato dal 54% dell’elettorato), non consentire alla Scozia di fare un secondo referendum per lasciare il Regno Unito (ancora 54%), sciovinismo del welfare (76%) e assimilazione degli immigrati (65%).

    Anche se guardiamo agli obiettivi minoritari, quelli cioè selezionati da una porzione più piccola rispetto a quella che preferiva i loro opposti, il quadro non cambia. La teoria della issue yield (De Sio and Weber, 2014) suggerisce che i piccoli partiti possano trovare su questi temi terreno fertile per coltivare proprie aree di issue ownership. Ed è esattamente quello che abbiamo riscontrato in Francia e in Olanda. Ma non vale lo stesso per il Regno Unito. Qui i due partiti tradizionali sono i più credibili anche su queste tematiche. Il Labour Party è il più credibile su 7 obiettivi, compresi tutti quelli legati all’integrazione, che sono tendenzialmente meno supportati rispetto a quelli di demarcazione – su cui, invece, come abbiamo visto, sono i Tories ad essere i più credibili. Al contrario, i Tories sono i più credibili per il raggiungimento di 9 obiettivi minoritari, tra cui gli obiettivi economici di laissez-faire, che sono attualmente meno popolari dei loro opposti in Regno Unito. Solo i Verdi emergono come il partito più credibile nella proibizione del fracking (attualmente supportata dal 49.6% dell’elettorato), malgrado la credibilità del Labour sia abbastanza simile. Infine, lo SNP è il più credibile per la concessione di un nuovo referendum per l’indipendenza della regione settentrionale della Gran Bretagna.

    A conferma dell’alta credibilità dei partiti tradizionali su temi divisivi, forniamo un ulteriore elemento. Come abbiamo già detto, su 36 obiettivi divisivi, Labour e Tories sono i più credibili 33 volte. Se guardiamo al secondo partito più credibile, i due grandi partiti occupano questo posto 27 volte. UKIP è più credibile dei Labour su 5 temi demarcazionisti e i LibDem più dei Tories su 3 temi di integrazione – vale lo stesso per i Greens in merito allo smantellamento delle armi nucleari.

    Tab. 1 – Obiettivi condivisi e divisivi, per priorità generale, con i partiti più credibili                                              (clicca per ingrandire)uk priorità

    Dalla nostra ricerca, il Regno Unito emerge quindi come profondamente diverso dai casi precedentemente analizzati nell’ambito di questo progetto comparato. Tanto in Francia quanto in Olanda, i partiti tradizionali risentivano delle sfide lanciate sia a destra che a sinistra. A destra, i temi demarcazionisti premiavano i partiti populisti di destra (FN e PVV) a scapito delle alternative mainstream (Repubblicani e VVD, CDA). A sinistra, i rappresentanti nazionali del PSE non erano i più credibili sui temi economici di sinistra (come ridurre le differenze di reddito), su cui venivano battuti da attori meno moderati (France Insoumise e SP). Nel Regno Unito, al contrario, Laburisti e Conservatori mantengono la loro credibilità anche nel raggiungimento di temi divisivi, così come di quelli condivisi.

    I nostri risultati indicano che i due partiti tradizionali del Regno Unito hanno tenuto testa alle sfide delle trasformazioni contemporanee in modo migliore rispetto alle loro controparti continentali: sono stati in grado di integrare (o reintegrare) con successo nelle loro piattaforme programmatiche obiettivi emersi come conseguenza di queste trasformazioni – ansia rispetto agli immigrati e agli stranieri da un lato, e desiderio di redistribuzione e protezione economica dall’altro. Fondamentalmente, tanto i Labour quanto i Tories hanno aperto le braccia ai conflitti attuali, anziché negarne la presenza. I Laburisti si delineano come un classico partito socialdemocratico degli anni ‘70 (welfare, redistribuzione, finanche nazionalizzazioni), con l’aggiunta di integrazione e diritti civili: vince sull’economia, ma perde sull’integrazione. I Conservatori sono un classico partito anglosassone di destra sul fronte economico (libero mercato, libero mercato, libero mercato), che ha introdotto la demarcazione nella sua agenda. Perdono sulla dimensione economica, ma vincono sull’altra (Kriesi et al., 2006) – e sono molto più credibile sugli obiettivi condivisi.

    Bibliografia

    De Sio, L., and T. Weber (2014). ‘Issue Yield: A Model of Party Strategy in Multidimensional Space.” American Political Science Review 108 (4): 870–885. /cise/2014/01/01/issue-yield-a-model-of-party-strategy-in-multidimensional-space/

    Kriesi, H., Grande, E., Lachat, R., Dolezal, M., Bornschier, S., and Frey, T. (2006), ‘Globalization and the transformation of the national political space: Six European countries compared’, European Journal of Political Research, 45(6), 921-56.

    Paparo, A., De Sio, L., and Van Ditmars, M. (2017), ‘Verso le elezioni in Olanda: la credibilità dei partiti sui diversi temi’,  /cise/2017/03/13/verso-le-elezioni-in-olanda-la-credibilita-dei-partiti-sui-diversi-temi/

    Paparo, A., De Sio, L., and Michel, E. (2017), ‘Chi risolverà i problemi della Francia? La credibilità dei candidati sui problemi più importanti’, /cise/2017/04/18/chi-risolvera-i-problemi-della-francia-la-credibilita-dei-candidati-sui-problemi-piu-importanti/